A 39 anni mi chiedo “che senso ha essere nati gay?”
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A volte mi passa veloce nella mente il pensiero di morire, così la vita senza senso smette di esserci e tutto avrebbe un senso. Io marco, 39 anni, mi trovo a chiedermi veramente che senso ha essere nati gay, buttare all’aria un matrimonio per ovvi motivi, e trovarsi qui, da soli a cercare un amore che mai arriverà, in una nazione che non ci vuole, con un papa che non ci vuole, con me stesso che non mi voglio questa è la realtà.
ciao ragazzi
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La risposta…
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Caro Marco, nel leggere la tua lettera ho pensato alla storia del profeta Elia che viene raccontato nel capitolo 19 del primo libro dei Re. Elia si rende conto non solo di essere rimasto l’ultimo profeta del Signore (1 Re 18,22), ma anche dell’inutilità di tutti i suoi sforzi per uscire da questo cerchio di solitudine.
Non gli servono infatti né la clamorosa vittoria nella sfida con i sacerdoti di Baal, né la violenza con cui stermina i suoi avversari: tutto è inutile e la regina Gezabele gli manda a dire che non avrà pace fino a quando non lo vedrà morto.
Elia, impaurito, si inoltra nel deserto e, dopo essersi seduto sotto un ginepro dice: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri» e si abbandona a un sonno profondo da cui non vorrebbe più svegliarsi. Il Signore gli manda un angelo che gli porta del cibo e che lo invita a mangiare, Elia obbedisce, ma poi si rimette a dormire fino a quando l’angelo lo sveglia una seconda volta e gli dice: «Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino».
Non so se riesci a riconoscerti nella vicenda di Elia. Io, tanti anni fa, quando l’ho letta in un momento di disperazione simile a quello che stai passando tu, mi sono riconosciuto nella solitudine, nella disperazione e, soprattutto, nello sfinimento che porta Elia a cercare, nel deserto, un sonno da cui non svegliarsi più.
Se ci pensi bene la prima risposta di Dio alla disperazione di Dio è molto ordinaria: non si mette a parlare, non usa quegli “effetti speciali” che, nella Bibbia, accompagnano la sua presenza, non lo toglie dalla condizione di solitudine in cui era, ma lo sveglia e gli procura da mangiare e da bere, lo fa soccorrere da uno sconosciuto che gli permette di avere quello che è necessario per sopravvivere e che lo incoraggia a intraprendere il lungo cammino verso quello che il testo biblico indica come «il monte di Dio».
Ecco perché ti invito, carissimo Marco a non lasciarti vincere dalla disperazione che, come scrive San Tommaso d’Aquino, è uno degli strumenti che il demonio utilizza per allontanarci da Dio e di scommettere ancora una volta sulla possibilità di poter finalmente realizzare in pienezza il tuo desiderio di felicità accettando quelle che sono le premesse necessarie alla sua realizzazione (ovvero, per continuare ad utilizzare l’immagine di Elia, accettando la fatica che comporta il cammino verso il monte di Dio).
Per aiutarti te le elenco brevemente. Devi innanzi tutto aprirti alla possibilità che la tua omosessualità abbia comunque un significato all’interno del progetto di Dio. Non si tratta tanto di darti una risposta consolatoria che faccia da surrogato alla vera risposta alla domanda che tu sollevi con la tua lettera («Che senso ha essere nati gay?»).
Si tratta piuttosto scommettere sul fatto che una risposta a questa domanda non può non esserci, perché (per dirla con una bellissima frase di don Franco Barbero): «Dio non è una fabbrica di automobili e, quindi, non fa mai pezzi difettosi».
Anche qui ci può venire in aiuto la storia di Elia che, dopo aver raggiunto il monto Oreb, non altera la realtà, ma la confida al signore per quello che è, abbandonando però l’amarezza e la disperazione che lo avevano portato sull’orlo del suicidio.
Alla domanda del Signore che gli dice: «Che fai qui, Elia?» lui risponde con queste parole: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». Prova a immaginarti nella sua situazione.
Pensa a quello che potresti rispondere tu a Dio e vedrai che le parole non saranno poi così diverse da quelle che Elia aveva usato allora: «Sono rimasto l’unico a credere che si possa davvero essere omosessuali e conservare l’amicizia con te.
Tutte le persone che incontro o mi disprezzano o mi deridono. Le situazioni che vivo lasciano nel mio cuore desolazione e amarezza e ci sono stati momenti in cui non ho visto nessuna via d’uscita».
Naturalmente, per mettersi in cammino, occorre ritrovare un po’ di energia, perché se si è come una batteria scarica, non si va da nessuna parte. Questo è il messaggio che, nel racconto di Elia, ci viene dall’immagine del cibo e dell’acqua che il Signore gli manda.
Ma come puoi ritrovare anche solo un po’ di energia se ti disprezzi? Come fai a intraprendere il cammino di Elia se fai non impari a volerti bene? So benissimo che da quello che dice il papa, da quello che dicono molti vescovi, da quello che dicono molti personaggi che vengono considerati autorevoli, non riesce ad emergere un’immagine positiva dell’omosessualità.
Ma cosa ne sanno tutte queste persone della tua vita? Cosa ne sanno queste persone del tuo desiderio di amare e essere amato, al di là degli egoismi e delle contraddizioni che spesso accompagnano qualunque esperienza umana? Che ne sanno queste persone dello sforzo che migliaia di omosessuali fanno, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, per realizzare, nelle loro vite, la volontà di Dio?
Purtroppo tutte queste persone parlano della nostro condizione solo per sentito dire, un po’ come gli amici di Giobbe, che si mettono a pontificare sulla sua vita senza fare i conti con la sapienza che nasce dall’esperienza diretta.
A costoro, Dio non risponde, mentre a Giobbe da comunque una risposta che lo porta a dire quella bellissima frase con cui si conclude il libro della bibbia che lo vede come protagonista: «Ascoltami e io parlerò, io t’interrogherò e tu istruiscimi. Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono» (Gb 42,4).
Anche tu, come Giobbe, non dare retta a quanti pontificano sulla tua condizione di omosessuale spingendoti a disprezzarla. Mettiti direttamente alla scuola di Dio, non abbandonare la preghiera, mettiti, nei limiti del possibile, in quell’ascolto silenzioso che permette l’incontro con lui.
Ricordati che il Signore ti conosce molto meglio di quanta ti possa conoscere qualunque papa o qualunque altro leader religioso. Ricorda che lui ti conosce molto meglio di quanto tu possa conoscere te stesso. Fidati di lui e chiedigli tutti i giorni di aiutarti a ritrovare le energie per intraprendere il tuo cammino.
Si tratta di correre il rischio che lo stesso Elia assume quando accetta il cibo da uno sconosciuto in mezzo del deserto. Si tratta di scommettere su Dio contro tutti i soloni che pontificano in questo mondo quando si parla di omosessualità.
Alla luce di questa scommessa, che equivale poi all’atto di fede di chi dice al Signore: «Mi fido di te e, anche se non capisco il senso di quello che sto attraversando, so che questo senso ci deve essere, perché sei tu a dirmi che c’è» si tratta di mettersi in attesa dei segni che ci permettono di capire quale sia il progetto che Dio ha su di noi.
Nel racconto di Elia i falsi allarmi sono più d’uno e sono tutti caratterizzati da qualche cosa di straordinario. Racconta infatti il primo libro dei Re: «Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco».
Io in questo racconto ci leggo un avvertimento importante: quando davvero si cerca l’incontro con Dio non ci sono scorciatoie e, soprattutto, occorre diffidare da tutti coloro che, con effetti più o meno speciali, si affannano a dirci che Dio è con loro. I tempi dell’incontro con noi è lui che li decide e, soprattutto, il modo in cui, di norma, lo incontriamo, è sconcertante nella sua banalità.
Elia si accorge infatti della presenza di Dio quando sente una brezza leggera, qualche cosa molto meno spettacolare del vento impetuoso, del terremoto e del fuoco che l’avevano preceduta.
Analogamente, anche nella nostra vita, la presenza di Dio, se davvero la cerchiamo con gli occhi della fede, non è negli incontri “definitivi” che sembrano sconvolgere la nostra vita, ma nelle necessità delle persone che abbiamo di fronte tutti i giorni, che hanno bisogno del nostro aiuto e che ci interpellano con le loro necessità.
Non te lo dico io, caro Marco, ma è Gesù stesso che ce lo ricorda, quando ci dice, nel Vangelo di Matteo, che tutto quello che facciamo alle persone che hanno bisogno di noi, è come se l’avessimo fatto a lui (Mt 25,35).
La prossima volta che ti capita di andare in quei locali che tu descrivi come «i posti da una botta e via» prova a guardarti intorno con più attenzione e vedrai quante sono le persone disperate che aspettano una parola buona, che hanno bisogno, più ancora che di un momento di intimità, di un po’ di amicizia e di solidarietà.
Cerca di andare al di là dell’egoismo che spesso regola i rapporti interpersonali in certi contesti e chiediti davvero come puoi essere utile alle persone che incontri.
Se proprio non trovi nessun modo per rompere il muro di solitudine che circonda molte delle persone che ci sono in certi locali, affidale al Signore e dì una preghiera per ciascuna di loro. Alla fine della tua serata, magari non avrai trovato l’amore della tua vita, ma avrai almeno amato delle persone con il disinteresse e con la gratuità che rendono autentico l’amore.
Se imparerai ad apprezzarti per quello che sei e se saprai cogliere le occasioni di amicizia con altre persone omosessuali che potranno nascere da un atteggiamento di maggiore disponibilità, in cui non tutto è finalizzato alla ricerca di momenti di intimità con l’altro, sarai allora pronto per intraprendere la seconda parte del viaggio di Elia che, dopo aver incontrato il Signore, viene invitato a ritornare sui suoi passi «verso il deserto di Damasco».
La storia d’amore a cui tanto aneli, la relazione duratura che ricordi nella tua lettera, potranno avere la giusta stabilità solo quando avrai imparato davvero a trovare in te stesso l’equilibrio necessario per permettere all’altro di appoggiarti su di te e di trovare in te un aiuto.
E non a caso Elia, dopo aver obbedito alla voce di Dio che gli dice di ritornare nel deserto, incontra finalmente un compagno di strada nel giovane Eliseo, iniziando un rapporto di amicizia in cui Elia da molto di più di quello che riceve.
Anche tu, caro Marco, come tutte le persone che cercano una vera relazione d’amore, sei chiamato a fare i conti con la tua solitudine e ad accettarla con la tranquillità di chi sa abbandonarsi finalmente alla provvidenza di Dio.
Anche tu, caro Marco, potrai chiedere a Dio di aiutarti a trovare qualcuno che sia capace di rompere, con la sua presenza, il paesaggio di solitudine in cui cammini. Anche tu, caro Marco, dovrai fare i conti con la fatica e con la pazienza che l’amore richiede quando è davvero autentico e assume quella dimensione “coniugale” che lo porta a durare nel tempo.
E anche tu, caro Marco, dovrai vivere questo amore nella prospettiva più grande dell’unico amore di Dio: un amore che non si chiude agli altri e che potrà aiutare te e i tuoi amici a vivere meglio quella dimensione di prossimità e di servizio a cui siamo chiamati tutti.
Si tratta in sostanza, di capovolgere la prospettiva da cui di solito noi uomini partiamo: non dobbiamo chiedere al Signore di incontrare un amore che ci possa rendere felici, ma dobbiamo offrirgli la nostra disponibilità e dirgli che, seguendo il suo esempio, siamo disposti a perdere il nostro tempo e le nostre energie per rendere meno infelici gli altri.
Sarà lui a trasformare questa disponibilità e a farci incontrare qualcuno che sia capace di amare ancora di più nella logica che così bene è stata descritta da San Giovanni della Croce quando scrive: «Se nella tua vita non c’è amore, metti amore, troverai amore».
Ti abbraccio forte, caro Marco, e ti incoraggio a non perdere mai la speranza in quel Dio che ti cammina sempre vicino e che sempre camminerà con te fino alla fine dei giorni.