Chiesa, omosessuali e dottrina “in cammino”
Risposta di don Vincenzo ad una lettera pubblicata sul settimanale cattolico CREDERE, n.52 del 27 dicembre 2020, pp.60-61
Ho letto con interesse l’editoriale del direttore e l’articolo suI docufilm sul Papa sul n. 44 (ndr del settimanale Credere) e vorrei confrontarmi con voi sulle mie perplessità. I due passi di Amoris laelitia citati nell’editoriale per spiegare il pensiero del Santo Padre sono presi dal documento della Congregazione per la dottrina della fede del 3 giugno 2003, dove si dice anche che per la Chiesa «il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale o al riconoscimento legale delle unioni omosessuali».
Ora, parlando di unioni civili, sia pure volendole distinguere dal matrimonio, l’allora cardinale Bergoglio nel 2010 non si mise in contrapposizione col magistero della Chiesa? Il fatto di ribadire queste opinioni ci deve far pensare che il Catechismo della Chiesa Cattolica e il magistero siano in qualche modo superati e si debbano adeguare al pensiero del mondo?
Flavio Capusso
La risposta…
Caro Flavio, il tema dell’omosessualità (e quello connesso delle unioni civili) è piuttosto complesso e tocca tanti aspetti, antropologici, sociali, teologici e pastorali. Vorrei qui soffermarmi anzitutto su un punto della tua lettera: il Magistero può cambiare? Se guardiamo alla storia della Chiesa, ci rendiamo conto che su determinate realtà il giudizio della Chiesa è maturato gradualmente e di conseguenza anche l’insegnamento si è modificato.
Penso qui alla schiavitù (ammessa per secoli), alla disputa se gli indigeni del “Nuovo mondo” avessero un’anima o meno, alla valutazione della pena di morte. Proprio quest’ultima ci fornisce un esempio chiaro di cambiamento: fino al 2018 il Catechismo della Chiesa cattolica (n. 2267) non escludeva del tutto il ricorso alla pena di morte. Papa Francesco è intervenuto affermandone l’inammissibilità senza eccezioni e ha modificato l’articolo in questione in modo corrispondente. La nuova formulazione cita alcune ragioni per il cambiamento fatto: una prassi giudicata «accettabile» in passato, oggi, per «una nuova comprensione» maturata nel frattempo della dignità umana, viene dichiarata semplicemente «inammissibile».
Alla «verità tutta intera» (Giovanni 16,13) si arriva mediante processi non sempre lineari e la Chiesa col tempo matura una comprensione più profonda della rivelazione, leggendo anche i “segni dei tempi”. Detto In altre parole, la dottrina non è un deposito monolitico e statico. Allora c’è il rischio di “relativismo”? No, e ci aiuta una distinzione fatta dal Vaticano II: esistono verità di fede centrali nel cristianesimo e verità più “periferiche” rispetto a questo centro, per cui si parla di gerarchia della verità (Unitatis redintegraiio, n. il; CCC. a. 90).
Il che significa che non ogni affermazione del Magistero è sullo stesso piano: se le verità centrali (la Trinità, l’Incarnazione…) sono punti fermi, altre più “periferiche” rispetto a questo centro possono modificarsi col tempo, per un cambiamento di sensibilità, nuove acquisizioni che vengono dalla scienza o dalla stessa teologia…
È interessante ricordare quanto avvenne nella Chiesa delle origini: si è posto a un certo punto il problema dei convertiti alla nuova fede che provenivano dal paganesimo: occorreva circonciderli (i primi cristiani, tutti ebrei, erano circoncisi) o era sufficiente la fede in Cristo, senza passare per la circoncisione (che è costitutiva dell’identità ebraica)?
Gesù era ebreo, era circonciso e non aveva lasciato indicazioni esplicite in proposito. Che fare? Il problema fu affrontato da un “Concilio” (Atti 15), in cui vennero dibattute le varie posizioni: un vero e proprio processo di discernimento ecclesiale e di ascolto dello Spirito, che concluse che bastava la fede in Cristo, senza la circoncisione. La Chiesa, assistita dallo Spirito ma anche nel confronto tra i suoi “capi” e in ascolto della realtà, aveva individuato una “verità” prima non evidente, con un riflesso concreto di glande portata nella sua vita.
Per venire al tema delle coppie omosessuali e il loro riconoscimento legale, il Catechismo non ne parla; il giudizio sulle “unioni civili” si trova nel documento da te citato della Congregazione della dottrina della fede (un organo vaticano, ma non allo stesso livello del magistero pontificio), di cui alcune affermazioni non sono più state riprese nei documenti pontifici successivi.
Sull’opportunità di una legge per tutelare la convivenza di coppie omosessuali si sono espressi positivamente nel frattempo diversi vescovi. La preoccupazione è di non equiparare, nei termini e nella sostanza, le “unioni civili” e il matrimonio. Quanto alla valutazione della omosessualità, ci sono in gioco diversi fattori ed è un cantiere aperto anche per la Chiesa, come ha documentato bene Luciano Moia nel suo libro “Chiesa e omosessualità” (Edizioni San Paolo, 2020) con l’aiuto di varie voci di esperti.
La Chiesa ha la legittima preoccupazione di salvaguardare la complementarità tra uomo e donna, ma ha a cuore anche la difesa della dignità di ogni persona a prescindere dal suo orientamento: due principi non facili da conciliare. Alcune valutazioni teologiche fatte in passato sono “situate storicamente” e possono essere influenzate da precomprensioni (quando non pregiudizi) culturali e teologiche condizionate da vari fattori.
La presa di coscienza di tutti questi elementi, un approccio più sereno, libero dalle “tenaglie” di ideologie forti (da una parte e dall’altra) e più ampio possibile possono far evolvere o persino modificare una valutazione precedente. Forse non disponiamo ancora degli strumenti concettuali adeguati per nuove valutazioni: ma è in atto un processo di discernimento e un cambio di paradigmi (don Aristide Fumagalli, nel libro di Moia, riflette sui possibili cambiamenti che potrebbero venire da un paradigma personalistico-relazionale sul tema delle coppie omosessuali).
D’altronde, dobbiamo ricordare che la dottrina è sempre a servizio delle persone e del loro bene: ha un compito pastorale e non può passare sulla testa delle persone e delle loro storte. Le norme non devono essere “pietre”.
La riflessione teologica, anche a partire da piccole esperienze in atto di gruppi di omosessuali credenti, sta provando a mettere a punto degli strumenti di riflessione. Sta anche a noi saper rimanere “aperti” convivendo con un margine di «incertezza» su alcuni temi, senza voler trovare soluzioni a ogni costo. E questo anche un presupposto di un paziente discernimento, che tocca ai pastori e alla Chiesa tutta.