Alex, gay, ebreo, essere umano praticante
Intervista di Albert Torras i Corbella ad Alex Eliyahu pubblicata sul suo blog Soy gay y creo en Dios (Spagna) nell’agosto 2014, liberamente tradotta da Dino
“La negazione della propria espressione dell’amore è un modo di allontanarsi dal resto delle persone, da se stessi e anche da Dio.” Alex Eliyahu, ebreo osservante, studente e attivista gay, Tel Aviv
Jai Anguita della Sinagoga Bet Shalom mi raccomanda di parlare con Alejandro, che è uno studente di Tel Aviv ebreo osservante. Con lui ho fatto una chiacchierata fluida e cordiale. Mi parla della sua esperienza, dei suoi desideri. Pensavo che i pochi interventi dell’ebraismo che avrei potuto ottenere sarebbero stati poco indulgenti con la comunione tra omosessualità e pratica della fede. Niente di più lontano dalla verità. A volte, dopo aver parlato e conosciuto comunità e credenti di altre confessioni, non ci si sente poi tanto diversi. Con Alex Eliyahu mi è successo questo.
Come puoi essere un buon ebreo e allo stesso tempo omosessuale?
Talvolta la domanda non è “come è possibile essere ebreo e allo stesso tempo gay?”, ma se è fattibile integrare l’identità gay con la spiritualità ebraica o, detto in altri termini, se risulta possibile essere gay e allo stesso tempo ebreo osservante (religioso). Esistono molti maschi gay che sono ebrei ma che non praticano in nessun modo la tradizione o non si sentono vincolati ad essa (benché vi si sentano uniti emotivamente e culturalmente), in loro il potenziale disaccordo che potrebbe crearsi tra la spiritualità e l’orientamento sessuale non esiste, o per lo meno lo hanno risolto attraverso il percorso del laicismo.
Per noi che desideriamo conservare la nostra tradizione e sentiamo un vincolo spirituale con l’ebraismo (oltre a quello culturale ed emotivo), la risposta a questa domanda può essere diversa e sarà determinata da molti fattori esterni e interni. Quando una persona omosessuale scopre se stessa e comincia il processo di integrazione e adattamento del suo orientamento sessuale, si trova immersa in un quadro sociale, culturale e situazionale che condizionerà tutto il processo e il suo risultato. Nell’ebraismo le diverse sfere della vita di ciascuna persona, per il fatto che costituiamo una minoranza, si sviluppano in ambienti molto diversi e inoltre le comunità ebraiche godono di una piena indipendenza, per cui affrontano i diversi aspetti della halakha (o legge ebraica) in modi molto diversi, posizionandosi liberamente in tutte le questioni della vita quotidiana.
E nel tuo caso?
Se devo dare la risposta che vivo, quella che sento, devo dire chiaramente che è possibile essere gay ed ebreo osservante. La risposta a come riuscire a farlo la trova ogni persona nel suo ambito, nel mio caso grazie ad una posizione progressista, che dal mio punto di vista è il movimento all’interno dell’ebraismo in cui una persona gay e la sua famiglia possono integrarsi con piena normalità e sviluppare una vita uguale a quella di qualsiasi altro membro della comunità (con la possibilità di avere una vita affettiva e famigliare piena e continuando a rimanere all’interno della comunità).
È compatibile con la Legge, la Torah, il Levitico o altri libri?
Proprio come affermavo in precedenza, all’interno dell’ebraismo esistono molte posizioni riguardo a ciascuna delle questioni che dobbiamo affrontare nelle nostre vite. Tutte queste posizioni si raggruppano in correnti (haredismo, hassidismo, mitnagdismo, ortodossia, conservatorismo, progressismo, ricostruzionismo…) e ciascuna persona trova così uno spazio nel quale integrare la sua spiritualità.
Le relazioni tra persone dello stesso genere, in questo caso i maschi omosessuali, non sfuggono in nessun modo alla discussione tra le varie correnti e all’interno delle correnti stesse. L’analisi e l’interpretazione dei testi riguardanti le persone che amano persone del loro stesso genere (principalmente in Vayikrà-Levitico 18:22 e in alcuni passi del Talmud) hanno fatto sì che per molto tempo esistessero discussioni di una certa intensità e che le posizioni di ciascun movimento si modificassero (anche se non tutte). È abbastanza noto che la lettura di un passo isolato della Torah può portare ad un’erronea interpretazione del suo contenuto, e proprio così è successo in questo caso, dato che la famosissima proibizione dei rapporti tra maschi si trova citata nel contesto dell’idolatria e non in quello delle relazioni umane. L’allusione alle relazioni sessuali tra uomini, e nella letteratura posteriore anche tra donne, si riferisce alla prostituzione sacra che molti popoli praticavano nell’antichità, per cui non può essere applicata al di fuori da questo contesto; questa è una delle molteplici interpretazioni che esistono e costituisce la base per diversi livelli di proibizione riferentisi alle relazioni tra maschi o per la piena accettazione delle stesse.
Però non si proibisce l’amore tra uomini…
Da nessuna parte nella Torah si proibisce l’amore tra due uomini o due donne e addirittura lo si elogia in altri libri del Tanakh (conosciuto comunemente come Bibbia ebraica). Mi riferisco certamente a Ruth e Noemi o a David e Jonathan, anche se non voglio affatto che si interpreti che avevano una relazione rispettivamente gay o lesbica, perché questi due modi di essere, così come li concepiamo, appartengono al tempo attuale e non possiamo interpretare attraverso un testo quale fosse la loro relazione; semplicemente possiamo supporre, dai racconti che riguardano queste persone, che è messo in risalto l’amore (emotivo) che una persona sente per un’altra e che in questi casi si tratta di due persone dello stesso genere. Mi sembra sia stato un errore storico interpretare che si trattasse di relazioni omoerotiche e cercare di giustificare in questo modo l’esistenza delle identità gay e lesbica nel passato (in quel periodo che potremmo chiamare biblico). Certo, in passato come attualmente esisteva un ampio ventaglio per ciò che concerne l’orientamento sessuale, ma non è possibile legittimare un tipo di relazione affettiva che non esisteva o non aveva le implicazioni che oggi conosciamo riguardo alle aspirazioni della coppia, la struttura delle famiglie, le reti sociali, ecc.
Hai avuto dei problemi essendo omosessuale ed ebreo nell’ambito delle società occidentali?
La verità è che mi sono sempre considerato molto fortunato in questo senso: il mio ambiente famigliare e sociale (amicizie, ambiente professionale, ecc.) ha saputo integrare adeguatamente il mio orientamento sessuale, pur essendo a volte necessario qualche piccolo sforzo, e credo di ricordare solamente un problema nel mondo professionale. D’altra parte, nella comunità in cui sono cresciuto, noi persone gay non siamo rifiutate né allontanate; si tratta di una piccola comunità nella quale tradizionalmente hanno convissuto molte posizioni e io pure costituivo parte di quella diversità. Negli ultimi anni ho anche fatto parte di una comunità progressista, nella quale ho potuto vivere la mia realtà sessuale con piena naturalezza e completarne l’integrazione nella mia esistenza e nella mia vita spirituale. Tutte queste coincidenze hanno fatto sì che io potessi accettare il mio orientamento sessuale e includerlo nella mia identità, ma conosco alcune persone che vivono o hanno vissuto situazioni molto dure, che devono mantenere il silenzio, nascondersi, negarsi a se stesse o allontanarsi dalle loro comunità e dalle loro famiglie.
Ma questa chiusura è normale?
No, questo avviene quasi esclusivamente nei settori più conservatori ed è una rarissima eccezione nei settori più progressisti, io almeno non conosco nessun caso.
E in Israele?
Attualmente sto studiando proprio a Tel Aviv. In Israele la situazione è molto buona se parliamo del mondo laico o civile (piena uguaglianza giuridica rispetto alle coppie eterosessuali, esiste un movimento civile forte, campagne pubbliche di responsabilizzazione, ecc.), allo stesso modo in cui avviene in molti Paesi democratici occidentali. Nel mondo osservante abbiamo la stessa differenza di cui parlavo prima, solo che in Israele le posizioni più conservatrici costituiscono la maggioranza (fatto che non avviene in altri luoghi). Esistono tuttavia spazi all’interno del mondo ebraico osservante di Israele nei quali noi maschi omosessuali possiamo sentirci a nostro agio e pienamente integrati (e così anche le donne lesbiche), si tratta in concreto delle comunità progressiste.
Non c’è dibattito tra i conservatori?
In alcune delle comunità più conservatrici si possono scorgere i sintomi di un dibattito interno latente, il cui risultato attualmente è che si mantiene la prospettiva del passato, che però è ritenuta da queste comunità la posizione più adatta (la loro posizione oscilla dal silenzio e l’invisibilità nei settori più moderati fino alla totale condanna, passando per ogni tipo di posizione intermedia).
Negli ultimi vent’anni le religioni si sono progressivamente aperte all’omosessualità, al ruolo della donna… Com’è stato questo processo nell’ebraismo?
L’ebraismo non è monolitico, non ha strutture che centralizzino il pensiero, in questo modo è il popolo ebraico che con l’andare del tempo ha costruito e costruisce la tradizione, cosicché non può realizzarsi nessun progresso alle spalle del popolo, visto che questo costituisce parte attiva. In questo senso devo rimarcare ancora una volta che esistono molteplici posizioni riguardo all’interpretazione della Torah e pertanto anche per ciò che riguarda l’orientamento sessuale di noi persone che amiamo persone del nostro stesso genere.
Sebbene è certo che in alcuni settori dell’ebraismo ci sia un dibattito aperto riguardo all’atteggiamento da tenere verso le relazioni omosessuali, in alcune correnti l’integrazione è già una realtà quotidiana e in altre la discussione è stata chiusa ancor prima di essere aperta. In questo senso potremmo pertanto affermare che alcuni settori dell’ebraismo, a tutt’oggi, si trovano ancora in un processo di integrazione o inclusione, ma in altre correnti ormai è un fatto che non viene più messo in discussione, dato che si celebrano nozze di coppie dello stesso genere, ci sono rabbini e rabbine apertamente gay o lesbiche nelle comunità, ecc.
Da almeno quarant’anni (cioè dagli anni ’70) la Conferenza Centrale dei Rabbini Americani (CCAR), che è l’organismo che aggrega i rabbini progressisti degli Stati Uniti d’America, ha approvato risoluzioni destinate ad implementare i diritti civili delle persone gay, lesbiche e bisessuali, così come a favorire la nostra inclusione nelle comunità, nelle scuole rabbiniche, ecc. Dall’anno 2000, come risultato di molti anni di lavoro e discussione, la CCAR ha stabilito che dovevano essere officiate le nozze tra persone dello stesso genere, di modo che queste hanno cominciato ad avere il meritato riconoscimento all’interno dell’ebraismo.
Osservando il panorama generale, non mi sento competente abbastanza e non possiedo informazioni sufficienti per giudicare se il processo di evoluzione è stato o sarà meno traumatico se paragonato ad altri complessi di credenze; quello che posso affermare è che l’ebraismo a questo riguardo ha dei punti di merito, per il fatto che la diversità e la libertà sono una realtà e questo permette che il pensiero si strutturi e costruisca con maggior flessibilità (e sempre appoggiandosi sui desideri delle comunità e sulla tradizione ebraica).
Una volta il rabbino Yosef Shalom Eliashuv disse ad un giovane gay: “Hai il doppio potere dell’amore. Usalo con cautela”. I rabbini tradizionalmente impiegano queste risposte ambigue in caso di omosessualità?
La letteratura rabbinica è piena di domande e di risposte fatte in questo stile. Fa parte della tradizione che i rabbini aiutino le persone a trovare le proprie risposte e le proprie strade, ma senza mai fornir loro il risultato finale perché sarebbe una coercizione della libertà dell’individuo.
Anche nel Talmud si possono trovare discussioni tra i nostri saggi, nelle quali l’atteggiamento riguardo alla proibizione delle relazioni tra persone dello stesso genere non risulta completamente chiara. Ricordo ad esempio che una delle domande che a questo riguardo compaiono nel Talmud è: “Dove si trova la proibizione (del sesso tra uomini)?” e questo non fa che evidenziare che già nel passato la risposta sembrava non essere chiara.
Dove si trova?
Questa affermazione proviene da un rabbino hassidico e, se presa fuori dal contesto e dalla conversazione nella quale fu pronunciata, ritengo sia difficile sapere cosa voleva dire con queste parole o qual era il suo obiettivo nell’esprimersi in questi termini, anche se sembra che lasciò nelle mani del destinatario della risposta la soluzione del “conflitto”.
Cosa ti hanno detto nel tuo caso?
Nel mio caso il rabbino della comunità, James Glazier, è stato lo stesso che, venuto a sapere che ero gay, è venuto da me per dirmi che tutto andava bene e che non c’era alcun problema; soltanto per un momento aveva provato una certa inquietudine per il fatto di parlare pubblicamente del mio orientamento sessuale. Anche in varie altre occasioni ho potuto verificare che l’atteggiamento del rabbino della mia comunità è pienamente inclusivo e ugualitario. Le risposte hanno molto a che vedere con l’atteggiamento personale del rabbino e con la sua posizione nei confronti della Torah.
Ancora parole del libro Homosexuality in Orthodox Judaism (L’omosessualità nel giudaismo ortodosso): “Possiamo odiare il peccato pur continuando ad amare il peccatore”.
Il concetto di peccato nell’ebraismo non esiste, nella nostra tradizione usiamo il termine “trasgressione”. Secondo le posizioni hassidiche e ortodosse l’omosessualità (termine al quale continuo a sentirmi completamente appartenente) costituisce una grave trasgressione. Da queste posizioni si ritiene che noi (omosessuali) siamo stati creati con l’obiettivo, tra gli altri, di correggere le nostre anime durante la nostra permanenza nel mondo. In queste correnti di pensiero c’è il concetto della “tendenza al male” e l’idea secondo la quale, quando una persona è omosessuale, deve correggere questo comportamento o tendenza. In ogni caso, la mia posizione personale è che l’identità gay, come è attualmente intesa, non ha niente a che vedere con ciò che viene descritto nella Torah (la prostituzione sacra o altre pratiche idolatriche dell’epoca), si tratta invece di un’identità contemporanea con aspirazioni emotive, personali e famigliari totalmente diverse da quelle che sono descritte nel citato divieto. L’amore è uno dei più grandi regali che Egli ci ha dato e attraverso questo fatto Egli si manifesta e si rivela a noi. Noi persone omosessuali siamo state “create” con un orientamento sessuale o del desiderio verso le persone del nostro stesso sesso (è chiaro che si tratta di un orientamento e in nessun caso di una scelta), pertanto non è possibile che esista tale proibizione, perché ci priverebbe in modo assoluto dell’espressione dell’amore e della Sua presenza.
Il rabbino di Baltimora Aaron Feldman ha detto che gli omosessuali “non praticanti” hanno un ruolo importante nella società ebraica e che gli ebrei saranno giudicati per le loro azioni, non per il loro orientamento. Ad essere proibite sono le azioni, non la natura. È una risposta simile a quella della Chiesa Cattolica.
Di questa affermazione esistono diverse varianti con differenti sfumature ed è il fondamento della convinzione che noi persone con un orientamento sessuale verso il nostro stesso genere siamo state create in questo modo per resistere e vincere nella lotta contro questo impulso ed è questo che si cerca di inculcare in noi attraverso l’affermazione tratta dalla Torah (in Vayikrà-Levitico 18:22). In questo senso parlare di un “omosessuale non praticante” è come parlare di un “eterosessuale non praticante” o di un “essere umano non praticante”. Sono concetti privi di logica, poiché noi esseri umani siamo entità integrali, viviamo immersi nella nostra realtà e non esiste la possibilità di spogliarci di essa senza provocare in noi uno “squilibrio”, siamo esseri che vivono nel mondo, viviamo dentro i nostri corpi e con tutte le nostre caratteristiche.
La verità è che non posso condividere questa posizione, perché ritengo crudele affermare che una persona sia stata dotata di una caratteristica innata per dover “lottare” contro di essa per tutta la vita, con le conseguenze che ciò porta con sé. A mio parere, la negazione della propria espressione dell’amore è un modo di allontanarsi dal resto delle persone, da se stessi e anche da Dio, poiché ciò che ci è richiesto è di “vivere in modo conforme” alla legge e non di “annullarsi” attraverso di essa (Vayikrà-Levitico 18:5).
Testo originale: Alejandro Eliyahu