Essere gay in Egitto tra abusi e persecuzioni
Dossier pubblicato sul sito di Human Rights Watch (Stati Uniti) il 1 ottobre 2020, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte ottava
“Alaa”, 37 anni. Nell’aprile 2018 Alaa e il suo amico vengono avvicinati dalla polizia mentre sono in fila a una banca del Cairo. Alaa esibisce la sua carta d’identità, i poliziotti fanno una ricerca e scoprono che è stato arrestato nel 2007. Alaa racconta che quell’arresto era immotivato, perché non si era trovata nessuna prova contro di lui, ma nonostante questo il tribunale gli aveva comminato tre anni di carcere con l’accusa di “debosciatezza”, anni che Adaa ha passato in ospedale perché sieropositivo.
Durante la sua detenzione non ricevette nessuna cura per l’HIV, se non negli ultimi sei mesi, quando il suo caso attirò l’attenzione dell’opinione pubblica e anche allora gli vennero somministrati farmaci scaduti. Alaa è costretto a camminare con una stampella a causa dei pestaggi e degli stupri subiti in quell’ospedale.
Nel 2018, dunque, la polizia lo arresta di nuovo, ma non ne spiega il motivo. Alla stazione di polizia di Bulaq Abu al-Ala il giovane viene pestato fino a fargli perdere i sensi, i poliziotti deridono la sua disabilità. Alaa tira fuori la sua tessera di invalido per mostrarla, ma uno dei poliziotti gli dice di “mettersela su per il culo”: “Pensavo stesse scherzando, invece ordinò a uno dei suoi di infilarmela proprio nel culo, cosa che il poliziotto fece. Pregavo Dio di portarmi via da lì. Avrei voluto morire, avrei voluto che il pavimento mi inghiottisse”.
I poliziotti rifiutano di ascoltare la sua testimonianza e continuano a insultarlo e a minacciarlo di fargli esami anali. Gli fanno domande basandosi su un rapporto che Alaa è costretto a firmare, il quale afferma che lui e il suo amico, arrestato anch’egli, “intrattengono rapporti sessuali tra loro, e stavano litigando in pubblico per una faccenda di denaro derivante da prostituzione”.
Ad Alaa e al suo amico viene poi ordinato di sottoporsi a un esame anale: “Il medico forense mi inserì di forza le dita e un altro oggetto nell’ano. Non ci sono parole per descrivere quell’umiliazione”.
Al centro di detenzione di Bulaq Abu al-Ala il giovane viene picchiato, umiliato e molestato sessualmente dai poliziotti e dai detenuti: “L’ufficiale imponeva la sua autorità come se fosse stato Dio che puniva i suoi servi”.
I due uomini vengono detenuti per ventisei giorni in attesa di processo. In tribunale il giudice dice ad Alaa “Lei rovina l’Egitto. Si trovi qualcun altro per crescere i suoi figli, le giuro che verrà tenuto in carcere fino a che non compirà trentasei anni, e la sua vita sarà rovinata”. La sentenza è di sei anni di carcere e altri sei anni di libertà vigilata.
In appello la sentenza viene ridotta a sei mesi di carcere e sei mesi di libertà vigilata. In totale i due uomini hanno passato sei mesi e ventisei giorni in carcere: “Ancora oggi non so perché mi abbiano messo dentro. Ho perso tutto. Ho cercato di sporgere lamentela presso la polizia, poi ho capito che per loro siamo scarafaggi, non esseri umani. Sapevo già che avrei dovuto lasciare l’Egitto. Voglio solo svegliarmi e sentirmi al sicuro”.
Testo originale: Egypt: Security Forces Abuse, Torture LGBT People