Riflessioni di Roberto Davide Papini tratte da Diaspora evangelica di aprile 2009
Cari lettori, vi scrivo questa rubrica sotto l’occhio vigile e censorio di due emissari della Conferenza episcopale italiana, appoggiato sul tavolaccio della mia cella di Castel Sant’Angelo.
Speravo di poter continuare a dileggiare impunemente e liberamente la Chiesa cattolica romana, ma non è stato possibile e sono stato rinchiuso in attesa del processo per vilipendio.
In fondo, è stata la mia fortuna perché da qui, nel cuore del potere vaticano posso comprendere meglio alcune cose e così mi appare chiaro quanto ingiustificati e strumentali siano stati gli attacchi al Papa per aver detto che il preservativo non serve nella lotta all’Aids, anzi, è dannoso.
Le critiche non tengono conto di alcuni dati di fatto che, illuminato da questo luogo di preghiera e santità, ho potuto comprendere.
1) Joseph Ratzinger non parla solo da indiscussa e indiscutibile autorità morale e religiosa, visto che nel suo percorso di formazione teologica c’è anche una ben nota specializzazione in immunologia, settore dove è uno dei massimi luminari. Non come quei cialtroni di “dottorucoli” che non sanno parlare altro che di preservativi.
2) Il Vaticano risulta essere l’unico Stato del tutto e da sempre immune dall’Aids e quindi ci sarà un motivo, no? È proprio l’efficace strategia anti-Aids della Santa Sede a legittimare gli interventi papali in materia più di chiunque altro.
3) Come molti alti prelati hanno sottolineato, quelle parole del Papa sui preservativi erano “una battuta detta in aereo” mentre si recava in Africa. Mi pare molto scorretto da parte dei giornalisti riportare le battute del Papa dette in aereo, questa è malafede e non rispetto della verità.
Le battute del Papa sopra i 10mila metri, infatti, non vanno riportate come ampiamente prescritto dal codice di diritto canonico che ogni buon giornalista dovrebbe seguire.
4) Infine, diciamocelo: se uno seguisse in pieno il magistero della Chiesa cattolica romana non si ammalerebbe di Aids e quindi chi si ammala un po’ se l’è voluta.