Papa Francesco e le unioni Civili. Ritorniamoci su a bocce ferme
Riflessioni di Massimo Battaglio
La notizia sulle affermazioni del papa che si dichiara favorevole alle Unioni Civili, è talmente fragorosa che tocca tornarci sopra. E toccherà tornarci ancora a bocce ferme. Per ora, è utile esaminare bene l’ennesima “battuta” del pontefice argentino, senza entusiasmi nè preclusioni. Poi è opportuno valutare il quadro in cui si inserisce e le reazioni che ha scatenato. Infine, bisogna darle il giusto peso e domandarsi quali potranno essere le conseguenze nel dibattito e nella prassi ecclesiale, civile e politica.
Vediamo innanzitutto la dichiarazione stessa, rilasciata in un’intervista di due anni fa e tenuta, finora, non casualmente nascosta:
“Le persone omosessuali hanno diritto a stare in una famiglia. Sono figli di Dio, hanno diritto a una famiglia. Non si può cacciare nessuno dalla famiglia. Ciò che dobbiamo fare è una legge sulle convivenze civili. Le persone omosessuali hanno diritto ad essere tutelate legalmente. Questa cosa, io l’ho difesa”.
E adesso andiamo per punti
Molti hanno obiettato che non si parla di famiglie omosessuali ma solo delle famiglie da cui provengono.
Il papa avrebbe, con atteggiamento pietistico, semplicemente detto che non va bene cacciare un gay da casa. Ciò è parzialmente vero ma occorre precisare che, in molte parti del mondo, e segnatamente in molti Paesi cosiddetti cattolici, l’urgenza è ancora quella lì.
In Polonia, in gran parte dell’Africa, in alcune realtà sudamericane e, in qualche caso anche in Italia, le rivendicazioni delle comunità lgbt sono ancora ben lontane dall’obiettivo del matrimonio. Il problema quotidiano è proprio quello della sopravvivenza, del non essere rifiutati dalla famiglia di provenienza. Non c’è dunque nulla di strano se il papa, che si rivolge a tutto il mondo, inizia il suo discorso da quel punto lì.
Altri obiettano che si parla solo di fantomatiche “convivenze civili” e non di matrimonio.
Qui servono due precisazioni. La prima è che, nel momento in cui fu rilasciata l’intervista, anche nella Chiesa esisteva un dibattito su quale forma di tutela fosse giusta per le coppie omosessuali. I più intransigenti non ne volevano nessuna; altri pensavano a forme di salvaguardia dei soli diritti personali (Bagnasco, Scola); altri ancora ammettevano la necessità di un riconoscimento delle loro unioni. Al matrimonio, non si faceva cenno. Il papa, che non è un senatore della Repubblica ma un uomo di Chiesa, tiene conto di tutte queste posizioni e mostra sposare le ultime, cioè la parte più progressista. Mi si perdonerà se uso il termine “progressista”: in questo caso, è proprio quello giusto. La seconda precisazione è proprio sul concetto di matrimonio.
Il fatto che il papa non faccia cenno al matrimonio è una chiusura?
Non credo. E’ certamente segno di un colpevole ritardo ma non di una preclusione dottrinale. Cerco di spiegarmi. Il termine “matrimonio”, nel linguaggio e nella dottrina cattolica, ha un preciso significato teologico: è un sacramento. Di più: è il più moderno dei sacramenti, nel senso che è l’ultimo a essere stato riconosciuto, durante il Concilio di Trento, nel XVI secolo. Sono cioè serviti millecinquecento anni di ricerca teologica e vita ecclesiale e civile per dare al matrimonio la stessa dignità dell’Ordine sacerdotale, ovvero perché si ammettesse che due coniugi, davanti a Dio, hanno lo stesso valore di una persona consacrata.
Altri cinquecento anni sono stati necessari affinché si capisse che l’elemento centrale del matrimonio, e cioè il sesso, non è solo finalizzato alla riproduzione della specie ma anche alla piena realizzazione della persona nel suo rapporto con l’altro e, di riflesso, con Dio.
Ma perché il matrimonio non dovrebbe essere esteso agli omosessuali?
Perché una discussione sull’omosessualità analoga a quella sul matrimonio, ahimè, non c’è. Se non altro per ragioni di tempo. Infatti, la scoperta dell’omosessualità come variante naturale dell’orientamento sessuale è recentissima: questione di anni, non di secoli. Mancano ancora conoscienze (anche perché molti coltivano l’ignoranza) e sono estremamente carenti le testimonianze positive di cristiani omosessuali che vivono il loro rapporto di coppia serenamente e alla luce del sole. Ne consegue che non esiste una dottrina precisa, se non nella testa degli omofobi e dei superficiali. Lo stesso catechismo dice tutto e il contrario di tutto: che la “tendenza omosessuale” sarebbe disordinata ma anche che le persone omosessuali vanno rispettate più di altre; che devono essere caste ma anche che la castità non è da confondere con l’astinenza. Finché non ci si aggiorna su questi dati, è inutile usare termini solenni come “matrimonio”.
Se l’unione tra due persone dello stesso genere possa essere considerata teologicamente matrimonio, non lo so. Forse può arrivarci, a naso, qualcuno di noi che mastica di teologia. Le parole del papa di cui siamo venuti a conoscenza ieri hanno il pregio di sollecitare un aggiornamento. Egli ammette, di fatto, l’arretratezza della Chiesa: è consapevole che l’unione tra due persone dello stesso sesso è un bene prezioso, da “tutelare”, ma non dice come possono agire i cristiani in questa azione di tutela. E’ costretto a confidare in generiche e deboli “leggi sulle convivenze civili”.
Il papa parla tanto e scrive poco.
Lo si accusa di aver detto tante parole carine ma di non aver ancora messo mano al catechismo. Bene: a battuta, sono tentato di rispondere con altra battuta: meglio un Bergoglio vivo anche se scrive poco, che un Bergoglio morto ammazzato prima ancora che i suoi scritti vengano pubblicati. Sono serio perché è un rischio reale. Basta guardare gli equilibri mondiali tra le forze politiche, per capirlo, magari mettendo il naso un po’ più in là di casa nostra. Salvini, la Meloni, i Pillon che ieri sera si sono strappate le vesti, non sono che dei principianti in confronto a Trump, Putin, Bolsonaro e alle reti di morte che questi sanno mettere in campo. Lo stesso fatto che questa intervista sia stata tenuta nascosta per due anni, la dice lunga: non era solo per non ingerire sulle decisioni dei parlamentari italiani.
Ma in fondo, cosa c’è di nuovo?
Alcuni, nell’intendo di minimizzare o di non far surriscaldare gli animi, stanno sostenendo che, in fondo, Francesco non fa che attualizzare ciò che “la Chiesa ha sempre detto”. Il che può anche essere vero. E’ esatto ricordare che addirittura Giovanni Paolo II si era lasciato scappare, nella Familiaris Consortio, che ogni relazione umana va tutelata (e dunque, a maggior ragione, vanno tutelate le relazioni stabili tra coppie omosessuali). Ma intanto non è elegante tirare i papi per la giacchetta. E soprattutto, se tutti siamo Chiesa, vale anche, purtroppo, quello che dicono certi parroci in certe omelie che sembrano comizi di gerarchi fascisti. Valgono tutte le parole, e soprattutto i fatti, di incitazione all’odio, di discriminazione quando non di vera e propria violenza. Vale quello che sta succedendo in Polonia.
La Chiesa non ha “sempre detto”. E le parole del papa emerse ieri pomeriggio segnano una frattura senza uguali, pari solo alla rivoluzione liturgica del 1965. A questo punto abbiamo il diritto e il dovere di esigere la condanna di qualunque prelato, semplice prete o anche fedele laico che continui a comportarsi come se la Chiesa non avesse mai detto o avesse detto il contrario. Abbiamo il diritto e dovere di pretendere che la CEI ritiri le affermazioni odiose contro la legge Zan.
Pregheremo per la loro conversione, perché nulla accade senza l’aiuto dello Spirito Santo. Ma dobbiamo respingere al mittente le loro preghiere quando chiedono la conversione nostra, e cioè quando spacciano terapie riparative come fosse mariuana.
Andiamo incontro a uno scisma?
Si è sentito anche questo, in queste ore, ma non fa neanche ridere. E’ vero che gli scismi non si sono generati sempre su questioni dogmatiche importanti. Spesso hanno preso spunto da quisquiglie di comodo, come nel caso di Enrico VIII e della nascita della Chiesa anglicana. Ma anche alle quisquiglie c’è un limite. Non penso proprio che un risicato 5% della popolazione debba prendersi sulle spalle la colpa di una spaccatura della Chiesa universale.
Ma poi: gli scismi hanno bisogno di ideologi seri e di qualcuno che li segua. Gli omofobi da sacrestia sembrano tanti perché urlano forte. Ma quanti dei loro amici sarebbero disposti a staccarsi da mamma Roma?
Gli scismi poi, abbisognano di strutture, potere e soldi. A meno che non si tratti della nascita di comunità improntate alla povertà evangelica – penso alle origini della Chiesa Valdese – nella storia, è sempre stato così: le sette scismatiche, se vogliono resistere, devono appoggiarsi a qualche principe. E comunque, i loro protagonisti devono dimenticarsi di mantenere le loro posizioni di potere.
E sinceramente, io non mi me li vedo, i rettori dei santuari perbene o i direttori degli ospedali o delle scuole come si deve, che rinunciano a tutte le ricchezze affidategli pur di mantenere il privilegio di dire che i gay sono contro natura.