Essere gay nel modo arabo. L’ultima battaglia del capitano Nimat
Recensione di Jean Zaganiaris* tratta dal sito di Libération Maroc (Marocco) del 5 ottobre 2011, liberamente tradotta da Marco Galvagno
Il premio letterario Mamounia 2011 è stato dato postumo allo scrittore marocchino Mohamed Leftah (1946-2008) per il suo romanzo “Le dernier combat du capitaine Nimat” (L’ultima battaglia del capitano Nimat) pubblicato nel 2010, dalle edizioni La Différence (Francia), e consacra senza dubbio uno dei più grandi scrittori marocchini contemporanei, capace d’aver saputo integrare nella sua opera la pluralità di modi di modi di vita e pensiero della società contemporanea.
“L’ultima battaglia del capitano Nimat” si svolge nel contesto dell’Egitto del 2000. Narra la relazione tra un militare sposato e padre di famiglia e il suo giovane domestico. Il romanzo comincia con il sogno di un uomo che prende progressivamente coscienza della propria omosessualità e decide di viverla.
Tuttavia come il quadro di Réné Magritte intitolato “Ceci n’est pas une pipe” (“Questa non è una pipa”), il romanzo di Mohamed Leftah non ha come tema i rapporti omosessuali, anche se sono descritti in maniera esplicita dall’autore e non esita a mostrare la gioia ai corpi che si abbandonano all’amore omosessuale.
Tuttavia l’oggetto del libro non è l’omosessualità, ma piuttosto le difficoltà che possono vivere alcune persone che vogliono vivere liberamente la propria vita intima al di fuori delle restrizioni morali della società.
Diversamente da Rachid O. e Abdellah Taia lo scrittore Mohammed Leftah non ha mai rivendicato un’identità omosessuale e le sue opere “Les demoiselles de Numidie” e “Au bonheur des Limbes” evocano relazioni eterosessuali. Potremmo inserire questo libro nella “letteratura minore” alla pari di “Gilles Deleuze” e “Felix Guattari”. Non si tratta di difendere una causa in quanto omosessuale, ma piuttosto di servirsi dell’omosessualità per porre un problema più generale che è quello dell’ingerenza degli altri nella propria vita privata, alla quale abbiamo tutti diritto.
Mohamed Leftah viveva in Egitto, mentre stava scrivendo questo romanzo, fu testimone della vicenda “Queen Boat” in cui numerosi omosessuali venero arrestati dalla polizia del buon costume con l’accusa d’offesa alla pubblica morale. Questo avvenimento viene evocato all’interno del romanzo stesso e il capitano Nimat esprime una tristezza immensa per la metamorfosi della società che ha portato alla nascita di gruppuscoli che hanno un odio feroce verso tutti coloro che si allontanano dalla logica del branco, verso tutti coloro che per le loro scelte politiche o sessuali si diversificano dalle masse.
Il vero tema del romanzo è la difficoltà di vivere la propria vita, in modo originale assecondando i propri gusti, le proprie attrazioni e i propri valori. Non è la società a dover prevalere sul singolo, ma piuttosto l’inverso. Solo l’amore e il contatto fisico con il corpo della persona amata possono salvarci da una vita offuscata dal conformismo.
L’omosessualità del personaggio è un modo di rompere gli stereotipi normativi di quella virilità onnipresente nel mondo mediterraneo. “La mia virilità restò compressa e imbalsamata, fin al giorno in cui incontrai quel volto singolare dell’amore che oggi mi consente di sciogliere le bende di quella mummia che portavo in me senza saperlo e di evacuare fuori da me, il suo cadavere puzzolente. Si il cadavere di una virilità che in noi è solo pulsione di dominio e di morte” (pag.129).
Le parole del capitano Nimat non si focalizzano solo sull’omosessualità, ma evocano in maniera più generale l’ignominia della dominazione maschile. Niente di sorprendente allora se questi maschi dominati, femminilizzati, ma che credono di portare sempre l’insegna della virilità, si abbandonano con ubriachezza e rabbia a una virilità selvaggia, le cui vittime sono spesso le donne, l’altra metà del cielo, come le definiscono i cinesi.
Come ha mostrato Kenza Sefroui in un libro collettivo sul pensiero di Mohamed Leftah o come afferma Chryssultana Rivet in “Une voix sortie de l’ombre” (Una voce uscita dall’ombra), le donne hanno un ruolo importante nell’opera di questo scrittore e non esistono al di fuori delle interazioni con gli uomini e li turbano.
La virilità legata alla durezza delle violenze patriarcali di ogni tipo, è come una cellula maligna nei nostri corpi che ci impedisce di cogliere la fragilità dell’altro e di amarlo, sentendosi disarmati dentro.
L’ex marxista nasseriano che ha combattuto nella guerra contro Israele del 1973, si ritrova alla fine della sua vita a invaghirsi di un ragazzo seducente, si prende una cotta, come farebbe una ragazzetta di campagna. Il capitano Nimet perde la sua ultima battaglia, non è riuscito a resistere alle pulsioni che ha cercato di soffocare tutta la vita.
Ma quando è l’amore a vincere, l’esistenza diventa intensa e colma di senso, e la sconfitta di se stesso non è necessariamente un amaro calice.
* Jean Zaganiaris è docente-ricercatore presso il CERAM – Facoltà di Economia e Governance Rabat (Marocco)
Testo originale: Un des plus grands écrivains marocains: «Ceci n’est pas une Pipe»: hommage à Mohamed Leftah