Anche Dio fa coming out. La lotta teologica al patriarcato di Marcella Althaus-Reid
Riflessioni del sociologo Luis Martínez Andrade pubblicate sulla rivista online Círculo de Poesía (Messico) nel gennaio 2014, liberamente tradotte da Sara Ciuti, seconda parte
Una teologia senza mutande. Secondo Althaus* “i teologi della liberazione erano, a modo loro, degli hegeliani di destra, i quali vedevano dietro l’istituzione e la trama della società eterosessuale ‘machista’ latinoamericana l’operato di un Dio maschilista. Un Dio dei poveri, certo, però maschilista” (2005).
In altre parole, Althaus rimprovera ai teologi e alle teologhe della liberazione il fatto di aver condiviso, accettato e reificato, attraverso l’uso acritico di categorie patriarcalmente strutturate, un sistema di dominio economico, politico, culturale e, naturalmente, erotico; e tutto ciò, senza scalfire neanche un po’ lo zoccolo duro della grande narrativa eterosessuale.
Partendo dalla premessa che “tutte le teologie sono contestuali”, Althaus la completa con l’affermazione seguente: “la teologia è un atto sessuale, è un’ideologia sessuale realizzata su un modello sacralizzato: è un’ortodossia sessuale divinizzata (dogma sessuale corretto) ed una ortoprassi (comportamento sessuale corretto): la teologia è un’azione sessuale” (2005). Con un tale ordine di idee, Althaus mette in discussione il carattere “essenzialista” che la teologia della liberazione ha prodotto della figura del povero, quella cioè del povero asessuato.
Analizzando l’esegesi che le teologhe della liberazione come Guebara e Bingemer hanno prodotto della Vergine Maria nel loro libro Mary, Mother of God, Mother of the Poor (Maria, Madre di Dio, Madre dei poveri), Althaus fa notare i limiti teorici, le carenze metodologiche, i pericoli politici e gli atavismi sessuali di questa mariologia, dal momento che, lungi dal presentare una Maria liberatrice – nel senso ampio del termine –, si legittima e si rafforza l’immagine di una Maria simbolo dell’oppressione, in cui la disunione di anima e corpo, il consolidamento dei ruoli di genere e l’esaltazione della maternità – come prodotto culturale del patriarcato – vengono spinti all’estremo.
In questo modo Althaus (2005) vede nel culto mariano un tranello ideologico e scrive: “indecentizzazione di Maria: la sua verginità è la prima cosa da eliminare, poiché le donne povere raramente sono vergini. La verginità teologica deve sparire, poiché alimenta rimembranze egemoniche, falsi ricordi da condividere nel non meno falso ambito dell’eterosessualità”.
Le riflessioni sovversive di Althaus ribaltano non solo l’ambito dei mercati teologici, ma anche quello delle argomentazioni eterosessuali basate sulle discriminazioni binarie. Effettivamente, la sessualità è un costrutto storico-sociale che deve essere contestualizzato. Perciò, il ricorso alle prospettive di genere è imprescindibile.
Althaus si appoggia principalmente al contributo dato da Butler, Sedgwick, Garber e Rubin per confutare la piega ideologico-patriarcale presa dai teologi della liberazione. In tal senso, il progetto erotico di Enrique Dussel viene tacciato non solo di essere “idealista”, ma anche di rientrare all’interno del “feticismo del fallo patriarcale”, dal momento che “Dussel, per esempio, considerava la natura omosessuale e lesbica nemici del progetto di liberazione e, quindi, una parte di ciò che dice essere il progetto individualista egemonico di una Totalità egemonica […]
Il concetto di Totalità di Dussel, come spesso accade nella teologia della liberazione, è univoco: le categorie oppressore-oppresso sono inerenti all’eterosessualismo; ciò che è buono (cioè riproduttivo) e ciò che è maligno (per esempio, la sodomia) […] Tuttavia, ciò che era considerato peccaminoso nella sodomia non era l’atto sessuale della penetrazione tra uomini, c’era qualcosa di più dietro: una minaccia all’ordine sociale” (Althaus, 2005). Di qui, il “lévinasiano di sinistra” diventa un “idealista di destra” quando tratta di sessualità, giacché “il timore di Dussel di fronte al decostruzionismo eterosessuale dimostra in che gran vicolo cieco è finita la teologia della liberazione” (Althaus 2005).
La teologia indecente presentata da Althaus ha come riferimento le “venditrici di limoni in Argentina” che, senza mutande, offrono i propri prodotti per le strade bonaerensi.
Per Althaus, ciò rappresenta non solo l’intima relazione tra teologia e vita quotidiana, ma anche un concreto ribaltamento dei codici sessuali e di genere in America Latina, stabiliti dalla Conquista [coloniale spagnola] e ancora vigenti ai giorni nostri.
Perciò, la “teologia senza mutande” proposta da Althaus cerca di superare la logica binaria imposta dal modello patriarcale delle teologie sessuali – qui Althaus riprende la distinzione tra “teologie della sessualità” e “teologie sessuali”, stabilita da James Nelson –, giacché, in linea con la teoria queer, afferma il carattere dinamico, proteiforme e inconsistente della sessualità e dell’identità. In tal senso, ciò che Althaus propone è un progetto teologico e politico basato sulla “esperienza della trasgressione” (Moles, 2010).
Tuttavia, non c’è niente di nuovo nel suggerire una relazione tra la crisi del capitalismo e la crisi del complesso di Edipo, o nello svelare la concordanza spazio-temporale con il narcisismo come “esaurimento dell’Io puro” delle nostre società, dove il capitalismo è permissivo ed edonista. Molto prima di Zizek (2004), un altro lacaniano – però di destra – aveva posto l’accento sulla simbiosi tra trasgressione e processo di personalizzazione nella riconfigurazione della società capitalista (Lipovetzky, 1983).
Effettivamente, la trasgressione costituisce un pezzo dello strumento del potere, ma allo stesso tempo rende possibile la “profanazione” come atto di restituzione di beni agli esseri umani [1]. In tal senso, la trasgressione non sfugge alle contraddizioni della realtà sociale e, pertanto, non deve essere sopravvalutata.
È chiaro che non si possono qui esaurire i temi affrontati da Althaus, che spaziano dalle icone religiose (La Vergine Maria, Santa Liberata o Santa Wilgefortis) fino a letture in chiave sessuale della Bibbia (il rapporto tra Gesù e Lazzaro, la tensione tra Giuditta e Maria), passando certamente per le implicazioni del sadomasochismo, il travestitismo e l’adulterio nelle riflessioni teologiche.
In questo modo, Althaus si avvale di immagini indecenti e di metafore perverse con lo scopo di sovvertire i canoni patriarcali della teologia e della sua grammatica eterosessuale. Il contributo di Althaus si trova soprattutto nell’aver messo sul piatto della teologia della liberazione il ruolo della sessualità – come costruzione storico-sociale – e le sue implicazioni all’interno della teologia che viene elaborata in chiave di liberazione.
Inoltre, posteriormente alle esequie della teologa, il teologo della liberazione Jung Mo Sung (2009) riconobbe che Althaus non aveva mai perso di vista la questione economica. Parimenti, nella sua interpretazione di nozioni come genere e sessualità, sottolinea come il suo lavoro abbia costituito un energico contributo alla segnalazione di alcuni dei limiti riprodotti dalla teoria della liberazione, risultati di ideologie.
Di conseguenza, Althaus ha mostrato che “il percorso della teologia non è quello della continuità, bensì quello del nonconformismo”.
L’irrinunciabile critica all’ideologia
Tra le obiezioni già mosse, dall’interno della teologia critica della liberazione, da parte di Martín Cremonte (2010) alla “teologia indecente”, troviamo: 1) l’impossibilità di “smettere di essere” cristiani per decisione individuale o collettiva; 2) i rischi dell’idealizzazione della sacralità primitiva; 3) la centralità della lotta di classe all’interno della concezione dell’affare politico; 4) l’importanza delle scienze sociali per la ricostruzione della dimensione storico-sociale e 5) il valore del concetto e della produttività dell’area teorica della teologia sistematica.
Per quanto ci riguarda, vorremmo aggiungere una critica in più, che ribalta la falsa dicotomia tra “identità e differenza” che Althaus tiene a sottolineare, senza però rendersi conto che tale dicotomia si trova ancorata al dibattito sollevato da un multiculturalismo perverso [2]. È chiaro che la battaglia contro il sessismo o il razzismo deve essere combattuta, senza però perdere di vista la specificità degli antagonismi di classe. In tal senso, la provocazione “indecente” di Althaus – e il suo rapporto con la nozione di classe – finisce per diluirsi in una semplice trasgressione discorsiva che è, perciò, assimilabile e adattabile alla forma sociale egemonica.
Analizzando il rapporto tra il femminismo della “seconda ondata” – quella degli anni Sessanta e Settanta – e la riacquisizione di significato delle sue esigenze durante la nascita del neoliberismo, Nancy Fraser (2010) affronta quattro aspetti centrali nella prospettiva femminista di quegli anni: a) la denuncia delle disuguaglianze economiche e dell’ingiustizia sociale nella distribuzione dei beni, ovvero l’emarginazione delle donne sul posto di lavoro; b) la critica dell’androcentrismo; c) lo statalismo, espresso nella verticalità del processo decisionale e nella concentrazione di potere e d) la critica, anche se talvolta ambivalente, al modello westfaliano. Tali aspetti avrebbero portato da un lato ad una critica al concetto di classe da una prospettiva che riprende le categorie di razza e di genere e, dall’altro, paradossalmente, ad una assimilazione della riconfigurazione del capitalismo nella sua fase neoliberista.
Nonostante il fatto che le richieste delle femministe, ambientaliste, studentesse, tra le altre categorie, possano a volte concordare in apparenza con il “nuovo spirito del capitalismo”, paradossalmente la loro realizzazione concreta pone una sfida alla società borghese-capitalista. In più, dobbiamo sottolineare che, per essere precisi, sono le disuguaglianze di genere e di razza quelle che si rafforzano nel neoliberismo [3]. Di conseguenza, sosteniamo che, invece di rigettare prima facie le necessità dei vari gruppi oppressi (alter-globalisti, ecologisti, LGBT ecc.), dovremmo collocare nel corretto contesto le loro battaglie, poiché solo in questo modo si potrà dar vita ad una strategia realizzabile per la distruzione del capitalismo.
A mo’ di conclusione, sosteniamo che, nonostante i punti deboli che si avvertono nella teoria di Althaus, si deve riconoscere il gradiente sessista che è dominante tra i teologi della liberazione, tanto nella loro attività teologica quanto in quella politica. In tal senso, la “teologia indecente” ci pone dinnanzi a due sfide: da un lato, la sfida dell’articolazione della sessualità e della riconfigurazione della soggettività con il pensiero teologico critico e, dall’altro, quella dell’arricchimento, da una prospettiva libertaria, della nozione di classe.
Ricalcando Walter Benjamin, sosteniamo che vi sia la necessità, oggi più che mai, della “debole forza messianica” [4] del nano per poter stabilire il vero stato di emergenza, cioè la società senza classi.
Se il nostro obiettivo è quello di “salvare il mondo in modo che perfino il Messia delle tradizioni religiose diventi verde d’invidia” (Gandler, 2009), dobbiamo sottolineare che la “teologia indecente” ha portato alla luce aspetti cruciali che ci permettono di avere una visione più nitida del dominio del maschilismo esercitato all’interno degli spazi di riflessione teologica. Tuttavia, la rottura di classe – intesa alla maniera di Althusser – viene progressivamente eclissata dalla denuncia al sistema patriarcale. Perciò, il progetto universale di emancipazione umana non deve escludere le questioni della razza e del genere, ma nemmeno si deve ridurre la forma di dominazione sociale a un semplice discorso sul patriarcato, giacché tali questioni potrebbero finire alla mercé di interessi che alimentano lo sfruttamento, ovvero, del sistema capitalista.
_________
* l 20 febbraio 2009 è morta Marcella Althaus Reid, teologa femminista argentina di nascita e inglese d’adozione. Ha lavorato sui temi della sessualità e del corpo ed è stata un punto di riferimento per la comunità femminista e queer. Il suo contributo alla teologia della liberazione e della sessualità è stato onesto, coraggioso e provocatorio. Riteneva che solo una teologia radicale, che osasse andare oltre i limiti comunemente accettati, potesse rivelare la presenza di Dio nel nostro tempo. Ha sfidato i poteri oppressivi dell’ortodossia e ha trovato coraggio e ispirazione nei margini. Nel suo libro “Indecent Theology” riflettendo sulle esperienze sessuali dei poveri e facendo uso di analisi economiche e politiche espone l’ideologia sessuale della teologia sistematica. In “The Queer God” (Il Dio queer, editrice Claudiana, 315 pagine) elabora un’ idea di santità che supera i pregiudizi sessuali e colonialisti e mostra come la teologia queer sia una ricerca della liberazione di Dio.
[1] Per un’analisi ermeneutico-critica della Profanazione, vedi Agamben (2005). D’altro canto, per Agamben (2007) i soggetti sono il risultato della relazione tra gli esseri viventi (o sostanze) e i dispositivi. Nel tempo attuale di sviluppo del capitalismo, inteso come processo di de-soggettivizzazione, siamo testimoni di una grande quantità di dispositivi che interpellano, controllano e contaminano ogni istante di vita degli individui.
[2] È interessante osservare che i concetti di “identità” e “differenza”, e anche quello di “uguaglianza”, si iscrivano in una cornice prettamente liberale, vale a dire nei parametri della società borghese-capitalista. Per una critica di tali concetti, vedi Callinicos (2003) e Gandler (2009). La libertà, la differenza e l’uguaglianza sono pienamente realizzabili solamente in una società eco-socialista.
[3] Nel suo lavoro sugli “abiti”, Natatxa Carreras (2010) dimostra come la produzione e la riconfigurazione delle soggettività sia intimamente legata al processo in cui “l’accumulazione del capitale accentua le disuguaglianze appropriandosi delle gerarchie di genere già esistenti, che pongono le donne in posizione subordinata in ogni articolazione di classe e di genere”. Per questo “le teorie sugli antagonismi tra capitale e lavoro e la teoria psicanalitica, che va a braccetto con la teoria queer, permettono di precisare e di dare risalto alle forme di potere e differenziazione, determinanti nei processi di soggettivizzazione. Tali teorie consentono di analizzare l’origine del soggetto mettendo in discussione le relazioni di potere che escludono e danno forma, e anche i fondamenti che le hanno create”.
[4] Riprendiamo questo concetto da Benjamin per riferirci al fatto che siamo noi – in quanto classe – il Messia rivoluzionario.
Testo originale: Dios sale del closet. Notas sobre teología indecente