«Accompagnare gli omosessuali? Scelta evangelica»
Intervista di Luciano Moia a padre Giovanni Salonia* pubblicata su Noi famiglia & vita, supplemento mensile allegato ad Avvenire del 26 maggio 2019, pp.34-36
Inclusione, rispetto, accoglienza della diversità in ogni condizione di vita. Ecco l’atteggiamento evangelico con cui la Chiesa dovrebbe guardare alle persone omosessuali e pensare a una pastorale adeguata per le esigenze di queste persone. È il parere di padre Giovanni Salonia*, cappuccino siciliano, docente di psicologia e lui stesso psicoterapeuta, oltre che esperto di pastorale familiare.
Cosa dice a un giovane omosessuale che “bussa alla sua porta” e chiede di essere aiutato a fare chiarezza nel proprio orientamento sessuale?
Per rispondere è necessario precisare “a quale porta bussa”. È il contesto (la porta!) in cui viene posta la domanda che decide la risposta, in quanto rispetta la richiesta della persona che chiede aiuto. Si può affermare che la chiarezza e il rispetto dei contesti è il primo dovere che abbiamo nei confronti dell’altro. Collocarsi nel contesto in cui viene posta la domanda é la prima garanzia richiesta perché una una relazione non diventi manipolazione.
Se la domanda è posta al terapeuta, questi ha il compito di aiutare il paziente a “fare chiarezza sul proprio orientamento di genere” facilitando in lui l’ascolto del proprio corpo, dei propri vissuti, del proprio quadro di riferimento. Da questo ascolto e dall’integrazione di questi livelli la persona scoprirà il proprio orientamento di genere.
Il giovane omosessuale, invece, che bussa alla porta del prete, non chiede di fare chiarezza sul proprio orientamento di genere (compito che appartiene alla terapia) ma cercando il modo di collocare l’orientamento omosessuale all’interno del proprio cammino di fede.
All’obiezione che non ci si può scindere tra sacerdote e terapeuta la risposta è semplice: un terapeuta è bravo e aiuta veramente se rispetta l’altro e la sua richiesta: ogni manipolazione, ogni suggestione più o meno esplicita che vuole imporre all’altro scelte o valori del terapeuta è scorrettezza etica e di incompetenza professionale.
Da dove nasce la sofferenza di queste persone? L’aiuto dell’esperto può anche puntare a “risolvere” la tendenza omosessuale? Oppure è opportuno valutare caso per caso, rispettando quel tipo di orientamento come profondamente strutturato?
Compito dell’esperto è comprendere il tipo di sofferenza di ogni persona, e quindi anche della persona con orientamento omosessuale. Partendo dal dato di fatto che l’orientamento sessuale non é una scelta, é possibile comprendere i diversi tipi di sofferenza delle persone omosessuali. Se il giovane omosessuale è dentro un cammino di fede, la sua ricerca sofferta sarà quella di conciliare la propria vita spirituale con il proprio orientamento omosessuale. L’operatore pastorale dovrà aiutarlo in questo percorso di discernimento per trovare risposte che rispettino i vissuti della per- sona e la Parola di Dio.
Una seconda possibile sofferenza riguarda il giovane omosessuale che, pur vivendo come egosintonica la propria omosessualità, non si sente pronto a manifestarla (outing) per timore dei pregiudizi omofobici dei familiari o della società. In queste situazioni si tratta di aiutare il giovane a ritrovare la fierezza e il valore della propria esistenza umana e spirituale includendo la propria omosessualità: non è evangelico o umano sostenere che ci siano esistenze non benedette al di là dell’orientamento sessuale.
Una terza eventualità riguarda la sofferenza del giovane che vive la propria omosessualità come egodistonica, non deinitiva e non in linea con l’esperienza di sé. Dopo aver verificato che non si tratta della paura specifica di presentarsi al mondo come omosessuale, il giovane va aiutato a comprendere il proprio disagio e scoprire nell’intimo il proprio orientamento al di là di ideologie o introietti esterni.
Quali criteri etici deve tenere presente in questi casi un terapista cattolico?
L’etica di un terapeuta è il rispetto profondo della persona, per cui il terapeuta non impone – né a livello esplicito né a livello implicito (questa è professionalità) – valori e ideologie che non appartengono al mondo interiore (corpo, vissuti) della persona. È ovvio che ogni terapeuta non può non avere una propria antropologia ed una propria etica nello stare vicino alla persona, ma appartiene proprio alla competenza professionale e all’etica del prendersi cura il rispetto dei cammini personali di scoperta dell’orientamento di genere da parte del paziente.
La Chiesa ha avviato un difficile e complesso percorso per dare concretezza all’invito di papa Francesco a proposito della necessità di accompagnare le persone omosessuali “a realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”, nel rispetto della dignità di ciascuno ed evitando ogni marchio di ingiusta discriminazione. Ma le difficoltà sono tante. Quali dovrebbero essere i criteri su cui impostare questa nuova pastorale?
La “nuova pastorale” richiede l’accoglienza della persona nella realtà concreta che essa vive, non imponendo dall’esterno identità o valori – un Super Io – ma aiutandola ad ascoltare la voce di Dio che parla nell’intimo più intimo del cuore ed evangelizza ogni realtà umana che a Lui si apra con fiducia, umiltà e dignità.
Esiste una specificità della persona omosessuale di cui pastorale e teologia dovrebbero tenere conto? E ritiene che questa unicità possa tradursi in un aspetto da valorizzare anche in ambito ecclesiale?
È sempre difficile individuare specificità di una particolare condizione umana senza correre il rischio di sottolineature precarie o ideologiche. Certamente non ha senso nella comunità ecclesiale discriminare i cristiani in termini di etero o omo sessualità. La serietà del cammino di fede, l’appartenenza alla Chiesa, l’attenzione agli ultimi sono i valori che devono determinare i servizi all’interno della vita ecclesiale.
Ritiene che il nuovo sguardo della Chiesa sull’omosessualità, più inclusivo, accogliente e rispettoso, possa risultare positivo anche in una logica più ampia di accoglienza sociale e di accettazione culturale delle diversità?
Il Vangelo apre e dona una logica di inclusività per ogni uomo di buona volontà. Il Vangelo è accoglienza e rispetto delle diversità e delle fragilità che si presentano in ogni condizione di vita. Nella fattispecie, l’attenzione che oggi la Chiesa manifesta alle persone omosessuali é espressione di atteggiamento evangelico può diventare segno e spinta ad una evangelizzazione che dia dignità ad ogni esistenza.
Se oggi qualche esperto parlasse di “curare i gay” sulla base delle terapie riparative verrebbe messo all’indice con le accuse peggiori di omofobia se non di razzismo. Ma qual è allora l’atteggiamento corretto quando una persona omosessuale si rivolge a uno specialista rivelando di sentirsi a disagio nel proprio orientamento?
La frase “curare gli omosessuali” è gravemente erronea perché a livello implicito comunica una valutazione patologica dell’omosessualità, che contrasta con i criteri di psicopatologia condivisi ormai da più di sessant’anni dalla comunità scientifica internazionale. Come già detto, la condizione omosessuale si presenta oggi come una delle tante condizioni dell’essere umano. E va confrontata con la Parola di Dio e con il Magistero dentro una logica di dignità, umiltà e inclusività. Come accennavo, si richiede “un cammino di discernimento” per valutare se il disagio dell’orientamento sia dovuto alla difficoltà di accettare la propria omosessualità – avvertita come egosintonica – a causa dei pregiudizi sociali o familiari, ovvero sia un disagio dovuto ad una fase transitoria di con- fusione di orientamento, che fa percepire a li-vello intimo come egodistonico l’orientamento omosessuale.
Al di là delle teorie gender, quelle almeno che parlano di fluidità di genere, crede che l’orientamento sessuale di una persona possa realisticamente cambiare, per esempio da omosessualità a eterosessualità o viceversa?
È un dato di fatto che esistono trasmigrazioni da “etero” ad “omo”, come viceversa. Il processo di questi cambiamenti è intimo, coerente con l’ascolto che il paziente fa di sé, non proviene certo da forzature o imposizioni più o meno suggestive provenienti dall’esterno. Come in molti aspetti della crescita, anche nell’orientamento sessuale possono esserci blocchi, ritardi (a livello etero ed omo), per cui aiutare una persona a conoscere se stesso in profondità e in genuinità è l’etica che deve contrassegnare ogni relazione d’aiuto.
Gli atti omosessuali, anche quelli tra coppie con lunga stabilità affettiva, vanno sempre e comunque considerati “intrinsecamente disordinati”? Il fatto stesso che si ponga la domanda su una affermazione che fino a pochi decenni fa sembrava scontata rivela che viviamo – a livello antropologico ed ecclesiale – un momento storico di profondi cambiamenti per cui sembra necessario rivedere la forma o la comprensione di tale affermazione. Non si tratta solo di riprendere e rileggere in modo più approfondito le scontate clausole (piena avvertenza e deliberato consenso) di valutazione di ogni scelta morale. È in atto una riflessione ad ampio raggio su tale affermazione. Pur consapevoli che nessuno può sostituirsi al Magistero, é possibile ed auspicabile offrire contributi che favoriscano questo percorso e rimangono sempre sottoposti al sensus ecclesiae, agli orientamenti magisteriali.
Nella fattispecie, nel processo per elaborare una risposta a questa domanda é necessario tener presente, tra l’altro, la distinzione tra legalità e legittimità. Partendo dalla considerazione che l’orientamento sessuale non è una scelta ma accade nell’intimo della persona, il giovane cristiano che si scopre omosessuale in che modo può vivere la propria vita di fede? Deve vivere una vita di castità come dato imposto e non come scelta? È questa la “Buona Novella” che dobbiamo annunciare? Una seconda domanda abbastanza seria va tenuta in considerazione: come può il cristiano omosessuale vivere la propria esistenza con la percezione costante di “essere-fatto- male” a causa di una valutazione di illegittimità per una situazione (l’omosessualità) di cui non è per nulla responsabile?
La fede è la risposta alle domande della con- dizione umana. Oggi a livello ecclesiale si ripresentano domande antiche ma con nuove sfumature, connotazioni ed implicazioni. Le risposte vanno ricomprese e riformulate in una prospettiva innanzitutto evangelica, di una Chiesa che – come ci ricorda Paolo VI nell’Ecclesiam Suam – ascolta il cuore dell’uomo e per quanto possibile cerca di assecondarlo.
* Sacerdote psicoterapeuta e docente. Padre Giovanni Salonia è nato a Ragusa il 27 luglio 1947. Entrato nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini della Provincia di Siracusa nel 1962, è stato ordinato sacerdote il 3 luglio 1971. Ha conseguito la licenza in teologia, con indirizzo in spiritualità, presso l’allora Pontificio Ateneo Antonianum di Roma; la licenza in scienze dell’educazione presso l’allora Pontificio Ateneo Salesiano; la specializzazione in psicoterapia della Gestalt presso il Gestalt Training Center di San Diego in California. All’interno del suo Ordine è stato tra l’altro ministro provinciale, superiore e maestro dei postnovizi. Attualmente è responsabile della formazione permanente per la Provincia Cappuccina di Siracusa. Tra i suoi numerosi incarichi nel settore della formazione e della comunicazione della vita religiosa; docente di consulenza pastorale in vari seminari; docente di psicologia e di pastoral counseling nella Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia; condirettore della Scuola postuniversitaria di specializzazione in psicoterapia della Gestalt Human Center Communication Italy, docente incaricato nella Pontificia Università Antonianum; collabora al corso di diploma di pastorale familiare presso la Pontificia Università Gregoriana; docente nell’Istituto Teologico San Paolo di Catania; docente di psicologia sociale alla Lumsa di Palermo; direttore del Consultorio familiare “Oasi Cana” di Palermo e tanto altro ancora. Quando papa Francesco è stato a Palermo, nel settembre 2018, ha voluto personalmente incontrarlo per esprimergli solidarietà. Padre Salonia, già nominato vescovo ausiliare del capoluogo siciliano, ha scelto di rinunciare all’incarico per un’accusa relativa alla sua attività di psicoterapeuta. Una suora, sua paziente, l’ha denunciato per presunti abusi. Accusa che lui ha sempre smentito, con il convinto sostegno dell’arcivescovo Corrado Lorefice.