Confini. L’esperienza di frontiera di un cattolico omosessuale
Riflessioni inviateci da Giacomo di Varese
Nella vita sperimentiamo numerosi confini. Fisici e ideologici. Come cattolico omosessuale sperimento quotidianamente diverse tipologie di confine. Potrei identificarne quattro principali: 1. Il confine tra ogni singolo cattolico omosessuale e la Chiesa Cattolica; 2. Il confine tra i differenti gruppi di fedeli omosessuali (cristiani e in particolare cattolici); 3. Il confine tra i gruppi di fedeli omosessuali e le altre associazioni laiche, all’interno della comunità LGBTQIA*; 4. Il confine (quello più evidente) tra la Chiesa Cattolica e la comunità LGBTQIA*.
Come premessa a questo discorso è necessario provare a dare una definizione di “confine”: – possiamo sperimentare un “confine” come barriera, muro, divisione, luogo di separazione, minaccia; – possiamo sperimentare un “confine” come spazio di incontro, uscita, scoperta.
Cercherò di riflettere in particolare sulla mia esperienza che precedentemente ho nominato al punto numero 3: il confine tra i gruppi di fedeli omosessuali e le altre associazioni laiche LGBTQIA*. È necessario sottolineare che la mia esperienza di fede è legata alla Chiesa Cattolica, e quindi tralascerò volontariamente le posizioni di tutte le altre Chiese.
I gruppi di fedeli omosessuali appartengono alla comunità LGBTQIA*. Quando si parla di comunità LGBTQIA*, non si fa riferimento a una struttura associativa organizzata e regolamentata, bensì si intende simbolicamente un insieme di persone che hanno in comune il fatto di vivere un’identità di genere e/o un orientamento sessuale che non è quello eterosessuale cisgender, cioè quello più diffuso nella nostra società (per LGBTQIA* intendiamo persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, qeer, intersessuali, asessuali,…). Anche la denominazione “fedeli omosessuali” è una sintesi non evidenzia la complessità e varietà dei vissuti umani: sarebbe più corretta la terminologia “fedeli LGBTQIA*” che quindi utilizzeremo di seguito.
Perché ci sono divisioni e ostacoli relazionali tra i cattolici LGBTQIA* e altre persone LGBTQIA*?
Analizzando i miei rapporti personali, ho cercato di identificare le difficoltà relazionali che sono emerse con maggiore frequenza, collocandole dentro quattro grandi gruppi tematici. Uno dei rischi principali è di sminuire tutta la ricerca giustificando e giudicando ogni difficoltà come mossa dal famoso “anticlericalismo” che contraddistingue molte persone LGBTQIA* (termine che uso con affetto e stima, dato che anche il mio compagno si definisce pubblicamente “anticlericale”). Ho cercato quindi di riportare alla memoria le frasi che più comunemente mi vengono dette quando una persona LGBTQIA* scopre, oltre alla mia omosessualità, che sono anche cattolico.
1- La Chiesa Cattolica è una causa persa.
Perché perdere tempo con un’istituzione millenaria che non cambierà mai? Perché cercare di interagire con vescovi e rappresentanti incapaci di ascoltare e accogliere idee diverse da quelle che loro ritengono verità naturali, immutabili e divine? Tanto vale chiudere qualsiasi tipo di rapporto con la Chiesa Cattolica e vedere con pietismo e farsi beffa di coloro (i cattolici LGBTQIA*) che ancora sperano di poter cambiare qualcosa.
2- I cattolici LGBTQIA* (come tutti i cattolici) sono incoerenti.
Perché organizzare qualcosa insieme tra associazioni laiche e cattolici LGBTQIA*? Perché portare avanti battaglie sociali e politiche, se poi dentro la Chiesa Cattolica nessuno dei cattolici LGBTQIA* ha il coraggio di esporsi e far sentire la propria voce? Basterebbe pensare ai numerosi cattolici LGBTQIA* che hanno rapporti sessuali occasionali senza problemi e che poi, quando ritornano in Chiesa, vanno a fare la morale agli altri. Perchè ci si dovrebbe fidare della Chiesa Cattolica che da una parte dice di uscire nelle periferie e accogliere tutti e dall’altra giudica e condanna persone con identità di genere e orientamento sessuale differenti da quello che loro ritengono la normalità?
3- La Chiesa Cattolica è responsabile di numerose ferite.
Perché ci si dovrebbe relazionare con un’istituzione che per molti è solo un ricordo negativo, dalla quale si è stati rifiutati quando si era in ricerca di se stessi, condannati quando si cercava qualcuno che dicesse che non c’è nulla di sbagliato nella persona che senti di essere? Perché si dovrebbe perdonare un’istituzione che mai ha chiesto scusa per tutto il male che ha fatto vivere a numerose persone LGBTQIA* negli anni della loro adolescenza, giovinezza o età adulta? Perché ci si dovrebbe relazionare con cattolici LGBTQIA*, se l’unica risposta che si riceve da loro è una cocciuta e cieca difesa della Chiesa Cattolica? Rapporti che per molte persone LGBTQIA* sono una dolorosa rievocazione del loro trauma e delle loro ferite.
4- La Chiesa Cattolica utilizza un linguaggio omofobo.
Perché accettare di relazionarsi con un’istituzione che praticamente dichiara ancora l’omosessualità una devianza, una malattia e utilizza termini discriminatori nei confronti delle perone LGBTQIA*? Perché stimare e rapportarsi con cattolici LGBTQIA* che acconsentono tacitamente l’utilizzo di certi linguaggi?
Rileggendo questi quattro punti si scopre di non avere trovato risposte alla prima questione “perché ci sono delle divisioni e degli ostacoli relazionali tra i cattolici LGBTQIA* e tutte le altre persone LGBTQIA*?”. Al contrario sono sorte numerose altre domande, sulle quali occorre fermarsi a riflettere: sono provocazioni, condanne, sono spesso sfoghi; sono parole che testimoniano la presenza di un grande dolore e di un cuore ferito non riconciliato.
Probabilmente di fronte a questa realtà la risposta più esaustiva si riassume nel constatate il fatto che i cattolici LGBTQIA* rievocano alle altre persone LGBTQIA* le ferite e i traumi che la Chiesa Cattolica ha lasciato nelle loro vite, a seguito dell’incontro con sacerdoti, educatori o semplici fedeli che non sono stati capaci di accogliere senza giudicare e senza avere paura della differenza e della novità custodita nell’altro.
Di fonte a queste ferite, mi occorre prima di tutto imparare a rispettare il dolore dell’altro, consapevole che non potrò mai farmi carico delle responsabilità di altre persone e non potrò mai chiedere scusa al posto loro o a posto della Chiesa Cattolica.
Quindi come poter cambiare le cose? Come riuscire a creare nuovi rapporti? Come mettere in discussione quel famoso “anticlericalismo” che è rivendicato con forza da numerose persone LGBTQIA*?
La risposta sembrerà banale e scontata, ma è solo nella dimensione dell’incontro che si possono superare differenze e diffidenze. Come cattolico omosessuale so che sono chiamato a fare il primo passo verso l’altro, so che devo rispettare coloro che non riescono a capire le mie ragioni e le mie scelte, coloro che non vogliono incontrarmi o che non hanno alcuna intenzione di cambiare idea sulla Chiesa Cattolica.
Come persona appartenente alla comunità LGBTQIA* so che non posso pretendere che tutti siano attivisti, che tutti abbiano fatto coming out, che tutti si battano per i diritti di tutti, so che devo rispettare sia chi si mette in gioco, sia chi per paura (o per qualsiasi altra ragione personale) preferisce non esporsi.
Questo principio vale per tutti coloro che appartengono o frequentano la comunità LGBTQIA* e di conseguenza anche per i cattolici LGBTQIA* e il loro rapporto con la Chiesa Cattolica.
Non è importante a tutti i costi combattere una battaglia e sacrificarsi per una giusta causa. La priorità è vivere con serenità la propria identità di genere e il proprio orientamento sessuale. E questo l’ho sperimentato in numerose relazioni, anche quelle più “anticlericali”: vivere la mia vita con serenità mi rende testimone autentico sia all’interno della comunità LGBTQIA*, sia nella Chiesa Cattolica, perché spontaneamente comunico la bellezza della mia vita e della mia fede, quella fede semplice e guidata dalle immagini del Padre Misericordioso, dell’amore verso i propri nemici, del discorso delle Beatitudini.
I confini ci saranno sempre, anche dentro la comunità LGBTQIA*, tutto dipende da come si vuole vivere il confine. Io credo che la modalità vincente sia quella di sperimentare il confine come spazio di incontro, uscita, scoperta, messa in discussione.
Il movimento LGBTQIA* è come un’onda che abbattendosi a riva travolge tutto quello che trova lungo il suo passaggio. Durante il periodo dei Pride si rievoca spesso questa immagine dell’onda che è diventata anche un termine utilizzato per raggruppare tutte le parate e gli eventi che vengono organizzati dalla comunità LGBTQIA* ogni anno: “Onda Pride”.
I cattolici LGBTQIA* fanno parte di questa stessa onda, ma sono anche consapevoli che per cambiare la Chiesa Cattolica non è vincente cercare di stravolgere una tradizione millenaria. I cattolici LGBTQIA* dentro la Chiesa Cattolica sono un ruscello che apparentemente non sconvolge nulla, ma scava lentamente consumando il terreno e promuovendo un cambiamento altrettanto significativo.
In fondo il bisogno di ognuno di noi è lo stesso: avere riconosciuta pienamente e rispettata la dignità di persone, chiunque noi siamo.