Dio è una drag queen?
Riflessioni di Maxime Michelet* pubblicate sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 9 giugno 2020, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
I testi biblici ci rivelano che Dio è inatteso, è altro. E dove, ai nostri giorni, si manifestano l’inatteso e l’alterità, se non nella strana figura della drag queen? Maxime Michelet evidenzia l’analogia tra queste due figure che mettono sottosopra le nostre rappresentazioni dell’essere umano.
Chi non andrà al di là del titolo di questo articolo, rimarrà scioccato, perché senza dubbio crede all’antica rappresentazione del dio dalla barba bianca, vestito delle stoffe più fini. Noi gli vogliamo sostituire un Dio dall’abito pieno di paillettes, dotato di una parrucca bionda e di ciglia smisurate.
Il titolo è tale perché a volte è necessario provocare per catturare l’attenzione, ma non abbiamo assolutamente la volontà di ferire o di urtare, e soprattutto non intendiamo sviluppare una parabola del nostro secolo.
Quando Gesù utilizza delle parabole agricole non lo fa perché è appassionato di raccolti, ma perché si rivolge a della gente che ha la campagna come punto di riferimento. Nel 2020 dobbiamo osare delle parabole nuove, e non credo sia illegittimo dire che Dio è una drag quen.
Una rapida spiegazione di questo termine: una drag queen è una persona che sviluppa, attraverso il travestimento, un’identità femminile volontariamente costruita attorno all’esagerazione di determinati archetipi e di determinati tratti fisici e di vestiario. Le drag queen si esibiscono di solito in spettacoli musicali e umoristici.
Perché oso dire che Dio è una drag queen? Per prima cosa, esiste qualcosa di più esagerato ed eccessivo di Dio? Non è forse l’Onnipotente, il sovrano di tutto l’universo? Le sue rappresentazioni tradizionali di grande imperatore non hanno nulla da invidiare al look chiassoso di certe drag queen.
Le drag queen sono abbigliate e truccate in modo eccessivo, come eccessiva è la loro capigliatura, e molto spesso sono eccessivamente bizzarre. Anche Dio è eccessivo: eccessivamente onnisciente, eccessivamente potente, eccessivamente eterno. Dio e le drag queen hanno questo in comune: non conoscono la misura.
Quando noialtri, che non frequentiamo tutte le sere le drag queen, abbiamo il privilegio di incrociarne una, rimaniamo assolutamente turbati, e perlomeno sorpresi: è la conseguenza naturale del confronto con la loro alterità eccessiva, che come uno specchio ci rimanda immediatamente alla nostra identità.
Accade lo stesso con Dio, principio assoluto, la cui potenza ed eternità ci rimandano alla nostra meschinità umana, alla nostra fragilità e, per riprendere un termine pascaliano, alla nostra miseria.
Al di là della mancanza di misura che può unirli, ciò che mi sembra giustificare un avvicinamento tra Dio e le drag queen è proprio l’alterità, l’alterità radicale, che ci spiazza.
Noi cristiani siamo abituati a conoscere e a confrontarci con le alterità le più violente, ma spesso lo facciamo con quell’ansia di carità che, malgrado tutto, ci pone in condizione di superiorità. Il migrante è un’alterità che ci aggrada, ma noi abbiamo una patria; il senza fissa dimora è un’alterità che ci aggrada, ma noi abbiamo un tetto; l’affamato è un’alterità che ci aggrada, ma noi stasera ceneremo.
L’alterità radicale della drag queen non si aspetta nessuna risposta caritatevole. La gioia permanente, le risate sguaiate e quel nonsoché di confidenza in cemento armato non stimolano la commiserazione delle anime belle, ma semplicemente la fraternità dell’amore sincero per il nostro prossimo.
Possono anche non piacerci lo humour o le performances di una drag queen, ma questo non giustifica la caricatura o il rifiuto.
Troppo spesso, invece, questa alterità radicale, che ci mette in pericolo, è oggetto solo di rifiuti e caricature, senza nemmeno andare al di là dell’immagine, senza mai osare l’incontro e il dialogo in uno spirito di umanità. Ma Cristo non ci invita proprio a questo, a confrontarci con gli altri, a incontrarli e ad amarli come amiamo noi stessi?
L’antinomia del messaggio evangelico sta nell’assegnare a un’alterità sconosciuta un’identità che noi immaginiamo in noi stessi, e che rifiutiamo per meglio consolidare la nostra identità minacciata, e così facendo sacrifichiamo il nostro prossimo sull’altare di un malinteso amore per noi stessi.
Dio è una drag queen, perché Dio, attraverso il principio di vita, di amore e di fraternità che ha instaurato nel suo regno, non può esistere senza alterità, e ogni volta che rifiutiamo l’incontro, rifiutiamo Dio; ogni volta che facciamo la caricatura del prossimo diverso da noi, facciamo la caricatura di Dio; ogni volta che trasformiamo la nostra fede in codici deontologici che hanno come scopo generare dei prossimi in tutto uguali a noi stessi, noi travestiamo Dio.
E non lo travestiamo da drag queen, ma da spaventapasseri, da Dio ingiusto che rifiuta alcuni tra i suoi figli. E se a volte desideriamo ardentemente che il Padre nostro giudichi e condanni alcuni tra i suoi figli, è per assicurare a noi stessi la prerogativa di figli prediletti e rassicurare noi stessi sull’amore paterno che ci è dovuto.
Questo mondo è popolato da mille identità, e le alterità degne dell’attenzione dei cristiani non si riducono a quelle sofferenti. La nostra carità deve soffermarsi sui nostri fratelli e sorelle in lotta con la vita, ma il nostro amore non va ristretto a loro, e la Chiesa cristiana deve osare aprirsi a ogni incontro, e gettare ponti invece di creare porte strette; ma non dei ponti di legno gettati tra comunità vicine o identità molto simili. I nostri ponti devono essere dei viadotti.
Dio è una drag queen perché queste, senza essere per forza omosessuali, sono icone LGBT+ del XXI secolo, epoca in cui settori interi della Chiesa di Gesù Cristo sono andati fuori strada nel rifiuto delle persone omosessuali e si sono fatti portabandiera di identità ecclesiali caratterizzate dalla fraternità ipocrita e dalla falsa carità dell’esclusione, lontane dall’incontro umile e sincero.
L’incontro nella sincerità dell’amore cristiano significa accettare di accogliere la persona omosessuale per riportarla nel retto cammino dell’eterosessualità? Questo è un incontro, o semplicemente impadronirsi di una identità per travestirle suo malgrado?
In questo grazioso mese di maggio, dove il 17 si festeggia la Giornata internazionale della lotta contro l’omofobia, e nel mese di giugno, quando le strade delle nostre città di vedranno riempire dai cortei colorati del Pride, non è inutile ricordare che Dio è ovunque regnino la vita, la gioia e l’amore, e avendo il posto che gli compete all’interno della comunità LGBT+, se dovesse manifestarsi sceglierebbe senza dubbio l’alterità assoluta, radicale e sconvolgente di una drag queen.
Dio è sempre in mezzo a coloro che, liberi di essere se stessi, fondano la loro identità anche sulla libertà degli altri di essere se stessi. Dio è sempre in mezzo a coloro che osano infrangere tutte le barriere invisibili che fanno della nostra società un insieme di comunità giustapposte e chiuse in se stesse.
La potenza del messaggio evangelico nel nostro tempo è l’esortazione a non chiudersi nella propria identità e nelle proprie opinioni, a correre il rischio dell’incontro con l’altro, di amarlo nella gioia e nella sincerità. Cristo, nostra sola guida, ha infranto le barriere della sua epoca per incontrare la donna samaritana e sedersi assieme a lei ai bordi di un pozzo.
Dio sta nell’incontro del diverso da noi, non nel comfort di vivere con i propri fratelli gemelli. E se c’è un posto dove Dio non sta mai, è in mezzo a coloro che predicano l’odio e l’esclusione, in mezzo a coloro che si riempiono la bocca della loro libertà individuale per poi mettersi sotto i piedi e insultare quella degli altri.
La libertà e la vita non sono mai degli attentati all’ordine divino, ne sono anzi la realizzazione. Domani, abbandonando pregiudizi e paure, attraversando il viadotto che forse ci separa, e incontrando il prossimo nella radicalità assoluta della sua libertà di essere se stesso, noi incontreremo Dio. Quel giorno Dio potrà avere mille volti, e forse sarà una drag queen.
* Maxime Michelet è studente e ha conseguito un master in storia contemporanea alla Sorbona. Proveniente da una famiglia di tradizione atea, in età adulta ha scoperto il protestantesimo liberale attraverso il tempio dell’Oratoire du Louvre di Parigi.