Donne nella chiesa cattolica. Tra spinte al cambiamento e resistenze della gerarchia
Dialogo di Katya Parente con Paola Lazzarini
Alle porte del sinodo, il cui slogan è “comunione, partecipazione e missione”, e il cui logo, oltre a mostrare la Chiesa universale, ha anche colori arcobaleno (scelta voluta? svista? semplice soluzione grafica?), l’istituzione ecclesiastica è pronta (?) a mettersi in ascolto di tutti. O almeno dovrebbe. Le rivendicazioni sono diverse, e tutte legittime. Ma questo momento di riflessione sarà fecondo, o servirà solo a consolidare posizioni già note – e sorpassate?
Una gerarchia che non riesce a chiamare le cose con il loro nome (mi riferisco, ad esempio, all’incapacità, o alla non volontà di usare quelle benedette lettere – LGBTQ – che definiscono il mondo arcobaleno) saprà davvero dare voce ai suoi fedeli, una parte molto consistente dei quali è formato da donne?
Ne dubito, anche se ci sono associazioni cattoliche femminili che cercano di abbattere i muri del maschilismo ecclesiastico. Una di queste è Donne per la Chiesa, e a parlarcene è Paola Lazzarini, una delle fondatrici.
Innanzitutto, come nasce Donne per la Chiesa, e quali sono i suoi obiettivi principali?
Donne per la Chiesa è nata nel 2017, quando ho proposto a un gruppo di amiche di varia provenienza geografica ed ecclesiale di riflettere insieme sulla nostra esperienza di Chiesa come donne. Ho proposto loro il metodo della revisione di vita (della Gioc e dei preti operai) all’interno di un gruppo Facebook, che ci permetteva di confrontarci anche a distanza.
Dopo tre mesi, nei quali abbiamo guardato alla nostra storia e alle tante forme di riduzione delle donne nella Chiesa, abbiamo scritto un manifesto. I modelli precostituiti ai quali dover aderire in famiglia, il ruolo gregario nelle comunità, l’esclusione dai processi decisionali ecclesiali, così lontani dalla competenza, creatività e assertività delle donne reali ci facevano soffrire, soprattutto pensando alle più giovani, alle nostre figlie che stavano ormai lasciando la Chiesa anche perché non trovavano modelli di donna affascinanti per loro.
Il nostro Manifesto è stato reso pubblico nel febbraio 2018, e da quel momento, complice la grande attenzione ricevuta, siamo state raggiunte da moltissime donne (e qualche uomo) che voleva camminare con noi. Dopo un anno circa è nata l’associazione, attualmente presente in 14 regioni d’Italia, a volte con piccoli nuclei, a volte con singole persone che portano il nostro spirito là dove si impegnano, che sia la parrocchia, la Caritas o un movimento.
I nostri obiettivi sono fondamentalmente tre: 1) offrire uno spazio nel quale le donne credenti possano ritrovarsi, sostenersi, pregare insieme e approfondire questioni bibliche e teologiche a partire dalla loro vita concreta; 2) portare nelle nostre diverse esperienze ecclesiali una presenza assertiva e autorevole, ponendoci sempre in un rapporto alla pari con i preti e rifiutando atteggiamenti “patronizzanti” o svilenti; 3) promuovere azioni ed eventi finalizzati a migliorare la condizione delle donne nella Chiesa cattolica: dalla richiesta del voto al Sinodo, alla sensibilizzazione riguardo agli abusi del clero sulle religiose, solo per fare alcuni esempi.
Servizio e potere. Paradossalmente, nella comunità ecclesiale, questi due termini dovrebbero essere sinonimi…
È necessario iniziare a parlare di potere nella Chiesa cattolica, perché anche se l’istituzione è un po’ allergica a chiamarlo col proprio nome, e preferisce il termine servizio, questo non le ha impedito e non le impedisce di esercitarlo. Per questa ragione io vorrei sdoganare il termine e iniziare a utilizzarlo apertamente.
Nel suo libro “Der Weiberaufstand: Warum Frauen in der katholischen Kirche mehr Macht brauchen” la giornalista e politologa Christiane Florin rifletteva sul fatto che il potere non è né buono né cattivo, ma deve essere controllato con un sistema di pesi e contrappesi, come avviene in ogni democrazia. Quando il potere invece viene negato, quando non se ne parla o lo si romanticizza, allora diventa impossibile distinguere il buon uso dall’abuso.
Solo il potere esplicito, controllabile e trasparente può essere servizio, altrimenti sacche di autoritarismo e manipolazione resteranno inevitabili.
La Chiesa cattolica è fatta da uomini (leggi maschi), e anche se le donne a volte sono state cruciali nella sua storia (la prima che mi viene in mente: Matilde di Canossa), esse sono state ai margini, serve dei servi di Cristo. Cosa possono fare di concreto, ora, le rappresentanti femminili per la comunità ecclesiale?
Il femminismo cattolico conosce attualmente una fase espansiva, che poggia sull’infrastruttura tecnologica offerta dalla Rete, così come molta parte dei nuovi attivismi delle donne. Uscito dalle accademie in cui è cresciuto grazie alle riflessioni delle teologhe, oggi il femminismo cattolico delle semplici battezzate si sta organizzando e coordinando in molti Paesi del mondo, e non solo del mondo occidentale.
Fino a pochi anni fa i sociologi pensavano che in Italia le donne cattoliche costituissero ancora una maggioranza silenziosa, nonostante il contributo delle teologhe femministe, e che non si potesse formare un movimento di base visibile e propositivo, Donne per la Chiesa è nata proprio per colmare, pur con i nostri limiti, questa mancanza, e fin dall’inizio abbiamo trovato moltissime alleanze con movimenti analoghi in altre nazioni, più avanti dell’Italia su questo terreno.
Nel mondo occidentale attualmente mi pare di poter riconoscere due direttrici più radicali dell’azione dei gruppi femministi cattolici: quella che mira ad ottenere la parità mediante l’accesso agli ordini sacri (su questo terreno si muovono soprattutto le organizzazioni statunitensi), e quella orientata a una ridefinizione in senso democratico dell’intera istituzione ecclesiale (in questa direzione in particolare i gruppi germanofoni). Mentre altre istanze, condivise trasversalmente in tutto il mondo, riguardano la lotta agli abusi clericali sulle donne e la crescita di consapevolezza nelle donne cattoliche della loro condizione di subalternità.
Com’è cambiata la Chiesa nell’ultimo secolo, e che contributo hanno dato i vari movimenti (femminismo, teologia della liberazione, cattolici del dissenso…)?
Non sono una storica, ma a mio parere ciò che nell’ultimo secolo è cambiato di più sono i laici. Non la struttura istituzionale, nonostante il Concilio, non il magistero.
Molto significativa è invece l’esperienza del laicato cattolico nel dopo Concilio, un laicato sempre più preparato, capace di autonomia rispetto alla guida dei presbiteri, laddove i sacramenti non rappresentano l’unica offerta spirituale, come nelle associazioni e alcuni movimenti. Associazioni e gruppi riescono a tenere insieme carisma e democraticità nelle decisioni, mentre la Chiesa gerarchica, nelle sue articolazioni territoriali, resta caratterizzata dalla presenza del presbitero-capo, che non è scelto dalla comunità e a questa non è chiamato a rispondere.
I laici che nelle associazioni vivono con i ministri ordinati vicinanza e fraternità, sperimentano in parrocchia – tranne meritevoli eccezioni – una dissonanza profonda per un sistema decisionale che li esclude, relegando anche l’unico organo elettivo (il Consiglio pastorale parrocchiale) a una funzione puramente consultiva.
L’impermeabilità della Chiesa gerarchica a qualunque “spinta democratica”, che neppure la sinodalità promossa da papa Francesco ha scalfito, rappresenta un ostacolo per i laici formati, adulti, competenti, mentre è un richiamo irresistibile per chi sposa visioni tradizionaliste e autoritarie.
Donne e Chiesa. In molte confessioni cristiane c’è stata una concreta apertura alle loro specificità (ad esempio, nella Chiesa anglicana possono diventare sacerdoti, e in molte confessioni protestanti pastore). Potrà succedere anche nella Chiesa cattolica qualcosa di simile?
Ci sono nella Chiesa movimenti che dagli anni settanta chiedono l’accesso delle donne ai ministeri ordinati, su questa questione sono andate infrangersi nei decenni molte battaglie, con il risultato che mentre le donne che si sentivano vocate al presbiterato venivano messe ai margini, e chi le aiutava veniva scomunicato, la Chiesa ufficiale offriva documenti finalizzati a chiudere qualunque spiraglio.
La Lettera Apostolica “Ordinatio sacerdotalis” di Giovanni Paolo II del 1984 terminava con le parole “la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”; più recentemente monsignor Ladaria, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha sentito di dover ribadire l’impossibilità delle donne di accedere al ministero ordinato, ma non per una volontà di esclusione, bensì per l’impossibilità della Chiesa di farle accedere.
Interessante questa dichiarazione di impotenza, perché da un lato impone qualcosa, ma lo fa sfilandosi dalla responsabilità di questa imposizione, dichiarandosi impossibilitata a fare diversamente.
Al momento l’unica novità è rappresentata dall’apertura alle donne dei ministeri del lettorato e dell’accolitato, e dall’istituzione del ministero del catechista… ma in sostanza si tratta di funzioni che le donne già svolgono, mentre invece il diaconato – sul quale si lavora ormai da anni – resta precluso.
Le minoranze, nella Chiesa, lungi dall’essere accolte come parte integrante della comunità, sono spesso fatte protagoniste di soprusi che nulla hanno a che fare con il Vangelo. Nel ringraziare Paola per il tempo concessomi, mi faccio volentieri portavoce della campagna da lei avviata contro gli abusi nella chiesa italiana che trovate su change.org.
Scopri> La versione di Katya. Il mondo LGBT+ oltre le etichette