Unioni civili. Se la ferita del pregiudizio finisce in una norma
Articolo di Stefano Bucci pubblicato sul “Corriere della Sera” del 26 febbraio 2016
Ancora una volta, per una volta ancora, parlando di omosessualità si è finiti nella trappola degli stereotipi, rischiando di rovinare la soddisfazione per una legge sulle unioni civili che, per quanto aggiustata per non dire «mutilata», dovrebbe rendere finalmente dignità alla comunità Lgbt. Lo stereotipo è stavolta quello che vuole la vita di una coppia gay sempre e comunque nel segno della trasgressione e del tradimento più o meno continuo (proprio come in un film di Fassbinder o, a voler essere più allegri, tra le piume di struzzo della Cage aux Folles), uno stereotipo che non sembra minimamente prendere in considerazione che in una coppia omosessuale si possa essere persino fedeli.
Così si è scelto di cancellare la parola (e il concetto stesso) di fedeltà: perché, a quanto pare, non è possibile immaginarla tra coniugi che non siano un uomo e una donna regolarmente uniti in matrimonio. Posso assicurare che non è così: la fedeltà tra due persone che si amano non si impone certo con un documento, viene da sola ed è naturale persino per i gay. Certo sarebbe molto più grave se, nella legge che sarà, venissero tolti i passaggi sull’assistenza morale e materiale o sulla coabitazione. Ma che la fedeltà non sia «cosa da omosessuali» è una sovrana sciocchezza, l’ennesimo stereotipo. O peggio, ancora, un’offesa che il mondo gay non merita.