Cosa dice e non dice la Bibbia sull’omosessualita’?
Testo di Gabriella Lettini tratto da Omosessualità, Claudiana editrice, 2000, pp.21-24
Per i cristiani e le cristiane che si propongono di riflettere sull’omosessualità da una prospettiva di fede, il confronto con le Scritture assume un’ importanza fondamentale. Ma il suo esito non è mai scontato. Succede spesso, infatti, che sulla base degli stessi testi biblici ci si ritrovi ad appoggiare risoluzioni etiche completamente opposte. Questo è vero in particolar modo per quanto riguarda l’omosessualità.
Le discussioni sul tema finiscono spesso in una chiara polarizzazione: da una parte, chi ritiene senza ombra di dubbio che la Bibbia la condanni come un abominio agli occhi di Dio; dall’altra chi pensa, invece, che il messaggio evangelico non comporti affatto tale condanna.
È dunque evidente che la discussione sull’omosessualità, in ambito cristiano, diventa presto una discussione su come leggiamo la Bibbia. In ambito protestante, in particolare, questa discussione si fa particolarmente accesa, vista la centralità e unicità che la Scrittura occupa nella nostra fede.
Per i protestanti, il sola Scrittura significa che la rivelazione divina ha un primato fondamentale sulla sapienza, sulle leggi e le tradizioni umane, e che, dunque, la Parola di Dio rivelata nella Bibbia è per noi guida e insegnamento. La parola di Dio è «una lampada al nostro piede e luce sul nostro cammino», come dicono le parole del Salmo 119,105.
Ma anche questa immagine non manca di contraddizioni, come il nostro rapporto con la Bibbia non manca di generare una serie di problemi. Come fa notare il filosofo ebreo francese Emmanuel Levinas, il cristianesimo occidentale ha sempre amato fare uso della metafora luce per parlare della verità.
Ma spesso ci si è dimenticati che, quando si fa luce nelle tenebre, si proietta anche la propria ombra. La nostra visione delle cose è pur sempre parziale, viziata dalla nostra fisicità e umanità.
E’ possibile che chi ha scritto i testi biblici lo abbia fatto senza proiettare in qualche modo la sua ombra, cioè i propri valori culturali e morali, sulla parola di Dio? A questa domanda noi protestanti rispondiamo in maniera diversa, non avendo un’autorità centrale che definisce quale sia una lettura «corretta» dei testi, in quanto crediamo che essi vadano letti e interpretati da ciascuno e ciascuna senza la mediazione di un’autorità ecclesiastica che predetermini il significato. C’è chi adotta un’interpretazione «letterale» del testo, che vede come rivelazione divina di per sé: una posizione che viene definita «fondamentalista».
E c’è chi crede che la parola di Dio non possa incidere esattamente con le parole umane – e quindi legate a un determinato contesto storico, sociale e culturale – utilizzate da chi ha scritto la Bibbia (lettura cosiddetta «storicocritica»). Nella Bibbia troveremmo dunque una testimonianza umana della rivelazione di Dio.
Nel corso dei secoli, l’interpretazione biblica ha subito cambiamenti sostanziali. Per fare un esempio molto noto, circa centocinquant’anni fa, nel Sud degli Stati Uniti, a preminenza protestante, la schiavitù di uomini e donne neri era vista come un’istituzione ordinata da Dio e fondata su un certo ordine della creazione, secondo il quale uomini e donne nere sarebbero stati parte di una categoria di esseri sub-umani di poco superiore agli animali (la Bibbia, tra l’altro, non condanna la schiavitù).
Numerosi trattati sull’argomento furono scritti da teologi e pastori, e stampati da società bibliche. Interpretazioni bibliche analoghe sono state alla base della teologia dell’apartheid in Sudafrica. Molte chiese, negli Stati Uniti ed in Sudafrica, confessano oggi la propria colpa per gli abusi nei confronti dei propri fratelli e sorelle e verso la Parola di Dio che avevano travisato e distorto. È cambiata la Bibbia o è cambiato il modo di leggere la Bibbia?
Noi oggi guardiamo con orrore a queste forme di abuso e oppressione giustificate a suon di versetti. Eppure penso che, come cristiani, non possiamo mai essere sicuri di non commettere altre ingiustizie, proprio sulla base dei testi biblici.
Dobbiamo stare bene in guardia, visto che la nostra tradizione è macchiata da una serie infinita di tragici errori d’interpretazione, basata non solo su incomprensioni culturali, ma anche su scelte di comodo, su interpretazioni che guarda caso, finivano per incrementare proprio i nostri interessi: basti pensare al substrato culturale fornito allo sterminio degli ebrei e delle popolazioni native americane.
Altro esempio classico è quello della subordinazione e oppressione della donna all’interno della tradizione cristiana. La Bibbia è stata scritta in un contesto storico e culturale che vedeva la donna come oggetto di proprietà dell’uomo al punto di vista economico, sessuale e giuridico, e ne è stata fortemente influenzata.
Il messaggio liberatorio e dirompente di Gesù Cristo non è stato colto nella sua pienezza così da cambiare subito tale situazione, in modo chiaro, inequivocabile e definitivo. La tradizione cristiana ha preferito svilupparsi sulla linea del contesto storico e culturale del tempo, invece che seguire gli insegnamenti radicali e rivoluzionari di Gesù.
Oggi molte chiese, teologi e credenti riconoscono la natura patriarcale del contesto storico in cui i testi biblici sono stati letti e interpretati, mentre altri cristiani, che adottano un’interpretazione «letterale» delle Scritture, pensano che i gruppi cristiani più aperti si siano lasciati trascinare dalle «mode», quali la lotta per l’emancipazione della donna e il femminismo, e abbiano dimenticato gli insegnamenti biblici che danno alla donna un ruolo ben preciso, di complementarità nella soggezione rispetto all’uomo.
Gabriella Lettini , Omosessualità, Claudiana, Torino, 1999 , Pagine 64
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