Come ho imparato a pensare fuori dagli schemi grazie a una figlia lesbica
Testimonianza di Carmella Van Vleet* pubblicata sul sito My Kid is Gay (Stati Uniti), liberamente tradotta da Chiara Benelli
Una delle cose che preferisco del Capodanno è iniziare un calendario nuovo. Non transigo su quale scegliere: riquadri grandi e niente figure. Solo e soltanto un glorioso spazio bianco da riempire di appunti, promemoria di compleanni e appuntamenti.
Ve lo dico perché voglio che sappiate che sono il genere di persona che vuole che tutto sia ben sistemato – a volte anche solo metaforicamente – in scatole ordinate e facilmente etichettabili. E le cose non sono affatto cambiate nemmeno quando ho scoperto che mia figlia, Abbey, allora quindicenne, era lesbica.
Come tanti genitori di ragazzini omosessuali, anche io avevo molte domande: “Perché pensi di essere lesbica?”, “Da quanto tempo pensi di esserlo?”, “Se sei lesbica, allora perché fin’ora sei uscita con i ragazzi?”, “Ma se non hai mai baciato una ragazza, come fai a sapere che ti piace?” (Sì, lo so. Domanda stupida. Ma voglio essere sincera con voi.)
Visto che non venni a sapere da lei della sua omosessualità, – ma questa è un’altra storia, e ve la racconterò un’altra volta –, Abbey non ha avuto l’opportunità di prendersi del tempo per capire le cose con calma. A suo immenso merito, va detto che ha subito fatto del suo meglio per rispondere tempestivamente ai miei quesiti e alle mie preoccupazioni. Alla fine di quella prima conversazione tra noi, lei mi disse: “Non so. Credo di essere bisessuale”. E io dissi a me stessa: “Magari è solo curiosa”.
Allora ho pensato, tutta soddisfatta, che si sarebbe ricreduta nel momento in cui avrebbe baciato una ragazza per la prima volta. Non vado fiera della mia reazione da “probabilmente è solo una fase”, ma, ancora una volta, voglio essere sincera con voi.
Nelle settimane seguenti mi sorsero ulteriori dubbi: “Sei lesbica per davvero?”, “Non è che vuoi esserlo solo perché lo sono anche alcune tue amiche?”. Ma la domanda più gettonata era: “Ti sposerai con un uomo o con una donna?”.
Il più delle volte mi beccavo il solito “Non lo so”, e ci rimanevo male. Il mio amore per Abbey non è mai stato in dubbio, e da complice di lunga data, mi stava bene che mio figlio o mia figlia fossero omosessuali. O almeno mi stava bene in teoria: in realtà, mi stavo rendendo conto che le cose erano molto più complicate di così. Non c’erano scatole precise e ordinate.
Un pomeriggio, mentre tornavamo a casa da scuola, misi ancora una volta mia figlia alle strette: “Ma hai solo 15 anni, come puoi sapere che ti piacciono le ragazze?”.
Fu la volta buona che la pazienza di Abbey, già messa a dura prova, si esaurì definitivamente. Incrociò le braccia, guardò fuori dalla finestra e si rifiutò di rispondermi.
Fu allora che mi resi conto che le mie inesauribili domande e le mie pretese di sapere “tutto subito” avevano fatto cadere le nostre linee di comunicazione. Stavo cercando di fare chiarezza mentale riguardo a questa rivelazione, catalogarla e metterla in una scatola. Mettere in una scatola Abbey. E tutto perché fare così mi avrebbe aiutato a sentirmi meglio.
Durante quel silenzio in macchina, ripensai a quando avevo 15 anni. Mi ero innamorata per la prima volta in vita mia di un ragazzino di nome Shawn. So per certo che i miei genitori mi ritenevano troppo giovane per capire le faccende di cuore, ma rispettarono me e i miei sentimenti.
Io conoscevo bene me stessa, quindi perché non avrei dovuto avere fiducia anch’io nel fatto che Abbey conoscesse se stessa e il suo cuore?
Da quel momento in poi ho smesso di fare tutte quelle domande, o almeno ci ho provato. Detto tra noi, non sempre ci sono riuscita. È nella mia natura di scrittrice iper-analizzare, meravigliarmi e ficcare il naso. Ma quel momento ha segnato l’inizio della mia rinuncia alla necessità di avere tutte le risposte.
Abbey è apertamente omosessuale da quasi tre anni ormai. Attualmente si definisce lesbica, e frequenta le ragazze. Quando parliamo del suo futuro matrimonio, parliamo di sua “moglie”. Qualche settimana fa, però, mi ha detto che potrebbe considerare l’idea di mettersi con un ragazzo. Lo ammetto, mi ha colta completamente alla sprovvista. “Ma tu sei lesbica!” le ho detto io.
Poi mi sono ricordata cos’è successo quando ho provato a catalogarla, e mi sono zittita. È mia figlia: non va in una scatola, e non ha bisogno di etichette. Lo scoprirà da sola. E quando lo farà, io sarò lì ad aspettare che mi racconti tutto al riguardo.
* Carmella Van Vleet è moglie, ex insegnante e madre di tre giovani di 22, 20 e 18 anni. Pensa che siano bravi ragazzi, che però hanno insistito per crescere. È scrittrice per bambini a tempo pieno e si impegna a includere le famiglie LGBTQ nelle sua opere ogni volta che è possibile. Potete incontrarla su www.carmellavanvleet.com
Testo originale: Thinking Outside of the Box