Amati per amare. Dal ritiro per coppie di credenti LGBT+
Testimonianza di Peppe sull’incontro per coppie di credenti LGBT+ tenuto al monastero camaldolese di Monte Giove (Fano) il 9-11 maggio 2025
Paolo e Maria avevano da tempo fissato il loro nuovo incontro con le coppie gay che stavano facendo un percorso in vista del matrimonio civile e della benedizione (possibile) e con la presenza di altri che l’hanno già celebrato.
L’incontro si è tenuto a Monte Giove (Fano – PU). Avevo piacere di partecipare, anche per conoscere meglio il lavoro proposto tramite schede ben mirate e di grande impatto spirituale e specifico. Credo molto nell’attingere all’esperienza di quanti hanno fatto più cammino e hanno affinato la propria sensibilità e passione educativa. Più volte, nel corso della preghiera delle lodi mattutine con la Tenda di Gionata, mi avevano invitato.
Sono quindi giunto al Monastero Camaldolese, la prima sera, in atteggiamento di curiosità e di rispetto, di silenzio e soprattutto di ascolto. Non era la prima volta che partecipavo a incontri del genere, ma ogni volta era come se accadesse qualcosa di nuovo (cf Is 43,16-21).
Fin dai primi momenti sono stato “investito” da tanta accoglienza, simpatia e dolcezza. Io ero uno sconosciuto per tutti loro. Ciascuno ha raccontato la propria storia di vita, eventi lieti e dolorosi, ma sempre colmi di speranza e leggerezza. Quando poi, venuto il mio turno, ho detto di essere un sacerdote cattolico che svolge il proprio ministero e di essere gay dichiarato, fedele da sempre alla promessa celibataria, ho visto una luce brillare nei loro occhi e un affetto e un rispetto (certamente immeritati) sinceri e limpidi.
Ho compreso, ancora una volta, quanto tanto spesso sono stati feriti da presbiteri giudicanti (o arroccati su mere posizioni etiche e non certo umane) e quasi mai hanno potuto avere con loro un confronto alla pari e soprattutto il loro rispetto.
Gli altri due giorni del ritiro non ho perso occasione per essere presente, fra messe e incontri, perché sentivo quanto facesse bene a me ritrovarmi con loro e godere della pacatezza e dolcezza di Paolo e Maria che donano tempo, energie, e tanto affetto – spesso anche a scapito della loro ricca vita di famiglia, con figli/e grandi e nipotini – e di ritrovarmi fra giovani uomini animati da un autentico senso di fede e dal grande desiderio di essere parte attiva e di svolgere servizio nella propria comunità cristiana e cattolica. Ricordo con piacere la lettura popolare della bibbia sul testo del paralitico, calato dal tetto dinanzi a Gesù: quante considerazioni e tagli di lettura evangelica che non avevo mai preso in considerazione; a iniziare dalla via inedita (il tetto) lungo la quale osare nuovi percorsi di fede e religiosità.
Per quanto mi riguarda, il culmine dell’esperienza è stato raggiunto la sera dell’ultimo giorno, nel momento di preghiera e di sintesi. Sono arrivato all’incontro un po’ in ritardo, quando si stava già svolgendo il rito della lavanda dei piedi. Pagavo lo scotto del giudizio del gruppo di amici carissimi (gay, etero, lesbiche, bisessuali), ma in gran parte non credenti, che mi avevano stigmatizzato accusandomi bonariamente: “Ecco, tu preferisci sempre i tuoi amici della Chiesa!”.
Ogni coppia, a turno, ha lavato il piede dell’uno e ha accettato che poi fosse l’altro a ricambiare il gesto. Il tutto in uno spirito di grande amore e di disponibilità a crescere nella fede e a maturare negli atteggiamenti umani del servizio e del perdono. Avevo gli occhi lucidi nell’assistere al gesto che tante volte ho compiuto, quasi come un dovere o una routine, nella liturgia del giovedì santo, e ho sperimentato cosa voglia dire: Il Signore non fa differenze di persone che si amano (cf At 10,34-35) e “Amatevi come io ho amato voi” (cf Gv 15,9-17). Un ricordo vivo che resterà nel mio cuore per tanto tempo. Terminata la preghiera abbiamo giocato, divertendoci un mondo, fino a un’ora tarda nella quale rischiavamo di infrangere il silenzio del luogo e di disturbare la quiete di chi stava dormendo. Ho giocato, come un bambino, mi sono lasciato coinvolgere e avrei fatto mattino insieme a loro.
Non avendo mai condiviso la mensa, con il gruppo, nel giorno domenicale seguente sono stato a tavola con tutti loro, per poi recarmi a un altro santuario dove avrei incontrato famiglie – come dissi loro con simpatia – “differenti” (mariti, mogli, bambini/e) ma non per questo “normali” che è un termine giudicante, per il quale chi non rientra in certi canoni fissati è “anormale” e per questo escluso!
Viaggiando in macchina sentivo che già mi mancavano. Mi mancava il loro sorriso, la loro accoglienza, la loro sensibilità.
Mi sono venute in mente le parole del profeta (Is 26,1-2), quanto mai adatto in questo delicato momento ecclesiale: “In quel giorno si canterà questo canto nel paese di Giuda: Abbiamo una città forte; egli ha eretto a nostra salvezza mura e baluardo. Aprite le porte: entri il popolo giusto che mantiene la fedeltà”.
Mura e baluardi che sono fatti non per escludere, ma per creare un luogo sicuro e amante del Vangelo, dove tutti sono amati e accolti e nel quale le porte sono spalancate perché chi vuole, senza distinzione, possa entrare e poi uscire per annunciare il Vangelo.
Grazie, giovani uomini, della vostra bella testimonianza di fede e di religiosità. Grazie Paolo e Maria. Grazie ai Padri Camaldolesi che sempre ospitano, con grande gentilezza, tanti eventi inclusivi e non temono critiche e giudizi sulle loro scelte di percorsi nuovi, fedeli a Dio e all’uomo del nostro tempo.