Mela-mela-melanconia omosessuale e altre baggianate
Considerazioni di Silvia pubblicate sul blog LezPop il 7 giugno 2013
La vie d’Adele ha vinto Cannes: Kaboom. Com’era ovvio (e anche giusto), i giudizi a riguardo continuano a moltiplicarsi, ben lontani dall’esaurirsi. Com’era altrettanto ovvio, però, c’è chi, con ben meno giustificazioni, ha deciso di utilizzare il film (che non ho ancora visto, e su cui quindi non mi esprimo) come (enessimo?) trampolino di lancio per esprimere opinioni non richieste sull’omosessualità.
E notate bene, non sto parlando del sempre attuale dibattito sui matrimoni gay, sui patti civili, sulle adozioni. Meno ancora mi riferisco alle leggi che dovrebbero esserci, eppure non ci sono, contro l’omofobia. No, quello su cui la penna di turno ha inesauribile voglia di discutere è l’omosessualità in sé nella sua astratta purezza, nella sua quotidiana fisicità, nella sua semplice esistenza, capace ancora di portare tanto scompiglio.
Si interroga, chi scrive (in questo caso Antonio Scurati, dalle pagine de La Stampa del 30 maggio), sul significato e sull’origine di questa stranezza oggi protagonista del film vincitore di Cannes. Una realtà ancora considerata altra, analizzata con distacco accademico leggermente ostentato, descritta con il fare paternalistico di chi non ha nessuna intenzione di mettere in discussione le proprie opinioni ed è aperto al dialogo soltanto per ribadire la propria ragione.
Trovo difficile descrivere quanto sia aberrante l’articolo di Antonio Scurati, intitolato Una nuova e crescente melanconia omosessuale. Come non soltanto una buona dose di omofobia ma anche una mai abbandonata misoginia si ritrovi fra le sue parole. Dovreste leggervelo per intero, come ho fatto io, ripetendomi incredula che si tratta di un articolo de La Stampa di una settimana fa. Una settimana fa.
Tra le tante frasi sbagliate, la vittimizzazione (e, in questo, la rivalorizzazione) di chi si oppone al riconoscimento di un diritto che nulla toglie a chi non ha intenzione di servirsene (Tutti “invalidi” mentali e sentimentali questi angosciati oppositori del libero amore?). L’ascrizione della rappresentazione del mondo omosessuale (o meglio, lesbico) ad un certo gusto voyeuristico e decadente che non riesce a scalfire il reale interesse, o la vera coscienza (Posto in questi termini, il trionfo cinematografico dell’amore lesbico rischia di essere l’ennesimo lavacro per la falsa coscienza di un Occidente decadente votato a un progressismo di facciata.). La privazione della serietà di una riflessione articolata, ridotta a poco più di una gara all’estremismo intellettuale, irrazionale quanto priva di seguito (Sono le teorie femministe e lesbiche più evolute a contestare l’illusione di una stabile identità di genere e a proporre una concezione perfomativa dell’identità sessuale come risultato, sempre precario e mutevole, di pratiche diverse, negoziazioni sociali, risignificazioni costanti.).
Più di tutto, però, è il passaggio che segue a lasciarmi senza parole:
Guardiamoci attorno nelle nostre metropoli d’Occidente e non vedremo in prevalenza magnifiche fanciulle in fiore che innalzano inni eroici negli abbracci dei loro corpi in amore ma donne prossime alla quarantina che optano per il lesbismo come ripiego rispetto alle delusioni della vita (spesso una vita coniugale e famigliare). Valicata la dorsale dei trenta anni, quando il maschilismo giovanilista e sessista che permea la nostra società le taglia fuori dal carnevale, riparano in un secondo gineceo, un libro post-maschile che le fa respirare di sollievo.
Non ho ancora deciso se il problema, per Antonio Scurati, sia che le lesbiche non sono rappresentate in maniera veritiera dai film che dovrebbero parlare di loro, oppure che non ci sono abbastanza lesbiche in fiore disposte a mostrare i loro corpi in amore.
Confusione a parte, siamo davvero costrette a ribadire, ancora oggi, che si è lesbiche perché si è attratte dalle donne, e non perché si sia incapaci di trovare un uomo? Stiamo davvero parlando di un articolo scritto una settimana fa?
Se c’è qualcosa di cui possiamo gioire, però, è la risposta che Elena Loewenthal ha pubblicato il giorno seguente, sempre su La Stampa, e che si apre magistralmente con Non ho più l’età (per essere lesbica – nota mia).
La Loewenthal è cortese dove Scurati è ruvido, toccante dove Scurati è pruriginoso, ironica dove Scurati è pedante. E, in fondo, fa una cosa semplicissima: sostituisce i voli pindarici con esempi reali. Perché guardando le cose a distanza 1:1 è meno facile imbrogliarsi.