Algeria, dove il razzismo cresce per l’indifferenza dello Stato
Articolo di Mar Bassine pubblicato sul sito le360afrique.com (Algeria) il 7 dicembre 2016, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Da un anno gli atti di razzismo si moltiplicano in Algeria contro i migranti. A Ouargla diciotto immigrati sono stati bruciati vivi in un campo di detenzione, poi sono sopraggiunti gli avvenimenti di Bechar, di Tamanrasset e di Dely Brahim. La risposta dello stato è sempre la stessa l’espulsione. Da un anno l’Algeria gestisce in maniera catastrofica il problema dei migranti. I casi si susseguono con una somiglianza sconcertante. Alla vigilia del forum africano per gli investimenti e gli affari, pallida riproduzione del forum di Attijariwafa Bank a Casablanca, l’Algeria ha mostrato il suo vero volto. Inizialmente un banale incidente di quartiere ha spinto gli abitanti ad avventarsi contro i migranti.
In seguito lo Stato ha organizzato un’ennesima razzia vergognosa. La ciliegina sulla torta sono poi le gravi dichiarazioni di Farouk Ksentini, presidente della commissione nazionale consultiva di promozione e protezione dei diritti dell’uomo, che dipende dal presidente della repubblica. Ha dichiarato “Siamo esposti al rischio di propagazione dell’AIDS come di altre malattie sessualmente trasmissibili, dovute alla presenza dei migranti.”. Quando nell’entourage del presidente, quello che in teoria dovrebbe difendere i diritti dell’uomo, dice cose simili è un vero problema.
Ouargla novembre 2015. Diciotto morti in un campo di raccolta
Gli atti di razzismo si moltiplicano segnala Leila Berrato, corrispondente di Radio France internazionale (RFI) a Algeri. La popolazione ha attaccato gli immigrati a Ouargla, a Bechar e Tamarasset. Perciò non possiamo più parlare di atti di razzismo isolati. A Ouargla nel sud del paese, nel novembre 2015 diciotto immigrati subsahariani sono bruciati vivi in un incendio, la cui origine è stata definita accidentale, il mattino stesso, mentre era avvenuto all’alba. L’inchiesta non ci svelerà di più, ma è pur sempre vero che le autorità avevano stipato più di seicento migranti in un capannone inadatto, in condizioni sanitarie e di sicurezza discutibili. Il seguito lo conosciamo: diciotto morti e un bollettino ministeriale del giorno dopo in cui il governo si dichiarava rammaricato.
Béchar marzo 2016. Centinaia di algerini si avventano contro i migranti
A Bachar nel centro-ovest del paese nel marzo di quest’anno la gente ha attaccato un locale occupato abusivamente da migranti. Le accuse rivolte loro sono sempre le stesse: gli africani vendono la droga, si prostituiscono e girano per le strade ubriachi. È così che a Delly Brahim, un quartiere di Algeri, sono avvenuti degli scontri a fine novembre. Gli abitanti sono convinti che gli africani si dedichino allo spaccio di droga. Ci sarebbero stati morti legati al traffico di droga, anche se né la polizia, né la gendarmeria algerina sono in grado di collegare questi fatti al trasferimento dei migranti nel quartiere.
Banale tafferuglio, il frastuono e l’incendio
In realtà, come avviene sempre, è un avvenimento banale tra un migrante africano e un algerino a risvegliare il razzismo e la collera latente nella popolazione. Poi bastano le voci di strada a fare da carburante e da combustibile. E poi scoppia l’incendio. “Così come è avvenuto a Ouargla, era stata diffusa la voce che una donna algerina sarebbe stata aggredita in casa da un immigrato”, sostiene Leila Berrato. A Bechar si diceva che una ragazza era stata violentata. Lo Stato è assente, quando la gente riversa il suo odio su individui spesso indifesi. Quando lo Stato è presente non è per ristabilire la giustizia, ma solo per spegnere il focolaio di rivolta, cosa che si ritorce sfortunatamente contro le vittime. Dato che spegnere l’incendio vuol dire allontanare le vittime, vietando loro di circolare e nel caso degli immigrati organizzare una deportazione, per sbatterli a duemila chilometri a sud.
Noi siamo razzisti, ma rifiutiamo d’ammetterlo
“C’è nella società algerina una violenza potenziale molto forte, pronta a esplodere alla prima occasione”, sostiene il giornalista algerino Abed Cheraf in un dibattito organizzato da radio M. “E’ un razzismo profondamente ancorato e, a mio avviso, molto sottovalutato” ed aggiunge “La gente è molto più razzista di quel che pensiamo”.
Dopo aver visto uno dei video che mostrava dei neri africani che venivano linciati, ha postato un commento su twitter usando la parola pogrom, per parlare del loro linciaggio. Per questo Abed ha subito molti attacchi, tanto che è stato costretto a cambiare il sui commento parlando di “Spirito antinero”. Tutto questo per dire che nel paese si rifiuta di ammettere l’esistenza del razzismo. Brutta notizia per i razzisti, l’Algeria dovrebbe accogliere fino a un milione di migranti e si tratta di un esodo impossibile da arrestare. Il problema è che lo Stato algerino interviene mettendo in disparte quelle che dovrebbero essere considerate le vittime. Le strutture dello Stato devono essere organizzate in modo da tirar fuori i lati migliori dalla presenza dei migranti, in caso contrario le cose si metteranno male per l’Algeria.
Testo originale: Algerie: un racisme anti africain se banalise avec la complicite de l’etat