A volte, uno starnuto… Incontri e storie dal Dolomite Pride
Testimonianza di Jacques
Era un bel mattino quel sabato 9 giugno 2018. La notte precedente ci fu l’ennesimo acquazzone che, anche nelle nostre zone tra Bassano del Grappa, Castelfranco Veneto e Montebelluna, si rivelò essere una bomba d’acqua con allagamenti o altro. Ma quel mattino doveva preludere ad una giornata “particolare”.
Come tutte le mattine, dopo colazione, andai a trovare mia madre in casa di riposo fino alle 12. La santa messa prefestiva, qualche chiacchiera con le amiche ospiti, un pout-pourri di sonate al pianoforte per allietare lei e le altre nonnine e, cribbio, già le 11.15, è ora del pranzo!
Normalmente gli altri giorni, non ero così “puntuale” ad imboccarla – mamma purtroppo causa Alzheimer, non è più in grado di alimentarsi da sola – e sovente cercavo di ritardare qualche minuto per regalarmi brani romantici e malinconici che suonavo bene, nonostante non sapessi un’acca di partiture, chiavi, bemolli e simili; no tutto era eseguito rigorosamente ad “orecchio” come autodidatta.
Ma quel mattino, come dicevo, mi riservava qualcosa di “particolare”. Con le sempre amorevoli cure e con la sua preziosa collaborazione, ero riuscito a darle tutto quanto ci avevano preparato. Lei era serena, e questo mi tranquillizzava. Nel salutarla con 4 baci… – eh sì, a lei non ne basta uno, vuole il secondo per me, e non c’è due senza tre… e il quarto vien da sè… – guadagnavo l’uscita a gambe levate. Alle 12.20 dovevo essere a Bassano del Grappa per prendere un treno “speciale”. A Trento si teneva il primo DOLOMITIPRIDE, incontro di varia umanità (perché alla fine questo siamo) contro ogni discriminazione verso le persone LGBT.
Erano le 11.40, ragionando con la testa, e non con gli ormoni a mille visto che era il mio primo pride, realizzai che non ce l’avrei mai fatta. Pensavo infatti: “Se prendo anche il treno successivo delle 13.30 arrivo comunque alle 15.30, il raduno inizio alle 15, ma ora che ci si metta in corteo… Mi presi un tramezzino e una bottiglia di aranciata. Con mia sopresa arrivavo davanti alla stazione alle 12.10. Vuoi vedere che riesco a prenderlo sto treno” dissi tra me e me. Occhialini da sole: ok, berretto ok; scarpe comode anche. Tra me e il treno c’era però la fila alla biglietteria.
Bla bla, il treno di qua, il costo di là… alla fine per 5 minuti lo persi. Poco male, potevo rifocillarmi più tranquillo. Ok ok, arrivo al sodo… Bene, salgo nel vagone, e mi accomodo. Affido a Gesù anche questo pomeriggio. Di stazione in stazione si alternano davanti a me paesaggi meravigliosi; in una di queste ci attende una folla di sportivi ciclisti che stanno ritornando a Levico Terme. Si siedono davanti a me grondanti di sudore e iniziano a confabulare del premier Conte, dei ministri, dello spread, sghignazzando ogni tanto… “Questo governo ci pelerà tutti per bene, vedrete. Bisogna che portiamo i nostri soldi in Austria, la Svizzera non garantisce più come una volta…”. Questo è altro erano i loro discorsi. Il loro italiano tradiva però una provenienza lombarda. Come detto si fermeranno a Levico Terme.
Arrivato a Trento, scendo e, mentre cammino, stimolato da una parte e titubante dall’altra (chissà cosa avrei trovato, nudi di qua, scene di sesso di là, e chissà cos’altro…), mi sono ritrovato già in piazza Dante. Bandiere, bandierine e cappelli, magliette e braccialetti, palloncini e striscioni, tutti nei vari colori del Pride. Mi guardo in giro e vedo solo tanti visi normali, papà e mamme con figli, anche simpatiche vecchiette che non disdegnano la bandiera arcobaleno disegnata sul loro viso. E’ un bel vedere. Non ci sono gesti espliciti o altro, qualche bacio furtivo, qualche drag queen, truccata benissimo, ma niente di più. Mi colpisce una donna con il suo cane… che c’è di strano? C’è che se lo è tenuto in braccio per tutta la sfilata… (oltre 2 ore e circa 10mila persone) chissà cosa direbbe se potesse parlare.
Devo ricordarmi che alle 19.05 c’è l’ultimo treno per Bassano del Grappa. Perché il Pride? Su tutto perché prima di giudicare è bene conoscere chi ci sta di fronte. E per fare questo c’è bisogno di ascolto, quello vero. L’informazione di stampa e tivù, molte volte dipingono con malcelato disprezzo il radunarsi di queste persone, di queste Creature di Dio (tali siamo piaccia o no) che esprimono in queste occasioni il calice amaro del sentirsi discriminati, quando non torturati psicologicamente e fisicamente, o in tanti, troppi casi, indotti anche all’estremo gesto…L semplicemente per il fatto di amare una persona dello stesso sesso. Magari non tutti saranno dei repressi, ma la stragrande maggioranza penso portino con loro tanti anni di sofferenza. Dietro ogni trucco, ogni urlo orgoglioso, ogni plateale protesta, c’è una persona che dovutamente ascoltata potrebbe donarci chissà quanti spunti di riflessione. Sapessimo incontrarli e fare vuoto dentro di noi…
Come è giusto che sia, non tutto ciò che propone il Pride deve essere condiviso per forza. Sono consapevole che quello che segue non piacerà, ma ci sono stati anche cartelli un tantino offensivi che non mi sono piaciuti. Alcuni temi molto delicati come la costruzione di una famiglia (dove chiaramente non sono esperto ma desidero dire la mia) e il cosiddetto “utero in affitto”, rischiano di fare di quella libertà troppe volte repressa anche nel sangue, un libertinismo senza regole né responsabilità. Mi piace più l’idea che una coppia gay o lesbica possa adottare una creatura già nata, non loro, magari orfana o disconosciuta dalla madre, e anche qui, con tutti i test di idoneità cui vengono sottoposte le coppie etero sposate.
La chiave di tutto sta, appunto nel dialogo tra persone LGBT e le istituzioni civili e certamente anche religiose. Cercare, trovare insieme il giusto percorso di rispettoso confronto è, secondo me, l’unica scelta, l’unica strada che potrà far cadere molti muri omertosi da entrambe le parti, sapendo che potrebbero essere necessari dei compromessi. Nonostante molte persone LGBT odino la Chiesa e chi come noi gay cristiani vuole viverci dentro per migliorarla, penso che il Santo Padre e i Cardinali preposti debbano aiutare sempre più quei sacerdoti che aprono le loro parrocchie, le loro Chiese, alle persone come noi, e con noi capire il progetto di Dio sulle nostre vite.
Su questo non mi sono sentito molto a mio agio. Una parte di me ha fortemente voluto esserci, l’altra si sentiva come un pesce fuor d’acqua, come qualcosa di non mio. Forse perché – volutamente – non ho chiesto a nessuno di accompagnarmi. Volevo essere da solo ad affrontare questa “sfida con me stesso”. Ciò nonostante per fortuna ha prevalso il lato della condivisione, del non volere essere solo un osservatore passivo. Mi sono messo a camminare anch’io con loro e come loro ho voluto e conservo 2 braccialetti giallo e arancio accompagnati da qualche selfie. Come dire: non condivido tutto ciò che chiedi, ma certamente sono qui per difendere il tuo sacrosanto diritto di essere ascoltato.
Arrivati al parco delle Albere, un panino veloce e sono già le 18.15. Devo ritornare in stazione. Dopo una bella rinfrescata, convalido il biglietto, mi siedo sulla panchina di marmo presente e rifletto su cosa ho guadagnato nell’essere a Trento oggi. Un tipiedo sole non ancora pronto per tramontare riscalda cuore e mente e trasforma i miei pensieri in preghiera. Pensando alla mia di storia, rifletto su quanta gente, oggi, lì, sia espressione di una vita vissuta con sofferenza, un urlare al mondo, anche con trucco e paillettes, che nessuno ha il diritto di prevaricare sulla sacra libertà di ogni uomo e donna di questo pianeta e al tempo stesso però, sapere che la mia libertà finisce dove inizia quella dell’altro; sapendo che anche dentro di loro, Gesù lavora “sottotraccia”, in silenzio e amandoli per quello che sono, che siamo… se ogni tanto urlassimo anche a Dio il nostro dolore, oh, quanto ci donerebbe in cambio per il solo fatto di riconoscerlo…
Mentre queste immagini si riavvolgono nella mente, si avvicina un giovane, bello, alla panchina. Si accende una sigaretta e si siede all’altra estremità. Un fisico curato, i pantaloncini corti mettono in evidenza un corpo ben strutturato. Verrebbe spontaneo fargli un complimento, ma non è tanto questo quello che mi interessa, sarebbe stato scambiato per la solita rimorchiata con i soliti fini ottenendone un secco rifiuto.
No, ero curioso di cercare un confronto, un dialogo, io over 50 con un giovane ventenne, sugli stessi temi ma visti da età differenti. Come fare? Si sa l’aria frizzante di montagna può congestionare momentaneamente le vie respiratorie… “Etciù”. Così rispose il suo naso. “Salute” gli replicai io. “Grazie”, rispose il giovane, che cercava, non trovandolo un fazzoletto di carta: “Eh se avessi il pacchetto te lo darei volentieri ma…”. Il giovane continua a tamburellare sul suo smartphone fino a terminare la sigaretta.
Ogni tanto lo guardo, il cuore batte a mille. Prego Dio – se è nel suo progetto – di darmi forza e parole giuste. Ora o mai più. “Scusami, mentre aspettiamo il treno per Bassano, posso fare un po’ di conversazione con te?”. E lui di rimando: “Certo, perché no?”. “Immagino tu sia stato qui al pride, cosa ne pensi? Cosa ti ha spinto a partecipare?”.
E pian piano, mentre i minuti passano e lui mi parla, comprendo che la quasi totalità delle risposte è uguale alle mie. Sono le 19. E’ tempo di convalidare il biglietto e di prepararsi a salire. Come spinto da dentro gli chiedo: “Ti fa piacere se ne parliamo ancora in treno verso Bassano?”. Ottengo un sì sincero. Saliamo e ci accomodiamo.
Quello che all’inizio pareva fosse una chiacchierata di circostanza, si rivelerà poi essere una confidenza profonda di alcuni aspetti delle nostre vite. Lui, Marco, questo il suo nome, ha vent’anni, gay fin da 13 anni ma solo da 1 anno ha iniziato a relazionarsi seriamente con altri ragazzi. Ha studiato informatica e ha già il merito di lavorare su questo settore. Ragazzo fortunato ed intelligente nella scelta degli studi. Ha pure un suo “moroso” con qualche anno in meno, di nome Giulio. Sfortunatamente una distrazione fatale lo ha fatto andare fuoristrada quasi sfasciando l’auto, ed è quindi costretto a girare in moto, il che sarebbe normale, se non fosse che per andare a trovare il suo Giulio, Marco si deve fare 45 km in andata visto che abita a Camposanpietro (PD) e altrettanti al ritorno.
Anche lui chiede un po’ di me, ma con più discrezione, giustamente, sia perché non ci siamo mai visti prima, e forse anche per il rispetto della diversa età. Tra le domande di rito c’è quella sul coming out. Marco mi guarda bene e dice: “Non ho un buon rapporto con i miei genitori, ho tentato di dirlo a mamma ma non c’è verso, lei non solo non vuole che si parli del mio essere gay, ma ogni occasione è buona per schernirmi e rinfacciarmi ciò che non sono. Con mio padre non si è ancora minimamente accennato alla cosa. I mie fratelli, uno di 33 anni e uno di 29, dicono che dovrei farmi curare perché dall’omossessualità si può guarire con determinate terapie… e così per non creare problemi e litigi continui, fin che sono lì taccio e tengo dentro…”
I suoi occhi si fanno lucidi e rossi… Sono come allibito. Gli apro le mani e lui me le porge. Com’è possibile giudicare come uno “sbaglio” una Creatura così bella, solare, intelligente, studiosa con profitto, già inserito nel lavoro e se non bastasse con così tanto amore per Giulio da farsi 90 km in moto 3 volte la settimana con tutti i rischi che questo comporta?
Come può una madre, colei che ti ha portato per 9 mesi in grembo, l’unica che può dire a ragione, di essere carne della tua stessa carne, rigettarti in così malo modo ?
“Marco” gli chiedo: “non è che stiamo ingigantendo un po’?” E lui: “No, è tutto vero”. Mi si stringe il cuore e mi viene un gemito di lacrima. Non sono genitore è vero, ma ho l’età per essere suo padre. E quindi come posso non essere triste per questo loro atteggiamento? Senza sminuire il problema, cerco di farlo riflettere sul fatto che comunque, vivendo in casa, non gli manca niente. Un motivo sufficiente per assecondare un’attimo il suo malessere nel non essere accettato, e di donare almeno a sua madre qualche attimo di tenerezza, un grazie detto con la bocca ma tradotto in un abbraccio forte…
Piccoli gesti che potrebbero farla riflettere e cambiare atteggiamento. Mi viene in mente una delle tante bellissime scene del film “INDOVINA CHI VIENE A CENA” dove non solo si considera la sofferenza dei novelli sposi, ma anche il travaglio dei genitori di lei, bianca e di lui, nero. Certo lì si parla di uomo e donna che si amano e vogliono sposarsi, ma poichè sono diversi dal colore di pelle sono discriminati dalla società e dalle loro famiglie. La sostanza anche per noi gay non cambia, sempre di discriminazione si tratta. Alla fine, dopo essersi confrontati tra loro anche vivacemente, il padre di lei (Spencer Tracy) raduna tutti gli interessati e pronuncia queste bellissime parole.
Di rimando anche per me si riaprono i tristi cassetti dei ricordi, nei quali vi è tutto l’amaro del sapermi gay ma di non aver trovato il coraggio (erano i primi anni ‘80) di parlarne con i miei. Ogni tanto chiedo a Marco se vuole cambiare discorso o se si sente a disagio: “No no, continuiamo pure”. Parliamo anche di ragazze dove anche lì, per entrambi noi due, non sono state esperienze che ci hanno fatto cambiare idea, anzi semmai hanno rafforzato la nostra reale dimensione.
Da gay Cristiano e cattolico non posso che chiedergli come sia il suo rapporto con Dio. Mi dice che ci crede ma non è praticante. Gli rispondo come mi ha detto tempo fa un altro gay: “Quando sono a Bassano del Grappa in mezzo al frastuono del mercato e ho voglia di un po’ di silenzio, entro in Duomo e tutto sparisce. E lì riesco a parlare con Dio”. Questa non è forse preghiera?.
Vedendolo attento nello sguardo lo invito a provare di fidarsi di Gesù. Lui non ci chiede una sequela di rosari dove a parlare sia solo la bocca. No, Gesù ci chiede poche parole semplici, sofferte o piene di gioia, ma dette con il cuore. Quei due minuti di ogni giorno potranno allora aumentare sempre più se Lui ci darà il dono di aumentare la Fede.
Gli faccio anche presente la realtà dei gruppi di cay cristiani presenti un po’ in tutta Italia e anche nel Veneto, e del sito che parla di tutta questa realtà: Gionata.org. Ma soprattutto, con molto tatto, di quante lettere di suoi coetanei sono pubblicate e delle relative risposte, da leggere, sul Progetto Gionata.
Le due ore di viaggio terminano a Bassano, ormai è già buio. Nel salutarlo ci facciamo anche un selfie che mostrerà al suo Giulio e che gli chiedo di mandarmi. Gli assicuro la mia preghiera, lo ringrazio e ci abbracciamo. In cuor mio spero che qualcosa di cui ci siamo donati gli rimanga dentro.
Ora non so se lui mi spedirà il selfie. Non è questo il punto. So solo che oggi fino alle 18 ero discretamente contento di essere a Trento ma non proprio entusiasta. L’incontro con Marco ha rimescolato tutto e ha valorizzato non poco le ultime ore. Alcuni direbbero che era destino, per altri pura coincidenza. Sarà, ma mi piace pensare invece che Gesù aveva organizzato tutto e che mentre parlavamo, Lui era seduto sul sedile vicino a noi e ci ascoltava sorridente e misericordioso.
E’ proprio vero, a volte per incontrare il prossimo basta pochissimo, anche un semplice innocuo starnuto…
Grazie Gionata per aver pubblicato questa semplice storia, grazie a te caro lettore, per il tempo che mi hai dedicato e se qualche parola buona ti è rimasta ne sono felice anche perché… la responsabilità è tutta Sua…