“Dominus meus et Deus meus”. Dalla veglia di Torino
Riflessioni di Giuseppe, del gruppo Il Pozzo di Sicar di Torino sulla Veglia di preghiera per il superamento dell’omofobia (Torino, 13 Maggio 2024)
13 maggio 2024, piove e sono senza ombrello. Continuo a camminare verso casa, tento di pulire gli occhiali e di mettere sulla testa una borsa di stoffa che avevo arrotolato nella tasca, ma sono bagnato e mi bagno di più. Non riesco e faccio finta di non distinguere se sono bagnato per la pioggia o per le lacrime.
Cerco di non pensare perché è stata una giornata lunga, faticosa e voglio arrivare a casa il più presto possibile. Passo davanti a un negozietto di alimentari di un pakistano e vedo in vetrina anche ombrelli. Non mi fermo. Continuo a camminare più lentamente, invece di accelerare, e cedo ai pensieri.
Penso alla serata in chiesa, penso alla veglia di preghiera contro l’omotransfobia di Torino, al traguardo raggiunto da tanti che ci hanno creduto. Penso che non prego mai per me stesso. In genere prego per gli altri e per esprimere il mio amore a Dio.
In chiesa ho sentito una forte vibrazione soprattutto quando, all’inizio, si sono spente tutte le luci e anche quelle del presbiterio. Per un attimo ho pensato alla veglia pasquale e ho ironizzato con il mio vicino di banco. Il buio però mi ha sprofondato in una solitudine che già avvertivo nell’illuminazione della chiesa, perché cercavo dei volti che avrei voluto e che non c’erano.
Una profonda solitudine, che conosce chi è gay, ho pensato e ho pregato, forse in modo semplice, come mi è stato insegnato. Ho pensato e mi sono rivolto a Dio ringraziandolo di avermi fatto così come sono (gay-cristiano e per giunta cattolico), perché se mi avesse fatto in modo diverso senza il dono della fede non lo avrei voluto.
Il mio sguardo era rivolto sempre al crocifisso sull’altare alla pala d’altare con la raffigurazione del miracolo eucaristico e a quell’ostia in alto.
Per me il 13 maggio è un giorno che ricordo sempre con dolcezza, perché per me è stato un giorno desiderato, in cui ho ricevuto per la prima volta Gesù nel mio cuore, e stasera Gesù si avvicina a me in un modo diverso. Un giorno speciale che mi ricorda l’apparizione di Maria a Fatima, la madre e sorella su cui ho potuto sempre contare e che mi ha sempre accolto sotto il suo manto e che non mi ha mai negato il suo conforto e aiuto.
Ho pregato per tutte quelle anime di LGBT+ sofferenti e ho pensato che tra loro ci sono e ci sono stato anch’io, tra quelli che hanno vissuto e vivono il disprezzo, la derisione e l’odio.
Penso di aver pregato anche per me, per ringraziare Dio di essere con me sempre perché forse avrei potuto essere quel ragazzo sul cornicione, quel ragazzo che non ce l’ha fatta a superare quel momento di crisi.
Stasera nella chiesa del Corpus Domini, titolo che racchiude in sé simbolicamente tutta la Chiesa e tutto il nostro credere, mi sono sentito parte del Corpus Mysticum Christi. La sensazione che scaturisce dall’accoglienza reciproca e il sentirsi parte di una comunità che prega, che spera e che ama è il modo migliore di essere cristiani. Io voglio crederci.
Penso che questa sera ho pregato anche per me, penso che qualcuno lì presente abbia pregato anche per me.
Credo che questo sia sentirsi parte di quella comunità che Gesù stesso voleva dandoci il più grande dei comandamenti “[…] che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12).
Penso che questa sera ho sperato in un nuovo inizio, perché noi cristiani dobbiamo sempre essere pronti a pregare, a sperare e ad amare per farci trovare pronti e il Signore stesso ce lo ha ricordato: Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora (Mt 25, 13). Questo non è il modo migliore? Vegliare insieme!
Sono bagnato, sono arrivato a casa, cerco di addormentarmi ripetendo le parole di Tommaso (che mi hanno insegnato a ripetere davanti all’eucaristia, ma che amo ripetere spesso) “Dominus meus ed Deus meus” (Gv 20, 28) e penso alle parole dei discepoli di Emmaus “Resta con noi Signore perché si fa sera” (Lc 24, 29).