Lettera ai miei amici sull’istruzione Vaticana che impedisce l’ammissione dei gay al sacerdozio
Riflessioni di James Alison tratte da jamesalison.co.uk del dicembre 2005, liberamente tradotte da Pina
Miei cari amici, alcuni di voi mi hanno chiesto una risposta all’Istruzione recentemente emanata dal Vaticano che impedisce l’ammissione degli uomini gay alla formazione per il sacerdozio. Accetto la sfida e pongo sulla carta alcuni pensieri.
Permettetemi di rispondere in primo luogo come teologo e, poi, come sacerdote. Spero che le ragioni di questa distinzione si chiariscano nel corso della lettera.
La mia reazione ad una prima lettura del testo è stata complessa. Mi sono sentito sollevato nell’osservare che il testo è molto breve e chiaro, abbastanza conciso in confronto a tutto ciò che il circuito delle congregazioni romane ha prodotto durante gli ultimi otto anni.
Spero che le ragioni di questa distinzione si chiariscano nel corso della lettera. La mia reazione ad una prima lettura del testo è stata complessa. Mi sono sentito sollevato nell’osservare che il testo è molto breve e chiaro, abbastanza conciso in confronto a tutto ciò che il circuito delle congregazioni romane ha prodotto durante gli ultimi otto anni.
Sulle mie labbra è comparso un sorriso di simpatia e affetto pensando ai molti sacerdoti che conosco, sia etero che gay, alla lista di qualità desiderabili di maturità affettiva, abilità nel relazionarsi bene con uomini e donne e capacità di una paternità spirituale.
E ha richiamato la mia attenzione lo sforzo che, si nota, è stato dedicato a far sì che il tono del documento fosse più dolce, quasi mite, in confronto ad altre recenti dichiarazioni del Vaticano su argomenti relazionati all’omosessualità. Tuttavia, il testo è abbastanza semplice. Indica, con prudenza, che si basa su ciò che è stata la normale espressione pubblica dell’insegnamento ecclesiastico sull’omosessualità in tutti questi anni, a partire dal Concilio Vaticano II.
Fa una sintesi molto breve dei punti chiave di quell’insegnamento così come si trovano nel Catechismo di Giovanni Paolo II. Sono questi: primo, che tutti gli atti sessuali gay sono gravemente peccaminosi e, secondo, che l’essere omosessuale è un disordine oggettivo.
Dopo aver sintetizzato queste cose, l’istruzione fa una distinzione tra gli uomini omosessuali e coloro che non lo sono, ma che in qualche momento hanno avuto relazioni sessuali con altri uomini.
E’ una distinzione perfettamente ragionevole, facilmente apprezzata dal senso comune (e, in special modo, normalmente evidente per le persone omosessuali): i “giochetti” sessuali tra adolescenti dello stesso sesso, o l’ “omosessualità” circostanziale di un uomo isolato con quelli del suo stesso sesso per un lungo tempo in carcere, nella vita marittima o durante il servizio militare, non è lo stesso che essere gay.
Il documento indica, inoltre, che la presenza di tali episodi transitori nella vita di un uomo eterosessuale non dovrebbe essere considerata un impedimento all’entrata in seminario, fin quando è evidente che il candidato abbia smesso da tempo di compromettersi in queste cose. Tuttavia, non si possono ammettere coloro che, oggigiorno, chiameremmo “gay”.
Poiché l’istruzione fa riferimento a persone “con tendenze omosessuali profondamente radicate” invece di dire “persone gay” o “omosessuali”, alcuni cronisti han fatto notare che dovrebbe essere interpretata nel senso che allude ad una specie particolare di persona gay alienata o ossessiva.
Credo che questo sia uno sforzo per salvare l’insalvabile. La terminologia è l’estensione logica del punto di vista che afferma che non esistono persone gay. Da questo punto di vista, si tratta puramente del fatto che alcune persone ontologicamente eterosessuali vivono con tendenze omosessuali profondamente radicate che costituiscono un disordine psicologico oggettivo. Definiremmo queste persone “gay”.
Il resto del documento consiste, naturalmente, in osservazioni rivolte ai responsabili della formazione sacerdotale. La breve lettera ai vescovi che accompagna l’istruzione, ma che non è trapelata se non in seguito, indica chiaramente che qui cade l’enfasi del testo: tutti i padri provinciali ecclesiastici devono applicare queste regole.
Nessun uomo gay deve essere ammesso al seminario e nemmeno si deve permettere che egli insegni a coloro che si stanno formando nei seminari o nelle case religiose.
L’istruzione è chiara, semplice e logica e non credo che faremmo progressi cercando di farle dire una cosa diversa da ciò che dice. Se si avverte la tentazione di darle un’interpretazione più benevola, allora si può prendere nota delle dichiarazioni del Cardinale Grocholewski su Radio Vaticano e del commento di Monsignor Anatrella su “L’Osservatore Romano” che danno materia per pensare.
Di conseguenza, permettetemi di esporre ciò che considero essere il cammino successivo nella ricezione e interpretazione di questo testo. Per prima cosa, è un documento amministrativo emanato da un dicastero romano di media importanza. Ha optato per stabilire le sue istruzioni all’interno dell’insegnamento comune e corrente della Chiesa.
E con questo scopo fa leva sul Catechismo che è, in questa sfera, un compendio mutevole di insegnamento recente, piuttosto che qualcosa di maggiore autorità.
Penso che faccia questo per due motivi. In primo luogo, l’istruzione sulle persone che vengono ammesse in seminario deve essere evidentemente in armonia con ciò che è inteso essere l’insegnamento ordinario della Chiesa, così come concerne tutti gli altri. Ossia, non si tratta di nessuna istruzione arcana o recondita, propria di una casta clericale.
In secondo luogo, non si pensa che il Catechismo sia parte di un argomento teologico. Esiste una sfera appropriata per la discussione teologica e un dicastero abbastanza più importante nel Vaticano, il cui compito è sorvegliare il suo sviluppo.
Tuttavia, il ruolo di un’istruzione amministrativa proveniente da un ufficio di minor rango è che riflette fedelmente lo status quo dottrinale attualmente in vigore.
Il riferimento che l’istruzione fa al Catechismo è interessante. Sintetizza l’insegnamento secondo cui gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso sono sempre cattivi (un insegnamento molto tradizionale) e, poi, fa una parafrasi del Catechismo dicendo che le tendenze omosessuali profondamente radicate sono oggettivamente disordinate (un insegnamento molto recente).
Non si preoccupa di citare la frase che vincola questi insegnamenti nei documenti precedenti, cioè che “è per il fatto che” gli atti sono intrinsecamente cattivi, che la stessa inclinazione “deve essere considerata” oggettivamente disordinata. I due insegnamenti sono qui presenti senza vincolo e il secondo e più recente si propone di appoggiarla in tutti i modi.
Ecco il punto centrale: è da questa premessa, senza vincolo, del secondo insegnamento sul disordine oggettivo di ciò che chiameremmo l’essere gay, che prende il via tutto il resto in questo documento.
Malgrado ciò, essa si presenta nella forma più discreta che abbia visto nei recenti documenti romani. E’ quasi come se alcune delle tante autorità superiori che hanno controllato questo documento prima di permettere al dicastero di pubblicarlo, dicessero:
“Fate bene attenzione. Sappiamo, noi gay, di essere in molti tra sacerdoti, vescovi, cardinali, seminaristi, professori di seminario e superiori religiosi. Così come sappiamo che molti di noi, indipendentemente dall’essere etero o gay, in realtà non seguiamo l’onda di coloro che dicono che l’omosessualità è un disordine oggettivo.
Sappiamo che in molti consideriamo l’essere gay non più patologico dell’essere mancino. Tuttavia, è evidente che l’insegnamento in vigore indica che l’omosessualità è più paragonabile ad un disordine di personalità che all’essere mancino.
Esistono maniere improprie di trattare questa separazione tra quella opinione, ampiamente diffusa, anche se poco difesa in pubblico nel nostro ambiente, e l’insegnamento in vigore, ed esiste una maniera appropriata.
Vogliamo sbarrare il passo ad una delle maniere improprie di trattare questo tema, nella speranza che tutti insieme possiamo avanzare verso la scoperta della maniera giusta. La maniera impropria è fingere in pubblico di essere d’accordo con l’insegnamento, mentre, di fatto, nella vita privata accade il contrario.
Il risultato è che in molti abbiamo incitato le persone ad entrare in seminario e ad intraprendere il sacerdozio, continuando un gioco portato avanti da troppo tempo.
Ciò vuol dire: facciamo in modo che sia perfettamente chiaro il parlare in “off”, che l’essere gay non rappresenta alcun problema, a condizione di non dirlo in pubblico e di non porre in questione l’insegnamento che dice che l’essere gay è un disordine oggettivo.
Però, trattare le persone in questo modo significa far loro un male terribile. Sono costrette a vivere nella menzogna, condizione previa per essere ministri del Vangelo.
Inoltre, ciò significa fare qualcosa di terribile alle persone alle quali stiamo servendo. Si crea una casta clericale con le sue proprie regole e strutture tolleranti per la vita all’interno del “club”, il prezzo del cui mantenimento è che i suoi membri gay accettino di non sfidare coloro che, in pubblico, sono aggressivi e intolleranti rispetto all’omosessualità, ovunque sorgano temi omosessuali nella vita politica e pubblica.
Detto in altro modo: l’insegnamento del Catechismo è rivolto al popolino, mentre noi abbiamo il nostro insegnamento segreto, il nostro spazio sicuro, per la elite.
Un breve sguardo al Vangelo, per superficiale che sia, rivela che se così stiamo vivendo, allora dovremmo temere per la nostra salvezza; e dovremmo pentirci profondamente di aver continuato questo imbroglio e aver contribuito ad esso.
Di modo che, per favore, chiudiamo una volta per tutte questa cultura di disonestà e mettiamoci d’accordo nell’accettare i candidati e formarli solo alla luce dell’insegnamento attuale della Chiesa e non alla luce di ciò che pensiamo dovrebbe essere l’insegnamento; ma ci manca il coraggio per dirlo in pubblico.
Perché ciò accada, dobbiamo metterci d’accordo sulla maniera giusta di trattare questa separazione tra la definizione attualmente in vigore, delle persone gay come eteri difettosi, e la percezione contraria che molti di noi hanno e se esiste questa maniera giusta; trovare percorsi costruttivi per capire se l’insegnamento, così come recita, sia vero o no.
Ciò comporterebbe studi e domande formulate da teologi e da periti nelle scienze umane corrispondenti che pongano in evidenza ciò che realmente è vero in questo campo. Questo processo, senza risultato prestabilito, avrebbe l’appoggio di quei vescovi e di quelle università che abbiano il coraggio sufficiente per dire che tale studio è necessario.
Gli studi e le domande evidentemente rispetterebbero gli insegnamenti principali della Chiesa ed aderirebbero ad esse.
Tuttavia, sarebbero capaci di segnalare il fatto che le opinioni comunemente considerate definitive, siano a volte più contingenti di ciò che si pensava; e come sia possibile che il percepire ciò non metta in pericolo né l’integrità della fede cattolica, né la santità della vita verso la quale ci sta spingendo.
Una di queste aree potrebbe benissimo essere chiedersi se la caratterizzazione della tendenza omosessuale nei recenti documenti ufficiali sia un tema di fede, o se, prima di tutto, sia un’opinione più o meno ben fondata, basata su una comprensione antropologica e psicologica attualmente corrente, ma che benissimo potrebbe cedere dinanzi ad una comprensione più completa riguardante il perché alcune persone siano “così”.
E’ in tutti i modi altamente improbabile, nonostante ciò che vorrebbero alcuni dei nostri fratelli curiali più impetuosi, che si abbia bisogno di leggere un documento della Chiesa nel senso di voler fare di un giudizio empirico altamente contingente un tema di fede – ricordiamo bene il caso Galileo!
Tuttavia, una Chiesa fortemente internazionale, con i suoi molti membri che vivono in diverse culture, è anche poco probabile che accetti i cambiamenti nei suoi presupposti antropologici, che potrebbero essere provocati da nuovi giudizi empirici contingenti, fino al momento in cui la dimostrazione della loro oggettività sia molto ben fatta da coloro che sanno coniugare il discorso teologico, la perizia scientifica e quel tocco di semplicità che proviene da coloro che parlano con la verità. E per questo si ha bisogno di tempo, studio e coraggio.
Di modo che, attraverso questo cammino appropriato, possano transitare unicamente coloro che sono disposti ad essere minoranza, dei quali inizialmente non si rispettino le opinioni, coloro che hanno fede e fiducia in ciò che dicono: la loro verità e il loro valore per la vita della Chiesa dovranno emergere, prima o poi, per sconsolante che possa sembrare il panorama attuale. In questo cammino non ci sono scorciatoie.
E’ lo stesso cammino del Vangelo, attraverso il quale tutti cerchiamo di vivere.
Solo quando l’argomento si imposta in modo tale che sia evidentemente considerato normale dalla maggioranza sana del laicato cattolico – e questo, forse, sta avvenendo in maniera spaventosamente rapida già in molti paesi – potremo considerare nuovamente la questione dell’ammissione al seminario.
L’argomento che abbiamo davanti è in primo luogo un argomento antropologico, che ci riguarda tutti come esseri umani, e solo in secondo luogo un tema clericale, che riguarda la vita del clero.
Per cui, dobbiamo impedire che la discussione, inevitabilmente segnata dallo scandalo, dall’omosessualità nel clero, si trasformi in sostituto della vera discussione riguardo il luogo della verità degli esseri umani in quanto tali in questo campo, discussione che porterà conseguenze evidenti per la legislazione civile in tutti i nostri paesi.
Ciò che non possiamo tollerare, questo sì, è ciò che è accaduto durante le ultime decadi. Ossia, dove il sacerdozio ha preceduto il popolo laico e ha permesso serenamente ai suoi membri di vivere alla luce di una comprensione abbastanza diversa da ciò che è verità in quest’area, nella quale hanno il compito di esprimersi in pubblico, così come fa l’insegnamento della Chiesa per il laicato.
Poiché sappiamo tutti che questa è un’area in special modo difficile e delicata, nella quale in tanti siamo toccati nel personale, in tanti abbiamo scheletri nell’armadio e in tanti temiamo il ricatto o che ci tirino fuori dall’armadio, faremo tutto il possibile per abbassare l’asticella del salto in alto.
Dunque, stiamo chiarendo l’insegnamento attualmente in vigore nella sua forma più dolce con la speranza che alcuni di voi abbiano l’ardire di suscitare la questione della verità in un modo che permetterà a tutti di progredire.
Allo stesso tempo, pubblichiamo un commento scritto da uno psicologo (e non avete alcun obbligo di essere d’accordo con la sua analisi) per sottolineare il fatto che la verità in questo campo è tale che, in ultima istanza, la raggiungeremo attraverso la discussione di ciò che è empiricamente certo nelle discipline delle scienze umane.
Ricordate, per favore, che uno dei segni che tutti stiamo ricevendo dal Pontificato di Papa Ratzinger è che le cose possono essere dette. Il veto alla discussione adulta imposto da Giovanni Paolo II è scomparso.
Per cui, vi supplichiamo di non affannarvi a difendere il vecchio e disonesto gioco del “don’t ask, don’t tell” (ossia, “a noi è vietato domandarti se sei o non sei e a te è vietato dichiararlo”), un gioco che ha avuto risultati catastrofici. Invece di questo, obbedite all’Istruzione e cercate modi per progredire nella verità”.
In questo modo, do senso al documento come teologo. Ossia, lo considero come un intervento amministrativo di minor aspetto all’interno di un argomento molto più ampio rispetto a ciò che è verità, argomento i cui parametri soltanto adesso iniziano a farsi immaginabili.
Molta gente dovrà ora formarsi il suo giudizio sull’obbedire o meno all’istruzione e, se le obbedisce, allora, in che modo farlo. Il mio istinto (e non ho alcuna abilità in materie etiche) è che esiste una circostanza che giustifica l’assenza di un seminarista gay o che un professore gay del seminario o formatore all’interno di una congregazione religiosa, non rinuncino al loro attuale ruolo.
Questa circostanza si ha se il Vescovo della Diocesi, insieme al suo consiglio presbiteriale, o il superiore religioso con l’appoggio dei suoi ufficiali provinciali, dichiarano pubblicamente che non applicheranno l’istruzione.
E ciò perché, come tema di coscienza, non credono che la premessa antropologica dell’insegnamento ecclesiastico attualmente in vigore sia verità. Affinché la verità del tema sia più chiaramente delucidata per mezzo del dovuto studio delle scienze umane, non rischieranno l’avvenire della parte della Chiesa ad essi affidata, ipotecandola ad una scienza così incerta come quella che soggiace in questa istruzione.
Alcune dichiarazioni pubbliche, recentemente fatte da vescovi e congregazioni religiose, forse seguono questa strada.
Tuttavia, ci saranno senza dubbio Diocesi e congregazioni religiose non preparate ad assumere una posizione così pubblica e, nonostante ciò, vogliono che il seminarista o il professore gay rimanga.
Le loro autorità diranno qualcosa tipo: “Al di là di ciò che dice l’Istruzione, a noi sembra che la cosa importante sia la maturità affettiva e non l’orientamento sessuale. Per cui, a quei seminaristi o sacerdoti gay che giudichiamo affettivamente maturi, capaci di mantenere il celibato, e difensori dell’insegnamento ecclesiastico, non impediremo di entrare o di rimanere ai loro posti”.
Queste autorità sono apparentemente incoscienti del fatto di indurre i seminaristi e professori alla doppiezza. Quindi, effettivamente, stanno dicendo: “In verità, non crediamo in ciò che la Chiesa insegna in questa materia, ma nemmeno siamo disposti a sottometterla ad una discussione pubblica razionale.
Quindi, benvenuti, a condizione che siano adulti come noi e imparino a dire in pubblico che mantengono l’insegnamento della Chiesa in questo campo, cosa che, sappiamo benissimo, non fanno, ma nemmeno lo facciamo noi”.
Una così apparente bontà, sprovvista di coraggio e convinzione, conduce alla morte dell’anima. In un caso del genere, al seminarista o professore converrebbe molto di più prestare ascolto all’Istruzione del Vaticano, uscire da quella istituzione specifica e cercare una sfera più onesta all’interno della vita della Chiesa per realizzarvi la sua vocazione ecclesiale.
L’Istruzione del Vaticano ha il merito della chiarezza e la consistenza, benché sia perfettamente sbagliata nella sua valutazione empirica. Ora, permettetemi di passare alla mia personale risposta all’Istruzione come sacerdote. Questo documento è stato lungamente atteso da me, così come da molti di noi.
Tanti sacerdoti, qualche anno fa, sono stati severamente scossi dalle osservazioni pubbliche, profondamente irresponsabili, del portavoce papale Dr. Joaquín Navarro Valls, il quale asserì che i sacerdoti gay erano illegittimamente ordinati.
All’epoca, questa mi era sembrata una suprema sciocchezza e mi fa molto piacere vedere che il tema sia rimasto formalmente sepolto: il fatto di essere gay non compromette la validità dell’ordinazione sacerdotale. Mi ha anche un po’ sollevato l’evidente riconoscimento, implicito in questo documento ma esplicito nella lettera che lo accompagnava, dell’esistenza di sacerdoti gay.
Non molto tempo fa, dire una cosa del genere era considerata un’infamia da parte di persone alienate. Spero che questo riconoscimento abbia l’effetto di concedere una certa libertà ai sacerdoti che abbiano la sufficiente forza psicologica per dire, finalmente, che sono così. In fin dei conti, si può fare pochissimo al riguardo adesso.
Devo dire che non mi sento neanche lontanamente offeso per l’evidente implicazione del documento, secondo il quale non avrei dovuto essere ordinato. Tutti i coinvolti nella mia ordinazione sapevano che io ero gay e, tuttavia, sono stato ordinato in un periodo in cui noi, come Chiesa, sopportavamo il peso di un’incapacità sistematica di suscitare la questione della verità delle premesse antropologiche dell’insegnamento.
Ciò, evidentemente, ebbe conseguenze dannose sulla nostra capacità di emettere voti o promesse di celibato psicologicamente valide.
L’insegnamento ufficiale era (ed è) che le persone omosessuali non hanno nessuna altra scelta se non il celibato, per cui cosa importa se si è votati o meno ad esso? Naturalmente, è certo che il peso sistematico della disonestà non è soltanto colpa di persone disoneste, ma ha una sua dinamica produttrice di disonestà.
Anche così, siamo in molti, noi uomini, a seguire l’onda del sistema, ne traiamo profitto e sopportiamo il peso della colpa e la confusione per tutto ciò. Io sono uno di loro e non mi trovo assolutamente nella situazione di sollevare una polemica se qualcuno dice che non avrei dovuto essere ordinato.
Nemmeno mi offende l’accusa di difettare in materia di maturità affettiva. Nel mio caso, è vero. Uno dei vantaggi dei miei 10 anni di vita come sacerdote, che in materia canonica è una “non-persona”, è che ho sviluppato un senso della grande spaccatura che esiste tra la generosità di Colui che chiama e noi chiamati, poco preparati alla cosa.
E’ abbastanza evidente, per me, che il sacramento dell’Ordine viene da Dio e opera con relativa indipendenza tanto dell’idoneità affettiva, quanto dei sistemi canonici di coloro che lo hanno ricevuto. Ed ho imparato ad avere fiducia, ogni volta di più, in questa realtà. Sono anche cosciente del fatto che alcune persone hanno menzionato la forza che ha attraversato il mio ministero, cosa che ha pochissimo a che vedere con possibili mie qualità personali e, ancor meno, con qualsiasi approvazione canonica del mio ruolo.
Come la maggior parte dei sacerdoti ho coscienza, per esperienza, che il peso della gloria si porta in vasi di coccio. Per cui, confesso che le meditazioni che l’Istruzione fa sull’idoneità psicologica per il sacerdozio, mi sembrano provenire dalla profonda Ruritania.
Tuttavia, scrivendo come sacerdote e pensando ai miei fratelli sacerdoti, devo dire che la mia attenzione è abbastanza solleticata da qualcosa che ho visto poco commentato.
L’Istruzione sembra considerare che “le tendenze omosessuali profondamente radicate” non sono soltanto un disordine oggettivo (un giudizio empirico con il quale sono in disaccordo). Molto più notevolmente, e credo con tutta ragione, i suoi autori considerano che queste tendenze modellano un fatto oggettivo in merito ad una persona.
Ebbene, ciò significa che qualcuno che nasconde il fatto di essere gay, e in compenso proclama a voce la sua imperitura lealtà al magistero ordinario della Chiesa, non è più idoneo di entrare al seminario o di esservi professore, della persona visibilmente gay che esprime alcune riserve in merito alla vigliaccheria di concordare con tutto ciò che il magistero dice, sia ciò che sia.
Detto in altro modo – e questo sì che mi sembra importante – il documento ha preso il toro per le corna nel riconoscere che stiamo parlando di ciò che la gente è e non delle sue posizioni ideologiche.
Ciò significa che l’Istruzione va nel profondo tanto della destra quanto della sinistra. Temo che negli ultimi anni molti giovani dal talento abbastanza conservativo siano stati inseriti in posti di formazione molto conservatrice (fondamentalista), dove la pietà e una capacità di mantenere e difendere posizioni magisteriali, abbastanza poco plausibili, siano arrivati ad essere il segno distintivo del seminarista targato Giovanni Paolo II.
Tali persone sono state formate con l’impressione che il rigoroso mantenimento della purezza ideologica terminerebbe con dettagli che non convengono su ciò che dovrebbero essere. Dunque, questa impressione è stata ed è falsa. In materia di omosessualità, “chi sei” è una verità oggettiva riguardante te e, indipendentemente dalla tua posizione ideologica o dalla tua delicatezza di coscienza nel riconoscerlo, è un fatto che blocca il tuo accesso al seminario, sia come alunno che come professore.
Finora, la capacità di dissimulare sul “chi sei”, in questa materia, è stata considerata segno di idoneità nei circoli conservatori, come se il fatto di essere gay fosse un tema soggettivo del foro interno.
Ma questo, ormai, non viene sostenuto più. Adesso, quella stessa dissimulazione sul “chi sei” è soltanto un’aggiunta ad una mancanza di idoneità che di per sé è oggettiva e insuperabile.
Dunque, come sacerdote, la mia preoccupazione è la seguente: ebbi la fortuna, circa 10 anni fa, di perdere tutto ciò che mi era caro, di dover lavorare per superare la sensazione di esser stato pugnalato alle spalle dalla Chiesa del mio amore, di apprendere che la conseguenza del considerare che vale la pena parlare con la verità in questo campo è la perdita di tutti i diritti; e, in qualche modo, di iniziare a trovare un senso in tutto questo e sopravvivere con la fede intatta e rafforzata.
Tuttavia, questo è un processo devastante ed è stato a partire da vari anni di depressione clinica, di disoccupazione e di paralisi emozionale, che ho iniziato a lavorare su questo tema. Dover affrontare questo processo è qualcosa che non auguro a nessuno.
Nel frattempo, spero che molti altri sacerdoti gay, dalla mentalità più flessibile della mia, abbiano avuto sufficienti opportunità per pensare a ciò che devono fare, come rispondere, come affrontare temi del tipo “uscire allo scoperto” o cose del genere. Sarà toccato loro vivere, in fin dei conti, durante tutta l’incessante copertura mediatica dello scandalo della scoperta dei sacerdoti pedofili.
Saranno arrivati alla noia per il tanto ascoltare che tutto è colpa dei gay, dei liberali o dei teologi dissidenti. E avranno avuto una qualche opportunità di adattarsi psicologicamente alle nuove realtà alle quali si stanno rapportando, così come di sviluppare una nuova capacità per un discorso onesto, capacità la cui nascita in essi è segno di una grande grazia.
Ho avuto il privilegio di trovarmi con un buon numero di sacerdoti in questa situazione e di accompagnarli in ritiri dove lavorano esattamente sull’incidenza di questi temi nella propria vita.
Coloro che non avranno avuto alcuna opportunità per prepararsi degnamente sono quelli ai quali hanno dato ad intendere che il tema gay è un tema ideologico, parte di una guerra culturale, qualcosa che ha a che fare con ciò che la gente fa (atti sessuali) o ciò che la gente dice (“uscire allo scoperto”, sfidare l’insegnamento ecclesiastico) e non riguarda ciò che la gente è.
I seminaristi e professori di seminario che si trovano in questa situazione, che saranno tra i meno capaci di esprimere il proprio dolore e protesta, sono le persone per le quali sarà più duro superare la sensazione di esser stati pugnalati alle spalle dal riconoscimento che questa istruzione fa sulla questione che avere “tendenze omosessuali profondamente radicate” sia un fatto.
Un fatto da affrontare per il quale non è stato dato loro alcun appoggio psicologico, nemmeno un vocabolario adeguato. E queste persone, di conseguenza, se sono oneste, devono andarsene.
Spero in Dio che coloro che hanno incontrato uomini così sulla strada della irrealtà (e lo hanno fatto per lo meno nella stessa misura dei liberali disonesti, che di solito vengono disprezzati pubblicamente e ardentemente), mettano adesso a loro disposizione i mezzi finanziari e psicologici adeguati per la cura e l’accompagnamento a lungo raggio di queste loro pecore esiliate, molte delle quali nemmeno avranno iniziato a parlare del tema con le proprie famiglie.
Anche questo è un tema di salvezza. Grazie per avermi accompagnato nella mia riflessione. Preghiamo gli uni per gli altri mentre ci accompagniamo reciprocamente lungo questo episodio, sorprendentemente speranzoso, nella vita della nostra Chiesa.
Vostro fratello James
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[1] Il suo titolo completo è Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri.
* James Alison, i cui libri sono letti e apprezzati dai cristiani di numerose confessioni, è un teologo e sacerdote cattolico inglese, apertamente omosessuale, propugnatore della piena legittimità evangelica dell’esperienza omosessuale.
Nella sua riflessione teologica, sempre sospesa in un costante andirivieni tra “tradizione” e “innovazione”, offre alcune affascinanti interpretazioni bibliche e invita i cristiani, soprattutto omosessuali, perché diventino consapevoli di dover svolgere un ministero di “apertura profetica”, di svolta evangelica verso tempi nuovi per tutta la comunità cristiana.
Testo originale: Carta a mis amigos en respuesta a la Instrucción del Vaticano del 29.XI.2005