Al Forum 2018 ho trovato una spalla per piangere e un braccio per indicare l’orizzonte
Testimonianza di Antonio De Caro del gruppo Spiritualità Arcobaleno di Parma sul V Forum dei Cristiani LGBT (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018)
Si è da poco concluso il V Forum dei Cristiani LGBT, ad Albano Laziale. Ed ogni possibile parola per raccontarlo sembra spenta e debole. Non solo per la consolazione e la dolcezza con cui siamo tornati a casa, ma per l’energia della fede che il Forum ha ravvivato dentro di noi. Non so di preciso che cosa sia avvenuto a Gerusalemme, il giorno di Pentecoste; ma noi ci siamo sentiti proprio così: pieni di una gioia che ha senso solo se donata a sua volta.
I cristiani LGBT camminano insieme ormai da oltre 30 anni. Si affacciano nuove generazioni, che fanno tesoro delle conquiste fatte dalle precedenti. Il Forum ci ha dato proprio la percezione di un messaggio che si diffonde, nello spazio e nel tempo, coeso intorno agli stessi valori: accoglienza, rispetto, amore, famiglia, speranza, Grazia, salvezza. Le testimonianze di donne e uomini LGBT, dei loro genitori e delle persone consacrate che li accompagnano sono la riprova di una straordinaria fecondità etica e spirituale: persone che avrebbero potuto rimanere nella solitudine e nella disperazione, si aprono alla gioia e alla fiducia di potere costruire una vita sana, ricca di progetti, benedetta da Dio e orientata al’amore. Sì, fecondità: poiché le ragazze e i ragazzi più giovani apprendono da donne e uomini più grandi che la vita di una persona LGBT può essere straordinaria, se sorretta dalla fede in Gesù, dall’affetto delle persone care, da un autentico progetto di amore, che cerca di costruire una casa. E questa casa può essere la relazione con il partner, ma è una casa che la presenza del Risorto può fondare sulla roccia.
La presenza del Risorto c’era, ad Albano. Nelle testimonianze di coraggio, pazienza, sacrificio, amore di figli e genitori. Nella preghiera corale e filiale, come il Rosario di sabato sera. Nel canto intenso e nell’abbandono fiducioso. Negli abbracci, nei segni liturgici, nell’Eucaristia. Una presenza che si fa compagno di cammino e che indica uno stile. Siamo sulla stessa strada e su quella strada c’è Gesù. Lui non ci toglie la fatica del camminare, che dà senso alle nostre vite, ma ci riscalda il cuore con la Sua Parola e, quando si fa sera, resta con noi per spezzare il Suo pane. Sì, perché accompagnare vuol dire “farsi compagno”, e “compagno” (cum-panis) è colui che divide con me il suo pane. I nostri genitori lo hanno fatto per noi, e con la loro presenza hanno anche accettato di “mangiare il nostro pane”, di calarsi nella nostra vita senza averne paura, anzi scoprendone tutta la tensione verso il bene. Accompagnare vuol dire con-dividere lo stesso pane: quello della terra e quello del Cielo.
Le esperienze riportate – dalla Lombardia alla Sicilia – mi hanno fatto pensare proprio agli Atti degli Apostoli: inviati dallo Spirito ad annunciare il Vangelo, i discepoli poi tornavano a Gerusalemme per raccontare le meraviglie che lo Spirito operava. Soprattutto, come è accaduto a Pietro, la scoperta che Dio non fa discriminazioni, non vuole salvare solo chi obbedisce alla Tradizione, ma dona la Sua salvezza a chi si pone in sintonia con l’amore. Dio mi ha insegnato a non chiamare profano o impuro alcun uomo (At 10,28) è la voce profetica da cui ci sentiamo incoraggiati e che abbiamo offerto alle Chiese. Soprattutto a chi ancora fatica a superare i pregiudizi e ad aprire il cuore.
La condizione di persone LGBT -ed anche cristiani – ha spesso comportato, per noi, esperienze di discriminazione, esclusione, sofferenza. In passato, radunarsi e stare insieme serviva spesso a ritrovare quel calore e quella consolazione che ci venivano negati. L’abbraccio che cercavamo è stato spesso un abbraccio per piangere. Non più. Se una spalla viene offerta per conforto e riposo, adesso l’altro braccio è sollevato ed indica l’orizzonte.