Come la telefonata di papa Francesco “mi ha convinto a lottare” per la mia famiglia arcobaleno
Intervista di Caterina Pasolini a Andrea Rubera pubblicata su “La Repubblica” del 22 ottobre 2020, pag.14
«Non mi stupisce che papa Francesco parli di omosessuali con diritto alla famiglia. Lui vive dentro la storia, sa quale è la realtà di persone dello stesso sesso che si amano e hanno figli. Ma la vera rivoluzione è che non ragiona per categorie: gay, uomini o donne.
Lui guarda al singolo nella sua complessità, vede la sua storia e i suoi bisogni, pensa a come accoglierli. Esattamente come ha fatto con me cinque anni fa, nonostante gli avessi attaccato il telefono tre volte non sapendo che era lui a chiamarmi».
Andrea Rubera, 55 anni, pesa le parole. Il suo cammino non è stato facile per arrivare all’uomo che è: da 35 felice compagno prima e marito poi di Dario De Gregorio, 56 anni. E padre di tre figli, una ragazzina di 8 anni, due gemelli di sei.
Difficile essere gay per un cristiano?
«Io sono cresciuto in una famiglia cattolica, in un mondo in cui esisteva solo essere eterosessuali. Mi sentivo sbagliato, pensavo sarei finito all’inferno. Poi nel 2000 ho rischiato di morire e ho deciso che volevo che Dio mi accettasse per quello che ero. Sono andato a parlare con un sacerdote e lui mi ha detto: ti sbagli, Dio non è giudice, è padre, accoglie».
Il Papa come l’ha incontrato?
«Quando sono arrivati i figli mi domandavo se la Chiesa e la parrocchia erano pronti ad accoglierli, se li avrebbe fatti sentire diversi. Ero preoccupato per loro, così ho scritto una lettera e l’ho consegnata al Papa dopo la messa a Santa Marta».
Due giorni e squilla il telefono.
«Vedo numero sconosciuto, penso a uno scocciatore e metto giù. Una, due, tre volte. Poi rispondo. È il Papa che mi dice: evidentemente la disturbo. Una telefonata surreale, priva di convenevoli.
Voleva capire cosa mi angosciava, mi ha chiesto se avessi avuto difficoltà in parrocchia. Mi ha detto ci vada, secondo me troverà buona accoglienza. Così è stato da allora i nostri figli seguono un percorso di scoperta spirituale montessoriano con giochi e disegni».
Perché non ha raccontato prima?
«Non era un gesto politico il mio, ma una lettera, un’esigenza privata».
Vorrebbe sposarsi in chiesa?
«Dopo 35 anni d’amore mi farebbe piacere».
Cosa è importante per lei?
«Sentirsi parte di una comunità. Lo è per me, miei figli, per i giovani omosessuali che magari fanno gli scout e non osano dirlo. Noi facciamo parte dell’associazione Lgbt Nuova proposta, ma vorremo partecipare ad altri gruppi familiari parrocchiali. Per aiutarsi, confrontarsi. Perché come tutte le coppie abbiamo difficoltà e stanchezze ogni tanto».