Come ho imparato a essere me stesso
Testimonianza di Francesco di Macerata
Mi chiamo Francesco, 39 anni di Macerata. Nel tempo mi sono reso conto che la mia storia in fondo è comune a molte altre. Scoprire questo attraverso l’ascolto delle persone incontrate oppure attraverso la lettura di racconti di vita vissuta è stato importante per non sentirmi solo e per una condivisone.
Per questo vi scrivo in breve la mia storia perché possa essere di aiuto a qualcun altro nello spirito di chi vuol condividere percorsi di vita.
Questo è ciò che ho cercato di fare in questi ultimi due anni, da quando ho sentito forte dentro di me la necessità di accogliermi integralmente, senza discriminare nulla di me. Ho avuto la fortuna di essere aiutato in questo viaggiare dentro me.
Persone che ho cercato e incontrato. Tutti hanno contribuito a condurmi verso me stesso senza paure, con benevolenza nella progressiva riconciliazione con me stesso e con gli altri. Lacrime e sorrisi di un percorso ancora in atto, in continuo divenire.
Un oceano di emozioni forti e sconvolgenti. Mi sono sentito vivo e fortemente amato da Dio, sempre, in ogni istante, ogni giorno, anche quando nella solitudine e nel dolore di certi momenti è stato più difficile sentirne la presenza. Il racconto di sé stessi è il racconto di una speranza percepita, vissuta, condivisa.
Ho scritto alcuni appunti, un piccolo diario, di ciò che ho vissuto e non tanto e non solo per non dimenticare poiché sarebbe difficile dimenticare l’essenziale di ciò che ho vissuto e vivo, ma per rendere sempre vive le emozioni di un cammino, di una vita, iniziata da piccolo e ancora in corso. Infatti pur partendo dal 2005 le emozioni, le riflessioni, gli incontri si intrecciano nel passato, sono nel presente, e guardano al futuro con occhi nuovi e col cuore colmo di speranza.
Qui riporto solo alcuni flash, un piccolo e semplice resoconto di come io, Francesco, dopo aver per 36 anni svalutato ma anche annullato e nascosto me stesso, a me stesso prima di tutto e agli altri, finalmente ha trovato la forza, di venire fuori, di uscire dalle paure accumulate in una vita e cercare di volermi bene ed apprezzarmi per come Dio mi ha creato e incominciare a vedermi con i miei occhi e con quelli di Dio e non con gli occhi mercenari degli altri.
Fin da piccolo ho sentito in me questa sensibilità. E subito è stata causa di grande sofferenza. Una sofferenza che è proceduta lenta e costante nel tempo, accompagnando la mia vita giorno per giorno e l’ha profondamente caratterizzata.
Una sofferenza enorme, un macigno in certi momenti, che ha formato e accresciuto la mia timidezza, isolandomi dai luoghi del divertimento di tutti ma non del mio.
Una sofferenza che mi ha portato ad avere una bassissima considerazione di me stesso, un rifiuto della mia personalità, di ciò che provavo e sentivo. Così non mi è rimasto altro che il sogno, almeno quello, anche se a volte è sembrato fin troppo irreale e impossibile da sembrare solo sterile illusione.
Il sogno di poter vivere una vita normale come quella di tutti i miei amici. Il pianto nascosto e segreto, a volte cercato, a volte naturalmente suscitato da ciò che provavo, era la manifestazione di una lacerazione profonda che vivevo tra ciò che dovevo essere e ciò che ero. Il pianto mi ha offerto l’unica via di uscita per andare oltre il buio e la disperazione del momento.
Anche per il pianto ho dovuto nascondermi e non perché non volevo comparire fragile ma perché non potevo rendere conto della mia sofferenza a nessun altro fuori di me, per non dover dire di me, di ciò che io non volevo, non potevo accettare, perché gli altri, il mio mondo, non mi avrebbero accettato.
Ciò che provavo era da buttare, così si esprimevano le persone, ed io mi sentivo da buttare. E’ anche vero però che fortissima ho sempre sentito in me la presenza di una speranza, di quella speranza che vive il timore ma ha in sé la certezza di una luce. Speranza e luce che veniva dal Vangelo di Gesù, dalle sue parole, dai suoi atteggiamenti.
In Lui c’era altro rispetto a quanto vivevo come discriminante ed è questo altro che ha nutrito in profondità in me, la forza per ricercare la verità più profonda e di sperare anche per me una gioia possibile.
Nell’adolescenza ho provato ad avere storie con ragazze ma mi sono sempre sentito ostaggio del timore di una scelta fatta per scappare da me stesso. Volevo tanto poter provare attrazione per una donna e donarle amore ma non ci riuscivo.
Avrei potuto avere, con un ragazza, ciò che desideravo, una famiglia, ma non sarei stato felice, non ero me stesso e lei stessa ne avrebbe sofferto. Non avrei potuto usare ipocrisia, mi sarei odiato. Ci lasciammo. Pregai.
Ho iniziato a 32 anni ad avere i miei primi timidi, furtivi, sempre casti, incontri, provando sensazioni sempre brutte ma avevo il bisogno di provare a capirmi e a conoscermi meglio per ciò che provavo verso un uomo.
Mi sentivo sporco, non in pace con me stesso e con Dio. Ho pianto, quasi ogni volta, chiedendo a Dio aiuto per liberarmi da me stesso, perché Lui compisse un miracolo, ma anche spesso per chiedere di morire. Dio mi perdoni per questi pensieri.
Quanti pianti lungo le strade che mi conducevano a casa dopo gli incontri, in posti lontani dove l’anonimato era garantito. Il cuore e lo sguardo in disperata ricerca di Dio, in cerca di una casa anche per me. Mi vedevo e mi sentivo misero, fragile, povero, da salvare. Assisi, le confessioni da sacerdoti che non mi conoscevano.
Nonostante tutto la percezione che Lui mi accompagnasse in ogni istante era sempre presente. Nella disperazione più atroce segnata dalle lacrime, si faceva strada, sempre, il conforto e il calore della vicinanza di Dio.
Anche negli istanti più discutibili ho sentito la Sua presenza accanto a me pronto a donarmi il suo abbraccio, il suo rifugio perché Lui sapeva che ne avrei avuto bisogno. E’ come se in fondo io in certi momenti non fossi presente a ciò che vivevo, ma mi sentissi in altre braccia, le Sue, con la sensazione forte di uno scollamento tra il corpo da una parte e il cuore e la mente dall’altra.
E questo Suo sentirlo fortemente presente accanto a me, mi ha portato a chiedergli sempre perdono prima di tutto per i pensieri brutti che ho avuto su di me poiché sentivo che il pensarmi morto o malato era il mio peccato più grande.
Incontro dopo incontro cresceva dentro di me la consapevolezza che avrei dovuto affrontare la questione in modo serio e sentivo che lo avrei dovuto fare con un sacerdote in modo da far chiarezza una volta per tutte su me stesso.
La paura di non essere capito, di non essere voluto bene, di essere giudicato negativamente, soprattutto, mi ha sempre portato ad evitare di parlarne con i sacerdoti che ben mi conoscevano, mentre ne parlavo solo in confessione con sacerdoti sconosciuti e lontani. Non mi bastava però perché mi sentivo ipocrita con me stesso prima che con chiunque altro. Non con Dio però, mai con Lui, perché Lui conosce tutto, da sempre.
L’anno 2005 è stato l’anno di svolta perché il bisogno di parlare e di capire era orami così forte. Un fiume in piena. Ho iniziato ad incontrare in modo diverso e a scegliere giovani che come me cercassero l’incontro prima di tutto per parlare, per dialogare, per conoscersi in modo bello, rispettoso per poter capire le dinamiche interiori e confrontarle.
Questo mi ha portato a toccare con mano sensazioni molto più profonde e belle e ad aprirmi ad un altro aspetto di me che non avevo mai provato prima se non solo immaginato. Provavo realmente sentimenti di affetto molto forti verso un uomo.
Ho iniziato a provare coinvolgimento di testa e di cuore. Ho pianto per loro, per l’affetto che provavo, turbandomi profondamente. Era bello, mi faceva sentire vivo, totalmente vivo e soprattutto trovavo in queste persone le mie stesse sofferenze e speranze e non mi sentivo più solo.
Finalmente ebbi l’occasione di poter parlare di me con alcuni religiosi, disponibili ad un ascolto sincero ed accogliente. Parlai loro di me, ascoltai le loro parole e mi sentii come rinascere. Mi invitarono a volermi bene profondamente perché non ero malato, non ero uno sbaglio della natura.
Queste parole mi furono scritte in un foglio perché lo portassi sempre con me: “Niente avviene per caso: niente di te e della tua vita ti è stato dato per caso. La tua realtà ti ha dato una sensibilità e una capacità di ascolto più sviluppate che in altri: questo ti dà una “marcia in più”. Cerca sempre di essere te stesso e di dare sempre il meglio di te”.
In quei giorni mi sentii sciogliere le catene che per tanti anni avevano imbrigliato la mia persona. Tornai a vivere: fui liberato dai sensi di colpa e di frustrazione. Dopo 36 anni passati a negarmi, a rifiutarmi perché il mondo mi negava e mi rifiutava, potevo ora guardarmi in viso, abbracciarmi e volermi bene.
Chissà se si può solo provare ad immaginare ciò che provai quel giorno. Le persone che sono come me, con questa mia identità, o le persone che in qualche modo hanno sofferto nella loro vita una discriminazione, un rifiuto, possono capire e vivere anche loro in prima persona le mie difficoltà e le mie gioie perché sono anche le loro.
Finalmente tutto di me era svelato. Ora potevo iniziare davvero un cammino in cui tutto veniva considerato e soprattutto, questa la novità percepita, niente veniva scartato e quindi tutto valorizzato e riconsiderato pieno di valore e di senso da sempre.Iniziava un cammino profondo di riconciliazione con me stesso, con Dio che da sempre ha guidato ogni mio passo.
Trovai anche la forza di parlare di me ai miei genitori. Non è stato facile ma abbiamo continuato a parlarne di seguito altre volte e pian piano camminiamo insieme. Considero questo passaggio importantissimo verso una sempre più serena accettazione di sé stessi nella condivisone di chi ti vuole davvero bene.
Non c’è stato mese nel 2005 in cui io non abbia pianto. Un pianto provocato da un dolore da una sofferenza ma anche da un senso profondo di gioia, e comunque nel corso del pianto la sofferenza si è trasformata in gioia per aver sentito presente fortemente in me il conforto di Dio. “Il pianto e la fragilità sono espressione di forza e di autenticità e non c’è persona più bella di chi è autentica”.
Ho voluto fare tutto questo cammino nella fede perché la fede è parte essenziale di me. Non potevo escludere questo aspetto fondamentale di me, per questo il mio cammino è passato attraverso la ricerca di un dialogo con la Chiesa attraverso alcuni sacerdoti, religiosi che mi hanno liberato verso l’amore di Dio Padre che non mortifica ciò che sono ma anzi lo esalta e dà senso a tutto il mio essere e il mio sentire.
Non mi sento più nel peccato ma nell’amore di Dio e questo ha suscitato in me una profonda commozione e il pianto è diventato liberazione. Dal sentirmi sbagliato, malato, da buttare sono passato ad abbracciare la mia condizione a vederla e a sentirla come una normalità e non più come una diversità umiliante. Una ricchezza di cui sono fiero e che dà valore unico alla mia persona.
Un giorno ad una cena con gli amici di sempre, Letizia, una mia amica, si avvicina e mi dice: “si vede Fra che stai vivendo!”. Resto sorpreso, gli dico che gli voglio bene e lancio l’invito per parlare.
Un venerdì di fine maggio ci incontriamo e in spiaggia racconto tutto di me. Lei mi invita a parlare dicendomi che per qualunque cosa lei non giudica mai. Lei piange, perché si rivede in molti passaggi della mia vita. Dopo qualche giorno arriva una sua lettera con una foglia della rosa che le regalai quel venerdì comprata da un indiano che magari avrà pensato che fossimo fidanzati:
“Sono tornata a casa da poco, ma ancora non riesco a smettere di pensare a questa serata, a quanto è stata importante, a quanto mi hai reso importante! Grazie! Mene ricorderò per sempre; anzi credo che ce la ricorderemo per sempre!
Grazie per essere Francesco. Grazie per essere amico Francesco. Grazie per essere “vicino” anche quando sei lontano. Grazie per la condivisione di stasera e per le parole di stima e di incoraggiamento che mi hai rivolto….ne avevo bisogno!
Sei per me una persona cara e sappi che, se vorrai, sarò felice di condividere con te i momenti di felicità, e i momenti di sconforto.
Ti voglio bene. Veramente. Un abbraccio
P.S.: Grazie della rosa…. una parte per ricordo. Letizia
Ora a che punto è Francesco? Francesco cammina ancora. Cammina verso la possibilità di vivere una affettività bella e serena, nell’incontro del compagno della sua vita se capiterà. Nel frattempo Francesco vive la difficoltà e la gioia di questo cammino donando sempre un sorriso a chiunque incontra.
Quel sorriso che dà serenità, a me stesso prima di tutto, espressione di solarità e di accoglienza perché è immensamente bello sentirsi accogliere. E chi ha vissuto l’esperienza di un rifiuto sa cosa intendo dire.
Un abbraccio e buon cammino a ciascuno.