In che modo il Magistero cattolico ferisce i genitori con figli LGBT?
Testo* di Casey e Mary Ellen Lopata tratto dal loro libro Fortunate Families: Catholic Families with Lesbian Daughters and Gay Sons (Famiglie fortunate: famiglie cattoliche con figlie lesbiche e figli gay), Trafford Publishing, 2003, capitolo 9, pp.67-73, liberamente tradotto da Diana
Nel capitolo 7 Casey ha raccontato cosa ha imparato dall’insegnamento cattolico sull’omosessualità. Ha iniziato con quanto ha compreso in generale, cioè che la Chiesa dice che l’omosessualità è male: troppo perfino per parlarne. Ma sapeva che nostro figlio è un ragazzo buono profondamente spirituale, così si è interrogato su quanto pensava d’aver studiato sull’insegnamento della Chiesa (sull’intero insegnamento della Chiesa) in relazione ai gay, alle lesbiche, alla sessualità, alla giustizia ed all’amore di Dio per ogni persona. Casey è giunto a capire che Jim poteva essere gay e cattolico, infatti era gay e cattolico: non c’era contraddizione.
Il completo, accurato e ordinato percorso di Casey smentisce la confusione delle esperienze vissute e trascura la frustrazione, la rabbia ed il dolore che ha provato. La sua storia è quella di una persona piena di risorse, molto motivata, con la gran fortuna d’avere a portata di mano opportunità educative di alta qualità, con cui ha potuto esplorare i suoi quesiti e le sue preoccupazioni.
Tali opportunità non sono disponibili alla maggior parte dei genitori.
Sebbene molti genitori giungano alla fine alle stesse conclusioni di Casey, la confusione e il dolore che hanno vissuto quando hanno appreso che loro figlio era gay, spesso nascono con l’esperienza del figlio (e propria) di non sentirsi accolti nella Chiesa Cattolica. Come possono sentirsi accolti i loro figli quando la Chiesa li chiama “oggettivamente disordinati” e dice che i loro atti intimi di amore reciproco sono “intrinsecamente cattivi”? Come può un genitore comprendere questo linguaggio, quando è stato loro insegnato che ogni figlio è un dono di Dio ed è amato incondizionatamente? Questo capitolo osserverà gli atteggiamenti dei genitori in relazione alla loro fede.
I genitori che hanno partecipato all’indagine hanno dei sentimenti molto forti sull’insegnamento cattolico riguardo l’omosessualità. Questi genitori frequentano regolarmente la messa, partecipano alle attività parrocchiali e ai programmi di educazione religiosa ed affermano che la religione è molto importante per loro. Hanno fatto lo stesso percorso mio e di Casey, anche se in modo individuale e personale, arrivando alla stessa meta: una profonda comprensione verso il loro figlio gay come figlio di Dio e dono di Dio, per loro e per il mondo.
La Bibbia
Due specifiche domande del questionario (una relativa alla Bibbia e l’altra alla dottrina cattolica) ci fanno comprendere meglio le reazioni dei genitori di fronte al figlio gay o alla figlia lesbica. La prima domanda chiede ai genitori di individuare i versetti della Bibbia o le storie bibliche che sono state d’impedimento, causa di confusione o, invece, di aiuto per rapportarsi con il proprio figlio omosessuale.
I genitori erano turbati da parole come “sodomita” e frasi come “l’omosessualità è un abominio” e altre attribuite alla Bibbia che (a volte in modo non preciso) condannano gli omosessuali. Un genitore ha scritto: “Spesso ci sono dei versetti che dicono che l’omosessualità è un peccato (non mi ricordo il capitolo e il versetto), ma sono pochi. Eppure, vengono citati tante volte tanto da far ritenere che siano molti”.
Casey ha scritto nel capitolo 7 dei testi biblici citati più volte usati per condannare l’omosessualità. Queste storie e versetti vengono detti “pugni in faccia” perché vengono usati per “bastonare” i nostri figli gay. In effetti questi versetti sono emersi nelle risposte del sondaggio. Molto citato Levitico 18:22: “Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio” e 20:13: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro”. Molti hanno commentato che questi passi vengono usati in modo selettivo e specifico per offendere i gay e le lesbiche, senza spiegare che fanno parte del Codice di Purità degli Israeliti, che serviva a distinguerli dagli altri popoli.
Viene citata spesso la storia di Sodoma e Gomorra (Genesi 19:1-25). Una madre ha scritto: “Mi sconvolge il fatto che alcuni usino le Scritture per giudicare gli altri. Alcuni usano la distruzione di Sodoma e Gomorra per condannare gli omosessuali”.
Altri hanno fatto rilevare l’importanza del contesto storico e sociale di un versetto o di una storia, facendo notare che forse alcuni passi, di solito ritenuti una condanna dell’omosessualità, potrebbero avere un’interpretazione diversa, specialmente in riferimento alla storia di Sodoma e Gomorra. Un genitore ha detto: “La storia di Sodoma e Gomorra mi causava dolore, finché non ho capito che si riferiva al peccato della mancanza di ospitalità”. Molti studiosi della Bibbia concordano sul fatto che il “peccato” di Sodoma fosse la sua inospitalità verso gli stranieri, espressa in modo molto violento con lo stupro omosessuale, percepito come estrema umiliazione per un maschio.
Alcuni scritti di Paolo sono considerati problematici, specialmente Romani 1:26-27, dove si parla di “atti ignominiosi”, ma è dell’idolatria pagana che Paolo sta parlando.
D’altro canto, i genitori hanno anche citato versetti e storie bibliche che sono stati di aiuto. Sono esempi che perlopiù proclamano l’importanza dell’amore. Un genitore ha parlato del comandamento di Gesù “amatevi gli uni gli altri” (Giovanni 15:17), un altro citava il trattato di Paolo sull’amore (1 Corinzi 13): “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. […] Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”.
Un altro genitore ha citato la descrizione di Giovanni di Dio come amore (1 Giovanni 4:7-8): “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”.
I genitori hanno citato la natura inclusiva dell’amore di Dio, cioè, noi siamo tutti figli di Dio, creati dalla bontà di Dio e “fatti a sua immagine e somiglianza” (Genesi 1:26-27). Molti hanno fatto riferimento all’amore di Dio per tutti e alla nostra responsabilità di amarci l’un l’altro.
Alcuni hanno evidenziato il divieto di Gesù di giudicare gli altri, per esempio nella storia dell’adultera, quando Gesù dice alla folla adirata: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Giovanni 8:3-11); nel Sermone della Montagna Gesù dice: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato” (Luca 6:37). Altri hanno parlato del perdono di Dio citando la storia del Figliol Prodigo (Luca 15:11-32).
La Chiesa
Il sondaggio ha posto ai genitori la stessa domanda riguardo alla loro fede cattolica: Che cosa nella loro fede cattolica è causa di dolore e confusione, o invece di conforto, riguardo i loro figli omosessuali? Ancora una volta le risposte hanno rivelato tutte e tre le sensazioni: dolore, confusione e conforto.
Martha, madre di un figlio gay, esprime il conflitto generato da questi sentimenti: “La mia fede, non la mia religione, mi è stata di grande aiuto nel mio percorso. All’inizio la Rete dei Genitori Cattolici e suor Jeannine Gramick sono stati molto importanti nel farmi sentire meno sola e isolata. Mi è stato di conforto sapere che siamo in tanti. Ma col passare del tempo mi importa sempre di meno l’insegnamento della Chiesa. Semplicemente, so che sbagliano. Questo non vuol dire che il mio cuore non esulti quando un prete o un vescovo dice qualcosa di positivo verso la comunità gay. Oggi sono molto contenta, perché so che Dio ama mio figlio gay e la sua comunità, che Dio lo ha creato gay e vuole che viva una vita piena e ricca. Credo anche che noi siamo stati scelti per essere genitori di figli gay e abbiamo l’obbligo di aiutare gli altri a comprendere. Sebbene sia dispiaciuta per la mia Chiesa che allontana mio figlio gay e molti altri che hanno così tanto da offrire, ammetto di essere grata, perché la dottrina cattolica mi ha dato una fede potente in Dio. Non ho trovato nulla nella mia fede cattolica di confuso o doloroso, ma è molto difficile non essere feriti dalla Chiesa”.
I genitori esprimono chiaramente il dolore e la confusione che sperimentano coi loro figli quando si trovano di fronte alla Chiesa. Vedono una Chiesa che giudica e condanna i loro figli omosessuali e pensano che tale giudizio incoraggi il pregiudizio e la discriminazione che i cosiddetti “fedeli” sono pronti a dimostrare. Questo è evidente anche nella “predicazione negativa” e nella dottrina che chiama i loro figli “disordinati” e “difettosi”. Subiscono l’ignoranza, la mancanza di cura pastorale, l’incoerenza, la confusione e ostilità assoluta, talvolta ai più alti livelli diocesani. C’è una mancanza di accoglienza e sostegno, sia per i loro figli omosessuali che per i genitori. Nelle parrocchie vivono un silenzio che significa “Non vogliamo essere disturbati da voi” e “Si tratta di qualcosa di talmente malvagio, che di non se ne può nemmeno parlare”. Si preoccupano che i loro figli omosessuali abbiano una vita sana, gioiosa, mettono in discussione il comandamento della Chiesa che vieta l’intimità sessuale alle persone omosessuali; temono che i loro figli possano condurre una vita solitaria. Un genitore ha scritto: “Insegnare che i gay debbano condurre una vita di astinenza sessuale non è realistico, è impossibile e impedisce la realizzazione della loro sessualità”.
I genitori hanno trovato invece di grande aiuto la loro fede cattolica, che li ha aiutati a conoscere l’amore, la misericordia, la compassione, il perdono e l’accoglienza di Dio. Molti hanno citato il Catechismo di Baltimora (1953): “Dio ci ha creati per mostrare la Sua bontà e per condividere con Lui la gioia eterna in Paradiso”; “Per guadagnare la gioia del Paradiso dobbiamo conoscere, amare e servire Dio in questo mondo”. Apprezzano in particolare i vescovi che sono stati “positivi”, “gentili”, “compassionevoli” e “sensibili” verso i gay e le lesbiche e le loro famiglie; le suore, i preti e le comunità di fedeli che sono stati di aiuto sono citati come esempio di cura pastorale. Hanno confermato l’importanza dell’insegnamento cattolico sul primato della coscienza e hanno trovato speranza nella lettera pastorale dei vescovi americani Always our Children (Sono sempre nostri figli). Alcuni hanno trovato sostegno nei gruppi di supporto, nei ritiri spirituali e nei gruppi di lavoro di gay/lesbiche nelle parrocchie e da parte dei pastori delle rispettive diocesi. Infine, hanno trovato forza e conforto nella preghiera e nei sacramenti, specialmente nell’Eucarestia.
Pochi genitori hanno risposto alla domanda se la loro comprensione della dottrina cattolica era cambiata da quando avevano saputo che il figlio era gay, ma alcuni temi sono ricorrenti in queste poche risposte. Alcuni hanno trovato supporto e conforto in Always our children e hanno sentito di aver compreso meglio l’insegnamento della Chiesa, compreso quello sul primato della coscienza. Altri continuano a lottare con quanto considerano incoerente nell’insegnamento. Un genitore ha scritto: “Non riesco a capire. Quando andavo a catechismo mi è stato insegnato ad accettare e amare chiunque; ora, invece, la mia Chiesa non accetta mio figlio per quello che è”. Alcuni hanno perso ogni fiducia nell’insegnamento della Chiesa in questa materia: “Non mi interessa quello che la Chiesa insegna sull’omosessualità”.
Il dolore dei genitori viene espresso con chiarezza: “Penso che la Chiesa non pensi né si occupi dei genitori. Per loro non esistiamo e per ogni omosessuale ci sono due genitori. Siamo in una grande agitazione”. Ma è anche evidente il potenziale per una risposta pastorale. C’è una chiara esigenza di ministeri pastorali per colmare la mancanza di sostegno, il silenzio, la confusione e l’incoerenza, l’ignoranza e la mancanza di comprensione nelle nostre parrocchie e diocesi. Ministeri pastorali ponderati dovranno prendersi cura delle voci dei genitori e ascoltare i loro bisogni, per avviare una discussione su come venire incontro a tali bisogni.
Conclusioni
Sono cresciuto in una severa famiglia tedesca cattolica e non ho mai avuto la tentazione di mettere in discussione la dottrina cattolica. A 7 anni rimasi molto colpito dalle tombe dei bambini non battezzati, sepolti sul perimetro del cimitero, su suolo non consacrato. Mi sconcertò anche il fatto che mangiare intenzionalmente carne il venerdì fosse un peccato così grave da meritare l’inferno, se non ci si confessava. Ma la Chiesa (incarnata nelle suore insegnanti) dicevano che era così, questo era tutto quello che dovevo sapere. Ciononostante, le domande rimasero conficcate nel mio cuore per essere riportate alla luce e ponderate quando scoprii, grazie ad altre dottrine, che non avevano senso se Dio (come credevo) era tutto bene, tutto misericordia e tutto amore. Per esempio: la mia dolce, gentile, pia zia Ginger si sposò con un divorziato e si diceva che fosse “fuori dalla Chiesa”. Quando la Chiesa chiamò mio figlio gay “disordinato”, emersero in me forti sentimenti. Proprio come credo che i bambini non battezzati siano con Dio, così penso che mio figlio sia figlio di Dio, “un dono chiamato per uno scopo nel progetto di Dio”.
Nonostante i messaggi dolorosi, talvolta distruttivi, della Chiesa istituzionale, i genitori cattolici trovano forza nel messaggio di Cristo e consolazione e sostegno nei sacramenti. L’amore per i loro figli nasce da una profonda fede nell’amore di Dio per tutti; l’amore per la loro Chiesa e la fedeltà a questa Chiesa nascono dall’intenderla come popolo di Dio. Lo Spirito Santo si muove individualmente nei nostri cuori e fra di noi come Chiesa, mentre compiamo questo viaggio insieme come “famiglie fortunate”.
* I passi biblici sono tratti dalla Bibbia di Gerusalemme/CEI.