Come il basket mi ha aiutato nel mio coming out come gay cristiano
Articolo* di Brandon Wallace e Nathan Fort pubblicato sul blog The Gay Christian (Stati Uniti) il luglio 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Pochi mesi fa Nathan Fort ha riempito le prime pagine dei giornali perché è il primo giocatore di basket di un college dichiaratamente gay. Quel che molta gente non ha sottolineato, comunque, è che Nathan è anche un devoto seguace di Cristo. Mi ci trovo molto nella sua storia perché abbiamo avuto esperienze molto simili.
Siamo entrambi cresciuti nel rurale Arkansas, abbiamo entrambi dovuto superare una teologia per così dire tossica, imparare come navigare a vista tra sessualità e spiritualità. Non solo quello: il football, durante la mia adolescenza, l’ha fatta da padrone. È così ancora oggi perché sono un allenatore. Sono felice di vedere molti più atleti e allenatori essere aperti sulla loro sessualità perché rompono il cliché secondo cui non si può essere gay e mascolini, o secondo cui la sessualità ha qualcosa a che fare con le capacità fisiche. Ho chiesto a Nathan di condividere la sua storia sul blog e sono felice che l’abbia fatto. Sicuramente vi piacerà leggerla: eccola.
Star del basket, cristiano… e gay di Nathan Fort
“Come puoi essere un giocatore di basket del college ed essere gay?” è la domanda che mi fanno ogni giorno. “Come puoi essere gay e essere anche cristiano?” Di solito rispondo con qualcosa di ugualmente assurdo: “Come fai ad essere etero e a giocare a basket o essere cristiano?”
La vita non è stata facile per me nel periodo in cui cercavo di capire chi ero nell’Arkansas rurale. Con i mille abitanti di Cedarville, l’Arkansas mi ha regalato alcuni dei migliori momenti e delle esperienze più belle, accanto ai miei amici e alla mia famiglia. Ma c’è un ‘ma’. Cedarville non è solo uno dei luoghi più razzisti del paese, è anche uno dei più omofobi. La comunità LGBT è giudicata, guardata dall’alto in basso e i gay sono considerati cittadini di seconda classe, scelti per essere picchiati o uccisi. Lo so perché, purtroppo, ad un certo punto della presa di coscienza della mia sessualità, queste cose sono successe anche a me.
Sono sempre cresciuto con l’idea che se eri gay, finivi all’inferno. Se mi aveste incontrato tre anni fa, vi avrei detto che ero contro l’omosessualità, che odiavo le persone gay e che pensavo non valessero nulla. Penso che tre anni più tardi le cose siano cambiate e che le mie parole mi si siano ritorte contro.
Durante il periodo scolastico ero il ragazzo sciocco della scuola, quello con cui nessuno voleva passare il tempo. Gli altri studenti mi prendevano in giro perché ero diverso da loro. A quel punto, l’unica cosa che mi salvò fu il basket. È stato la mia fuga dal mondo. La mia fuga dalle molestie e dalle prese in giro quotidiane. Accanto a Dio, il basket diventò quello di cui avevo bisogno per arrivare a fine giornata. Iniziai a giocare sempre meglio, al punto da catturare l’attenzione di altri studenti e allenatori, che mi guardavano con interesse. Anche con il basket, comunque, ero ancora depresso e frustrato e mi sentivo sempre fuori posto. Depresso al punto tale da decidere di suicidarmi non appena ne avessi avuto l’occasione.
Occasione che arrivò dopo una settimana terribile, in cui non avevo nessuno con cui uscire. Non avevo amici, i miei genitori non andavano d’accordo e l’allenatore del mio vecchio liceo mi aveva detto che non avrei avuto nessuna possibilità di giocare a basket al college. Era il momento di mollare tutto e finire di soffrire. Di fianco a casa mia c’era una scogliera alta più di trenta piedi, dalla quale quella notte mi affacciai. Stavo camminando fino in cima, avvicinandomi con l’intenzione di mettere fine alla mia vita. Però non ne ebbi il coraggio e, impaurito, me ne allontanai. Allora successe l’impossibile. Mentre tornavo indietro inciampai in una pietra e precipitai: stavo per morire.
“Com’è che sono vivo?” pensai svegliandomi al frinire dei grilli alla mia destra. Mentre guardavo il cielo, potevo sentire le mie gambe rotte. Tutto quel che potevo fare era gridare per la rabbia e la tristezza, riconoscendo che, andando lì, avevo preso una delle decisioni più stupide della mia vita. Qualcuno mi aveva salvato da tutto questo. L’unica cosa che potevo fare era guardare il cielo e dire qualcosa che, sei anni dopo, avrei ricordato ancora: “Dio, se mi aiuti ad avere un piano per la mia vita, ti servirò per sempre”. Non c’era modo di andare da nessuna parte e non avere un cellulare non mi era di nessun aiuto. In quel momento sentii una voce nella mia testa che mi diceva improvvisamente: “Alzati”. Non ero solo in quel frangente. Dio mi aveva salvato, ma come potevo alzarmi? Strisciai fino ad un albero vicino per alzarmi, sebbene pensassi di avere entrambe le gambe rotte. Dopo un paio di minuti ero in una posizione in cui potevo finalmente stare diritto e dopo un po’ camminavo. Sopravvivere all’incidente mi ha aiutato a mantenere fino ad oggi la mia fede in Dio.
Al liceo il basket mi ha aiutato a raggiungere nuovi traguardi, tanto che mi fu offerta una borsa di studio completa per un college vicino alla mia città, l’Ecclesia College. Diventai uno dei migliori nuovi giocatori della squadra, avevo una ragazza stupenda ed ero uno dei ragazzi più popolari del campus. Tutto stava andando a posto, ma avevo l’impressione di vivere in qualcosa che non mi apparteneva. Era come se rendessi felici gli altri e non me stesso. Fu allora che i ragazzi iniziarono a colpirmi. Pensavo sempre che avrei voluto stare con un ragazzo, ma in verità avevo troppa paura per fare la prima mossa.
Dopo essere stato all’Ecclesia, decisi di andare al Bethel College di Newton, in Kansas, a cinque ore da casa, dove avrei potuto finalmente affrontare il mondo reale, esplorare la mia identità e scoprire chi ero. Un weekend avevo deciso di tornare a casa e andare nel club gay ad un’ora da casa mia. Stava diventando una situazione molto strana, finché incontrai un ragazzo e iniziammo a parlare. Sembrava un tipo a posto, diversamente dagli altri ragazzi che cercavano di rimorchiarmi. Mi chiese di andare a fare un giro in macchina insieme per conoscerci un po’ meglio, ma non sapevo che quel viaggio sarebbe diventato una delle cose più drammatiche che mi siano successe: venni drogato, abusato sessualmente e stuprato. All’epoca non raccontai il mio incidente perché pensavo fosse troppo imbarazzante raccontare agli altri la sofferenza e la depressione che dovetti affrontare. Ogni giorno faccio ancora i conti con quello che mi è successo e combatto per superare le mie paure e voltare pagina.
Tornando al Bethel per il mio secondo anno iniziai a rivolgermi alle ragazze, non sentendomi però tagliato fuori dalla scena gay. Dormire la notte era una delle peggiori cose che dovevo affrontare. Non potevo dormire e c’erano alcune notti in cui piangevo fino ad addormentarmi perché sapevo di non essere pronto per quello che, improvvisamente, “essere gay” significava. Ci misi un anno intero per avere il coraggio di essere autenticamente me stesso a dispetto di ciò che potessero pensare gli altri. Quando dissi ad un paio di amici di essere gay, la voce iniziò a spargersi rapidamente nel piccolo campus del Bethel.
Dal momento che molti studenti sapevano di me, decisi anche di dirlo alla mia seconda famiglia: i miei compagni di squadra e i miei allenatori. Ciò che provai raccontando tutto ai miei compagni di squadra e ai miei allenatori fu l’emozione più grande della mia vita. Non mi guardarono come “il giocatore di basket gay” ma come Nathan. La felicità mi riempì il cuore perché sapevo che potevo essere me stesso di fronte ai miei compagni di squadra, i quali mi aiutarono a diventare una stella sul campo da gioco.
La stagione passata sono diventato uno dei migliori post player del circuito e uno dei migliori giocatori della mia squadra: una grande realizzazione per me. Giocare a basket è diventata la via di fuga di cui avevo bisogno per fuggire da ciò che mi era successo. Fuori dalla squadra, invece, mi ero fatto degli amici tra gli studenti del Bethel che si eclissarono immediatamente non appena seppero della mia sessualità.
Iniziarono a circolare voci nel campus e alcuni studenti cercarono di maltrattarmi, sbattermi fuori a calci dalla scuola e anche danneggiare il mio furgone. Per fortuna, concretamente, non successe quasi nulla di tutto ciò, a parte qualche alterco, così credo che stiano tentando di capirmi, di capire che cerco di vivere la mia vita, esattamente come loro fanno con la propria. Proprio per quel che è successo, il Bethel College mi ha dato tantissimo affetto e mi ha aiutato nel processo di scoperta della mia sessualità.
Quando ho fatto coming out con i miei genitori stavano divorziando, così ho evitato di dirglielo prima di essere abbastanza sicuro che lo intuissero già. Non sono felici che io sia gay ma mi hanno assicurato di amarmi molto e cercano di capirmi davvero. Mi sono detto che dopo la stagione avrei fatto coming out pubblicamente. Iniziavo a non vergognarmi più della mia sessualità. Il 30 marzo scrissi un articolo su OutSports in cui dicevo ufficialmente di essere gay.
Questa dichiarazione sulla mia storia e la mia sessualità iniziò a raggiungere tutte le parti del Paese e del mondo, poi tornò come un boomerang alla mia omofoba città d’origine. Tornare a casa tre settimane dopo per vedere la mia famiglia fu una lotta. Gli amici di una vita mi voltarono le spalle. Gli allenatori e gli insegnanti che mi avevano aiutato a migliorare e a raggiungere un sacco di obiettivi decisero di non parlarmi più a causa della mia sessualità. C’erano anche membri della mia famiglia che mi fecero capire di non volere più aver nulla a che fare con me. Mi prese così male che alcuni rednecks [braccianti di classe medio-bassa, perlopiù razzisti, n.d.t.] di Cedarville mi spinsero in un fosso con il mio furgone per farmi capire quanto fossero contenti che fossi tornato a casa. Essere lì non era più come una volta e non lo è nemmeno oggi.
Esplorare la mia sessualità è stato un viaggio faticoso, ma devo ringraziare Dio che mi ha dato la forza, il coraggio, la determinazione e l’amore per vivere ogni giorno pur sapendo che alcune persone non mi accettano. Spero di aiutare altri a trovare la stessa forza per affrontare le lotte che incontreranno nella loro vita. Non avevo un proposito nella vita, ma Dio mi ha fatto aiutare i membri della comunità LGBT per far capire loro che Dio e Gesù li amano.
Cerco di vivere ogni giorno questo motto: sii sempre te stesso. Dio ci ha creati diversi l’uno dall’altro e l’ha fatto per un motivo. Non sprecate la vostra vita nella depressione fino al punto di prendere decisioni inconsulte, come ho fatto io. Non lasciate che nessuno vi trattenga dal fare ciò che volete, perché è la vostra vita, non la loro. Ho nascosto la mia sessualità per molto tempo e ad un certo punto ho capito che dovevo raccontare a tutti quello che mi era successo. La mia sessualità non mi definisce: io sono più di una categoria. Aprite i vostri cuori e le vostre menti a ciò che la vita ha da offrirvi. Dio mi ha aiutato così tanto che mi ha donato un piano per amare e vivere la vita in pienezza.
“Io, infatti, conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo – dice il Signore – progetti di pace e non di sventura, per concedervi un futuro pieno di speranza.” Geremia 29:11
* Il passo biblico è tratto dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.
Testo originale: Nathan Fort’s Story: Basketball Star, Christian….and Gay – Don’t miss this read because it’s a great one!