Teologie femministe e teologie Lgbtq* in Italia. Un manifesto
Passi scelti dal “capitolo-manifesto” di Damiano Migliorini* da “Teologie femministe e teologie Lgbtq* in Italia. Un nuovo inizio?”, in Paolo Cugini (a cura di), Uno sguardo diverso su Dio”, Edizioni San Lorenzo, 2021, pp. 63-104
Un avvicinamento storico, uno storico avvicinamento
[…] L’intento in questo intervento è di occuparmi di un solo aspetto: il rapporto tra teologie femministe e teologie Lgbtq* nel contesto italiano più recente. Sottolineo la volontà di focalizzarmi sull’ambito italiano, che inevitabilmente sarà anche quello cattolico (la confessione cristiana più visibile e determinante nella penisola): all’estero le due strade – quella dei femminismi cristiani e delle tematiche Lgbtq* – hanno trovato da molto tempo una convergenza (teorica e d’azione sociale) a partire dalle elaborazioni del femminismo lesbico, passando per il pensiero gay e oggi queer. […]
Nel mondo laico la convergenza è avvenuta anche in Italia da qualche decade (anche se con notevoli difficoltà), mentre nell’ambito teologico italiano il processo sta maturando ora. Solamente negli anni recenti, infatti, i gruppi di cristiani Lgbtq* hanno cominciato a interagire con le organizzazioni delle teologhe italiane, coinvolgendo reciprocamente i loro membri nelle varie iniziative e spingendo alcune teologhe a elaborare delle posizioni teologiche che escano dal campo della sola riflessione sul femminile (ed eterosessuale).
Di seguito vorrei ripercorrere alcune tappe di questo avvicinamento. È sempre fruttuoso rileggere la propria storia – di movimento politico e di pensiero, in questo caso – e fare il punto sui sentieri interrotti, le cadute, le vette conquistate. Aiuta a fare chiarezza sulla strada che si intende percorrere. Ciò vale per la teologia femminista italiana come per i gruppi cristiani Lgbtq* e i loro teologi di riferimento.
Ciascuno potrebbe avere in mente varie tappe significative di tale avvicinamento […] Perché è avvenuto e sta avvenendo tutto questo? Come accennavo, si sta ripercorrendo nella chiesa di base italiana – e a livello teologico – quello che in altri Paesi avviene già da tempo. A prescindere dalle sincronie o alle disarmonie storiche e geografiche, però, qual è il motivo di fondo di questo avvicinamento? La mia convinzione è che dall’incontro umano sia scaturita la percezione di un comune destino. Credo sia venuto a coscienza il fatto che la battaglia da combattere sia la medesima, abbia le stesse radici.
Attenzione: non si sta dicendo che le singole teologhe non avessero già intuizione di questo: chiunque di loro abbia studiato i testi dei femminismi recenti (quelli di J. Butler, per fare un nome tra le innumerevoli autrici) non può non aver colto la convergenza tra le istanze promosse dalle donne e dalle minoranze sessuali, che in quelle elaborazioni teoriche si è data ormai per acquisita. Tuttavia, come dicevo, è mancata in Italia l’occasione, il kairós, che ha portato a convergere insieme. Gli avvicinamenti concreti tra esseri umani, localmente, non seguono necessariamente quelli tra teorie. Così come, a una pur presente consapevolezza teorica, non segue necessariamente un impegno pubblico e pratico.
[…] Per quanto comprensibile, la strategia dell’“ognun per sé, Dio per tutti” che ha segnato i rapporti tra teologhe e mondo Lgbtq*, è di corto respiro e alla lunga inefficace. Soprattutto se si scopre che, in effetti, si sta lottando contro delle incrostazioni culturali che colpiscono entrambi i movimenti in campo. Quando si scopre che i fantasmi teoretici contro cui schierarsi sono i medesimi. La strategia seguita finora, del tutto inconsapevolmente, di “marciare divisi per colpire uniti” – che può essere affascinante e talvolta efficace – si è rivelata infruttuosa: la Chiesa non si è smossa più di tanto sulle questioni che davvero contano, come il sacerdozio o il diaconato femminile, o la benedizione di coppie omosessuali. È una strategia che va quindi riconsiderata. Se la ragione dell’oppressione è la stessa, è chiaro che ci si libera insieme: o ci si libera tutti, o non si libera nessuno.
Penso sia opportuno rilevare che la percezione di un ‘comune destino’ è stata facilitata probabilmente anche dalla recente campagna anti-gender, segnata dalla recrudescenza di posizioni pre-conciliari, anti-moderniste, anti-femministe, anti-democratiche, perfino anti-bergogliane (e la lista degli “anti” potrebbe andare avanti parecchio). Donne e persone Lgbtq* sono state attaccate insieme, e probabilmente questo ha fatto sì che si percepisse il pericolo comune, finendo col lottare insieme.
In tale campagna, molte posizioni del pensiero della differenza sessuale sono state strumentalizzate a favore dei reazionari (integralisti cattolici e non), nel loro tentativo di creare un “nuovo femminismo”, gettando ulteriore sospetto su questo “pensiero” femminista. L’insieme di spinte reazionarie che Melloni ha definito – mi sembra correttamente – un’“amalgama nera”, che ha avuto almeno l’effetto di coadiuvare anche in Italia teologhe femministe e cristiani Lgbtq*. La lotta all’uguaglianza della donna e ai suoi diritti e la lotta ai diritti delle persone Lgbtq* (entrambe tenute sotto l’ombrello della “difesa della famiglia tradizionale” o “difesa della differenza sessuale”) sono infatti parte integrante di una visione illiberale portata avanti da settori reazionari della società, delle chiese e della politica. Non c’è teologa o teologo, anche moderato, che non possa rendersene conto, e non esserne preoccupato.
Possiamo comunque notare, come si diceva, che l’avvicinamento è avvenuto e il cammino è iniziato. Il seme cresce, che si dorma o che si vegli, anche se la seminatrice non lo sa (Mc 4, 27). Con un notevole salto di qualità: è un percorso pubblico, costante, consapevole. Ha superato, mi pare, il livello embrionale dove prevaleva la buona volontà delle singole attiviste (tra queste, nel panorama italiano vanno ricordate, per il loro coraggio e la tenacia, le teologhe E. Green, L. Tomassone, A. Potente, A. Zarri, D. Di Carlo, G. Lettini, L. Maggi).
Questo ciclo di incontri – assieme ad altri già avvenuti negli ultimi due anni – ne è un segno inequivocabile, anche perché raccoglie proprio alcune delle voci (C. Simonelli, S. Zorzi, R. Torti, M. Soave Buscemi) che in qualche modo incarnano ciò che ho fin qui descritto. Colta la dinamica storica almeno per sommi capi, dunque, quel che vorrei fare nelle righe che restano è porre l’attenzione su alcuni nodi teorici. È infatti indispensabile esplicitare i contenuti teorici dell’intuizione, irriflessa ma non per questo meno vera, di quel comune destino. Non è solo la strumentazione teologica e argomentativa messa in campo dai vari femminismi, infatti, ad essere utile contro ogni discriminazione e quindi a costituire un terreno di naturale convergenza con i movimenti Lgbtq*. Questo è perfino scontato. Cerchiamo di andare più a fondo. Naturalmente, quelli che esporrò sono punti che si possano trovare nella letteratura sulla tematica. Nessuna novità, quindi, ma solo un elenco provvisorio, parziale e riepilogativo.
Segue il capitolo sugli “avvicinamenti teoretici”, riguardante “Il primo avvicinamento: la pluralità delle esistenze” e il “Il secondo avvicinamento: la pluralità dei desideri”. Nel terzo avvicinamento:
[…] Rispetto alla convergenza tra teologie femministe e teologie Lgbtq*, è fondamentale esplicitare il legame che esiste tra questioni apparentemente lontane: l’adozione di un certo simbolismo sessuale, sostenuto da argomentazioni antropologiche dubbie, infatti, è il cuore di molte dottrine, dall’ordinazione femminile all’amore omosessuale: poiché la donna ha un’essenza propria (un fatto confermato dalla scelta di Cristo di non incarnarsi in tale essenza, si sostiene) non può essere sacerdote, non può avere i ruoli che Cristo ha scelto per i maschi, e allo stesso tempo non può essere lesbica.
La lotta contro la simbologia e l’antropologia che impone l’eteronormatività e il dualismo ingenuo è la stessa lotta contro l’esclusione delle donne dal sacerdozio, e si articola attraverso riflessioni convergenti. Si tratta di neutralizzare quella simbologia che vorrebbe imporre a tutti il modello Cristo-Sposo-maschio/Chiesa-Sposa-femmina secondo le caratteristiche essenziali che si presume appartengano ai vari poli (orientamento sessuale compreso). Caratteristiche che sono invece essenzializzate attraverso le false naturalizzazioni funzionali al patriarcato e all’eteronormatività che esso impone.
Un secondo avvicinamento è la già ricordata questione dell’interpretazione della Bibbia e della Tradizione, che impone di pensare: (a) qual è il circolo ermeneutico che si instaura tra queste fonti, l’antropologia, la filosofia, le scienze, l’etica; (b) fino a che punto possiamo isolare alcune parti, senza considerare l’insieme dell’insegnamento e la mediazione razionale che esso inevitabilmente richiede; (c) quanto e come l’attualizzazione del messaggio implichi l’abbandono di certe precomprensioni.
Sia le teologie femministe che quelle Lgbtq* hanno inciso notevolmente sull’approccio alle Sacre Scritture, ma manca forse la formulazione di un metodo condiviso, sufficientemente flessibile, ma non arbitrario. Un’ermeneutica più “cattolica” che apra a nuove interpretazioni, con uno sguardo più inclusivo.
Anche qui si nota la differenza tra una lettura femminista delle scritture – volta cioè alla liberazione delle donne, quindi con uno sfondo anche politico – e una “del femminile” o “al femminile”, cioè un’esegesi «fatta da donne sulle donne della Bibbia». Una classificazione che ritengo ambigua, perché implicherebbe d’accettare l’esistenza di una esegesi russa solo perché fatta da un russo. La mia opinione è che devono essere i metodi, i contenuti espressi e i fini dichiarati a qualificare un’esegesi, non la sessuazione del corpo di chi la fa o le vicende biografiche dell’esegeta.
Un terzo avvicinamento riguarda la lotta comune a stereotipi e discriminazioni. Le persone Lgbtq* hanno vissuto o vivono gli stessi soprusi, le stesse angherie, che le donne hanno subito per secoli. Quest’ultime dovrebbero essere in prima linea, dunque, nel difendere gli spazi d’accoglienza per tutti, nel denunciare linguaggi e atteggiamenti offensivi ed escludenti, nell’opporsi a pratiche di esclusione dai ministeri.
Più nel profondo, si tratta di riconoscere che tutte le violenze (domestiche, di genere, omo-transfobiche) hanno alla radice la non accettazione del fatto che l’altro\a non è una proprietà a disposizione dell’Io, ma è un altro Io, un Volto che chiede assoluta responsabilità perché portatore di infinita dignità. Volto che non può essere mai violato nella sua libertà di essere ciò che è: una persona unica e irripetibile. E questo vale sia a livello di rapporti fra persone, sia a livello di società e comunità politica.
Una democrazia è tale quando l’individuo-Stato riconosce all’individuo-persona la libertà di essere ciò che è, fin dove la sua unicità non è dannosa (in modo evidente) per altri o per la collettività.
Questa è ineluttabilmente una battaglia di tutti e tutte, che ha risvolti pratici in termini di tutela della libertà di espressione, di parola, di associazione, di educazione alla tolleranza e alla pluralità nelle scuole, di una sana laicità, la quale passa anche per un’educazione sessuale che sia sì una cultura degli affetti, ma di tutti gli affetti.
* Damiano Migliorini è un giovane dottore in Scienze Umane presso l’Università degli Studi di Verona e professore di Filosofia al Liceo; è laureato in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Padova e in Scienze Religiose presso l’ISSR di Padova. È stato Research Visiting Student presso l’Università di Oxford nel 2016 e presso l’Università di Durham nel 2017-2018. È stato Casco Bianco nel 2014. I suoi interessi si concentrano sulla filosofia analitica della religione, l’ontologia, la teologia trinitaria e gli studi di genere.