Davanti al Talmud. La mio cammino rainbow nell’ebraismo umanista
Dialogo di Angela Raffaele con Yona Ladu, aderente all’ebraismo umanista
Come è vista l’omosessualità dalle altre religioni, ad esempio l’ebraismo? Ho avuto la possibilità di conoscere Raffaele Yona Ladu, aderente all’ebraismo umanista è fondatore del blog Non è in Cielo ed, insieme a sua moglie, del blog Lieviti. Dialogando con lui ho scoperto la sua interessante storia e il rapporto che attualmente intercorre tra l’omosessualità e le varie correnti ebraiche.
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Buongiorno Raffaele, ti ringrazio per la tua disponibilità. Per prima cosa volevo sapere qualcosa di più su di te.
Di me posso dire che ho una laurea in psicologia generale e sperimentale, ma non ho mai fatto l’esame di stato, perciò non posso dirmi “psicologo”. Lavoro in una banca ed il mio incontro con il mondo LGBT lo devo a mia moglie. Lei era la presidentessa dell’Arcilesbica di Verona, aveva organizzato la presentazione di un libro che mi interessava, l’incontro era aperto a tutti, e sono andato. Ho impressionato la mia futura moglie, che mi ha invitato a collaborare ad un’e-zine, e, visto che mi piace scrivere, ho accettato.
Ho ricoperto anche altri incarichi per l’Arcigay di Verona – finché il rapporto che la mia attuale moglie aveva con la sua donna (una storia lunga ed interessante) non è scoppiato, ed abbiamo finito con il metterci insieme e sposarci.
Mia moglie si identifica come bisessuale, ed abbiamo fondato Lieviti, un’associazione per persone bisessuali, pansessuali e queer.
Abbiamo anche per un po’ di tempo collaborato con “La parola” di Vicenza, finché non è diventato evidente che per loro era più importante dimostrarsi fedeli alla gerarchia ecclesiastica che lottare per i loro diritti. Proveniamo entrambi da famiglie cattoliche, ma abbiamo finito con il divergerne.
Io avevo già tentato un avvicinamento verso il mondo ebraico, che non era finito bene; l’involuzione della dottrina cattolica negli ultimi tempi mi ha convinto che non mi era più possibile rimanere nella Chiesa, ed allora ho ripreso la ricerca di una “denominazione” ebraica che facesse al caso mio [gli ebrei preferiscono parlare di “denominazioni” anziché di “confessioni”, perché l’ebraismo è più un modo di vivere che un sistema dottrinale] – l’ho trovata nell’ebraismo umanista .
Mia moglie, molto legata alla figura di Gesù (per me è semplicemente il più grande ebreo della storia – e geniale anche in alcuni detti tramandati dai Vangeli; la sua opposizione ai farisei non impedisce che in molte cose egli la pensasse come loro), ha preferito invece orientarsi verso la Chiesa valdese.
Ho dovuto chiedermi se la mia identità sessuale è davvero quella di “uomo etero cis”, e penso che sarebbe più corretto definirmi “genderqueer ginefilo”, ovvero una persona a cui piacciono le donne, ma con un’identità di genere non binaria.
Io e mia moglie abbiamo approfittato del Pride per andare a conoscere la realtà LGBT israeliana e partecipare al Pride di Tel Aviv (dedicato quest’anno alle persone trans), e ci siamo divertiti molto. Mi sono permesso pure il lusso mostruoso di andare alla Knesset, il parlamento israeliano, vestito da donna – e mi hanno fatto entrare (a Montecitorio sarebbe stato impossibile: per regolamento, un uomo deve indossare lì giacca e cravatta – questa è pura transfobia, ed il fatto che a nessuno sia venuto in mente quanto ingiusta sia questa disposizione spiega perché le persone LGBT [per non parlare delle donne] sono così indietro in Italia).
Col medesimo abito sono entrato allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, e nessuno ha avuto da ridire – forse perché in entrambi i luoghi sono entrato con una compagnia di persone dichiaratamente LGBT, e la “stranezza” era messa in conto. Ma ne riparleremo.
È stato un modo di fare il coming-out come trans, e sono convinto che tutti gli ebrei siano trans; a Verona io e mia moglie abbiamo creato la “havurà = compagnia (di studio)” “Non è in cielo” (Deuteronomio 30:12; nel Talmud [bBava Metzi’a 57b] questa citazione viene usata contro un paladino della tradizione per chiarire che la Legge non è in cielo, ma va stabilita di comune accordo dagli uomini – http://non-e-in-cielo.blogspot.com/2014/09/inizio.html ), e, dopo il viaggio in Israele, l’abbiamo iscritta a “The World Congress of GLBT Jews : Keshet Ga’avah” ( http://www.glbtjews.org/ ).
“Non è in cielo” vuole diventare un’associazione culturale, non prettamente religiosa, e potrà farne parte chiunque abbia a cuore sia la sorte degli ebrei che quella delle persone LGBT, indipendentemente dalla fede religiosa e dall’identità sessuale, e da altre “condizioni personali e sociali”. Sul conflitto israelo-palestinese, l’obbiettivo di “Non è in cielo” è “Due stati per due popoli”. Quello che accade ai palestinesi, agli immigrati clandestini, ed in generale ai non-ebrei, in Israele mi preoccupa assai.
Mi sono occupato in passato anche di dialogo interreligioso, e mi va benissimo collaborare con cristiani, mussulmani, e altre fedi per il bene comune.
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Non sono molto brava con l’inglese, ma da quello che ho capito l’ebraismo umanista è una sorta di ebraismo laico, cioè la cultura ebraica sganciata dalla fede, che non è la stessa cosa dell’ebraismo riformato, che consente anche alle donne di diventare rabbino ed è aperto alle unioni gay. Provenendo da una famiglia cattolica, come ti sei avvicinato al mondo ebraico? Come mai ti senti così vicino a questa realtà?
L’ebraismo umanista è, in effetti, un ebraismo laico; deriva dall’ebraismo riformato che tu già conosci, e come questo è LGBT-friendly, ed ordina rabbin* di ogni identità di genere ed orientamento sessuale.
Ho letto la tua storia, il mio caso è un po’ diverso dal tuo, perché tu hai sempre avuto la certezza della tua identità sessuale; quella che ho io è invece un’inquietudine, che tace quando mi sento bene, si fa sentire quando mi sento male. Forse questo spiega perché ho sposato proprio una donna bisessuale (una donna etero non apprezza queste inquietudini), ma, come ho detto, più che “trans”, dovrei considerarmi “genderqueer”.
In una cosa ci somigliamo: anch’io ho fatto parte di un ordine religioso – per la precisione, del Terz’Ordine Carmelitano. Perché l’ho lasciato? Perché ho delle tendenze ossessive, e l’unico modo per non sentirmi in colpa perché non riuscivo a fare tutto quello che mi ero proposto per essere perfetto era dichiarare tutto questo irrilevante.
La mia difficile sessualità non mi ha aiutato molto. Con le donne ho sempre avuto poca fortuna, ed al disagio della solitudine si aggiungevano le pressioni degli altri perché io mi accasassi. Capisco parecchio gli asessuali (anche se non sono uno di loro), perché ho subìto le loro stesse pressioni – controproducenti. Mi sono sposato quando avevo perso ogni speranza.
Perché mi sono avvicinato al mondo ebraico? Non mi sento di raccontarti tutti i dettagli; ti dico che una realtà scioccante che si tende a nascondere è il passato antigiudaismo cattolico, che è durato fino al Vaticano II e non è del tutto scomparso. Molti ebrei si stupiscono di come i cattolici di oggi ignorino quello che si fece a loro nome fino a cinquant’anni fa – se sono appena un po’ comprensivi, si rendono conto che la Chiesa dovrebbe avere un enorme coraggio a lavare quel genere di panni sporchi in pubblico, a perenne monito dei fedeli.
Non me la sentivo più di appartenere ad una Chiesa che era stata capace di fare queste cose, ma non di prendere pienamente coscienza dei propri errori; non avevo ancora incontrato mia moglie, quindi l’atteggiamento che avevo verso l’omosessualità era solo di benevola tolleranza.
Ho frequentato per un po’ la comunità riformata di Milano, ma l’impasse principale è stato il requisito della circoncisione – che non volevo subire. I riformati sono meno rigidi degli ortodossi (che dicono che, se c’è un motivo medico che sconsiglia la circoncisione, la conversione semplicemente non si fa), ma la pressione perché o mi circoncidessi, o mostrassi un certificato medico per esserne esentato, mi portò infine alle dimissioni.
Gli umanisti non esigono la circoncisione; abbracciai loro quando mi resi conto che gli omofobi che la Curia di Verona alleva (con l’acquiescenza dell’Ordine degli Psicologi Veneto) non sono solo convinti che l’omosessualità è una malattia, ma anche che l’atteggiamento da avere verso le altre religioni debba essere quello rigido del Cardinale Newman e non quello paziente del Vaticano II.
A questo punto mi sono detto: “La tensione missionaria della Chiesa le rende impossibile gestire il pluralismo, non solo degli orientamenti sessuali e delle identità di genere, ma perfino delle religioni e delle culture”, e sono passato all’ebraismo – che si limita a chiedere che gli esseri umani pratichino la giustizia e l’amore per il prossimo, senza esigere che essi adorino l’Unico Dio.
Ho detto che secondo me tutti gli ebrei sono trans; si può dire che tutte le persone sono trans, perché i ruoli di genere sono recitati, ma nel caso ebraico c’è una particolarità: quando Dio chiese ad Abramo di lasciare la sua famiglia e la sua terra (Genesi 12), non gli ha chiesto solo di attraversare il fiume Eufrate per recarsi a Canaan, gli ha chiesto di smettere di vivere secondo natura per mettersi al Suo servizio.
Più forte è stato l’appello rivolto agli ebrei attraverso Mosè (Esodo 19); un’interpretazione rabbinica molto apprezzata è che, mentre in Egitto c’è il Nilo che naturalmente dà acqua a tutti gli abitanti, nella Terra d’Israele/Palestina non ci sono grandi fiumi, e si dipende dalla pioggia, frutto della benevolenza divina, e della diligenza umana, che l’accumula d’inverno per farla bastare in estate.
All’ebreo non si chiede di vivere secondo natura, e neppure di accettare il corpo che gli viene dato alla nascita, tant’è vero che ortodossi, riformati, conservatori, rinnovatori, ecc. esigono che l’uomo si circoncida, cioè modifichi il proprio organo genitale. Gli umanisti, in mezzo a questi “transessuali”, fanno la figura dei “transgender”.
Tra l’altro, la parola “ebreo” deriva dall’ebraico “‘ivri”, la cui radice si trova nel verbo “‘avar = egli attraversò, egli mutò, egli transizionò”. Infatti la più nota organizzazione transgender israeliana è detta “Ma’avarim = coloro che attraversano, che mutano, che transizionano”.
Questi concetti si trovano anche nell’ascetismo cristiano (che, sai meglio di me, non deve però spingersi all’eccesso di negare il corpo), ed il filosofo ebreo Levinas notò che il nazismo aveva invece una vera e propria idolatria della natura.
Chi si converte all’ebraismo deve scegliere un nome ebraico da affiancare a quello anagrafico; io ho scelto “Yona”, perché è quello del profeta Giona (riluttante a portare il suo messaggio di speranza, Dio lo convinse con le maniere forti), perché in ebraico la parola significa “colomb*”, perché è un nome unisex (anche se il Giona biblico era un uomo), e quindi me lo posso tenere anche se “transiziono”.
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Penso di capire quello a cui ti riferisci, per tanti anni ho vissuto male la mia omosessualità, a causa dei sensi di colpa perché non riuscivo a seguire il cammino di perfezione cristiana: l’obbedienza perfetta alla Chiesa (anche quando si mostrava palesemente omofoba) e il rinnegare la mia natura, classificata da chi avevo intorno come tentazione demoniaca da respingere a tutti i costi. Una tensione continua che mi ha portato, ad un certo punto, a scoppiare.
L’ascetismo cristiano solo di recente è arrivato ad avere una diversa considerazione del corpo, ma la liturgia delle ore presenta numerosi brani di meditazione tratti dagli scritti di Origene, considerato uno dei più grandi teologi cristiani, che per raggiungere la perfezione cristiana si evirò. C’è una certa corrente sessuofobica nella chiesa. Secondo te esiste la possibilità di un movimento ebraico-LGBT in Italia? Magari facendo rete con altri movimenti LGBT di altre fedi religiose. Penso ci sia bisogno di una certa unità, di ecumenismo.
Mi chiedi se si può creare in Italia un movimento ebraico-LGBT; la risposta mia è che bisogna provarci, anche se il riuscirci non dipende solo da me. Conosco un ebreo gay a Verona, e sarebbe interessante convincerlo ad entrare in “Non è in cielo”. Gliene parlerò a fine estate. È certo opportuno che anche i movimenti LGBT abbiano un afflato ecumenico/interreligioso.
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Vedi, in Italia ci sono molti gruppi di cristiani omosessuali, ma sarebbe più produttivo che convergessero in un unico movimento cristiano LGBT. Se non si riesce in questo, è impensabile riuscire a collaborare in un movimento interreligioso. Ma, da quello che vedo, la società odierna fa molta fatica ad accettare le differenze, ad avere rispetto per il prossimo anche se è molto diverso da noi. Tornando all’ebraismo, volevo chiederti come si relazionano l’ebraismo ortodosso, quello riformato e quello umanista? E soprattutto, il fatto che l’ebraismo umanista e riformato sia LGBT-friendly come è visto da quello ortodosso? Costituisce un ostacolo per un sereno dialogo?
La mia opinione è che non sia necessario unificare i gruppi LGBT di una religione in un unico movimento prima di dedicarsi al dialogo interreligioso LGBT, per diversi motivi. Il primo è che in ogni religione trovi sempre chi rifiuta di trattare con un’altra religione – per esempio, mi capita di trovare ebrei ancora risentiti con i cristiani, oppure convintamente islamofobi.
Non possiamo dare a queste persone un potere di veto – se si riesce a persuaderle, bene, ma non possiamo lasciare che ci blocchino.
Il secondo è che parlare insieme comunque aiuta. Non solo a confutare i pregiudizi nei confronti dell’altro, ma anche a mettere le proprie idee nella giusta prospettiva.
L’esempio che ho fatto nella nostra corrispondenza è il concetto di “natura umana”: per un cristiano è importante, per un ebreo no. Argomentare basandosi su una concezione ingenua della “natura umana” significa dare per scontato che l’interlocutore sia cristiano, e magari dare della “natura umana” una descrizione basata sul cristianesimo (anzi, su come un’epoca storica vive il cristianesimo), che non rende pienamente giustizia agli ebrei ed agli altri.
Il dialogo attira l’attenzione su queste difficoltà, e stimola a risolverle – magari giungendo ad una definizione più inclusiva di “natura umana”.
Il terzo è che il dialogo favorisce chi lo pratica ed isola chi non lo vuole. Non mi piace avere a che fare con persone che vedono l’Islam come il nemico principale delle persone LGBT.
Chi propugna quest’idea di solito non è nemmeno LGBT-friendly, e cerca solo di mettere gli uni contro gli altri per sconfiggere entrambi. Direi che iniziare ora il dialogo è la miglior risposta.
Il quarto è che i gruppi che iniziano un dialogo interreligioso sono già per questo più attraenti. Dovendo scegliere un gruppo a cui aderire, preferirei chi fa dialogo interreligioso a chi non lo fa.
Per quanto riguarda l’ebraismo, l’ebraismo è da prima di Gesù una religione plurale, e purtroppo anche molto litigiosa. I rapporti tra le varie denominazioni ebraiche variano da paese a paese, e quelli che conosco meglio sono Italia, Israele, USA.
In Italia c’è il monopolio degli ortodossi, che hanno stipulato un’Intesa con lo stato. Esistono alcune comunità riformate (a Milano, a Roma, a Firenze), ma, che io sappia, rapporti ufficiali tra loro e l’UCEI non ce ne sono.
Nella mail da inoltrare al comitato avevo detto che Amos Luzzatto voleva che il suo gruppo Achad Ha’Am entrasse in contatto con queste realtà ebraiche non ortodosse, proprio perché le comunità ortodosse non ritenevano opportuno farlo in prima persona. Per un po’ di tempo, i contatti saranno affidati a gruppi ed iniziative culturali. Da qualche parte si deve pur cominciare.
Personalmente, il venerdì sera vado nella sinagoga ortodossa di Verona a pregare con gli altri; loro sanno chi sono e quello che faccio (ogni volta che “Non è in cielo” fa qualcosa di importante, mando una mail alla Comunità Ebraica [Ortodossa] e ad alcuni suoi esponenti), ma gli va benissimo che io preghi con loro – ovviamente, poiché non sono circonciso, non faccio parte del minyan (ovvero, se ci vogliono 10 ebrei maschi per recitare alcune preghiere, io non conto), e non me la prendo. La situazione può migliorare, ma ci vuole molta pazienza.
In Israele la situazione è peggiore, in quanto Israele è uno stato meno laico dell’Italia, ed il monopolio degli ortodossi rende impossibile agli ebrei di altre denominazioni perfino sposarsi (in Italia hanno l’alternativa del matrimonio civile).
Negli USA la laicità dello stato permette agli ebrei di ogni denominazione di coesistere senza problemi ed interferenze reciproche, e questo consentirebbe anche un dialogo più sereno, se lo si volesse. In due cose però le varie denominazioni sono tenute a collaborare: la lotta contro l’antisemitismo ed il sostegno ad Israele.
Queste cose impediscono alle denominazioni ebraiche di delegittimarsi a vicenda, anche se una sinagoga ortodossa continuerà a non ritenere parte del minyan chi ortodosso non è; purtroppo il governo israeliano ultimamente preferisce avere pochi amici che gli danno sempre ragione a tanti amici che gli chiedono di rispettare i diritti dei popoli, e questa forma di settarismo sta dividendo anche gli ebrei americani, anche all’interno delle singole denominazioni.
Il Talmud congettura su che cosa portò alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, ed una delle risposte che si dà è che fu l’odio insensato tra ebreo ed ebreo a permetter questo.
Per quanto riguarda l’influenza dell’LGBT-friendliness sul dialogo intra-ebraico, secondo me è un problema meno grave di quanto lo sarebbe per un dialogo ecumenico (intra-cristiano).
Un rabbino ortodosso può dire che Levitico 18:22 va interpretato alla lettera, ma è una trasgressione della stessa gravità del mangiare suino o dell’accendere la luce di Sabato – ed un ebreo che fa queste cose può tranquillamente continuare a frequentare la comunità.
Quello che un rabbino ortodosso può temere (le Sentinelle in Piedi e la National Organization for Marriage ne hanno sparate tante) è di non poter dire quello che lui vede nella Torah su questo tema. La cosa giusta da fare secondo me è rassicurarlo in questo, e ricordare che quello che importa è il “kavod ha-beriot = la dignità delle creature”, su cui tutti gli ebrei possono trovare un accordo.
Va anche ricordato che il dialogo interreligioso non va fatto solo con i “chierici”, ma anche con i fedeli, e che i singoli ebrei sono di solito abbastanza pragmatici (e ricordano che i nazisti ce l’avevano anche con gli omosessuali). Le possibilità e le difficoltà che si possono avere con loro non sono molto diverse da quelle che si hanno con i cristiani.
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Quindi per il fatto che per gli ebrei ortodossi considerano l’omosessualità una trasgressione del levitico non grave, alla Knesset e allo Yad Vashem ti hanno fatto entrare vestito da donna senza problemi?
Provo a spiegarmi meglio: alla Knesset io ed altre due donne trans (MtF) siamo entrate senza problemi vestite da donna;
– C’è una varietà di atteggiamenti verso l’omosessualità nell’ebraismo ortodosso – ma si può ribattere al rabbino più intransigente che, biblicamente, il consumare un rapporto omosessuale tra uomini non è peggio del mangiare un panino al prosciutto oppure fare di Sabato una cosa vietata quel giorno;
– Anche se la Bibbia commina la pena capitale per cose del genere, gli ebrei hanno sempre trovato il pretesto per non applicare questa pena biblica (nel Talmud c’è una gara tra rabbini che si vantano di quanto poche condanne a morte ci sarebbero se fossero loro a dirigere il Sinedrio – ed il più famoso di tutti, Akiva, dice che un Sinedrio che emettesse anche una sola condanna a morte ogni settant’anni sarebbe “devastante”), ed il termine che si applica a codesti atti (e ad altri), e normalmente si traduce in italiano con “abominio”, è _to’evah_, che indica semplicemente un comportamento indegno di chi appartiene al popolo santo d’Israele e si è perciò consacrato a Dio;
– Solo nelle comunità di ultraortodossi ci si sorveglia a vicenda tanto da rendere impossibile la vita a chi fa queste cose; nelle altre si dice che tocca solo a Dio giudicare, e se queste cose sono fatte con discrezione, nessuno le va a sindacare – del resto un midrash dice che il Messia arriverà quando tutti gli ebrei riusciranno ad osservare tutte le regole del Sabato lo stesso Sabato, e se il Messia non è ancora arrivato, vuol dire che non ci si è ancora riusciti ;
– Se si passa dal rapporto sessuale al matrimonio egualitario, lì le cose si complicano, perché lì non ci si limita a “trasgredire”, ma si vuol fare della “trasgressione” una regola sociale – c’è un passo del Talmud in cui si dice che un matrimonio tra due uomini non è consentito nemmeno ai non ebrei; i rabbini più intransigenti si appigliano a quello, altri rammentano che non è loro compito spiegare a chi non è ebreo come si deve comportare – ed è il loro modo di sostenere la laicità dello stato;
– La maggior parte degli ebrei americani ha approvato la recente sentenza della Corte Suprema, e tra loro non mancano i rabbini ortodossi che dicono: “Un matrimonio omosessuale non lo celebrerò mai, ma questa sentenza promuove la dignità umana, valore ebraico fondamentale”.