Essere gay nel paese dei talebani
Articolo di Enrico Oliari tratto dal mensile Pride del Settembre 2007
L’Afghanistan, come ci racconta Kalid "è una terra martoriata, dove tutti arrivano per i propri interessi politici ed economici, ma di certo non per quelli della popolazione, … anche se nella capitale non governano più i talebani, è rimasta nella popolazione una vera e propria avversione nei nostri confronti, un odio antico, che ha radici religiose e culturali". Questa testimonianza è il racconto della sua ricerca di una vita "normale" in una terra devastata dalla guerra, dove l'unica legge rimasta è quella dell'intolleranza e della violenza.
Luigi e Khalid sono una coppia omosessuale come tante, tranquilla e desiderosa di avere un’esistenza serena, fatta di piccoli passi e delle gioie di ogni giorno; e decisa a superare quel dannato ostacolo inchiodato all’orizzonte del loro futuro.
Ottenere il permesso di soggiorno per scopi umanitari non è cosa facile, anche perché le questure sono attente e vorrebbero prevenire il fenomeno di chi, fingendosi omosessuale, potrebbe abusare di questa risorsa.
Recentemente, ad esempio, è stato rigettato il ricorso di un uomo marocchino a cui era stato negato lo status di rifugiato per motivi umanitari, nonostante nel suo paese l’omosessualità venga perseguita con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, come previsto dall’art. 489. il giudice non ha negato l’orientamento sessuale del magrebino, ma ha sentenziato che "il ricorrente è entrato in Italia quando aveva almeno 39 anni senza dimostrare che per la sua asserita condizione abbia dovuto emigrare ben prima dal suo paese nel quale si deve perciò presumere che abbia vissuto normalmente per almeno un paio di decenni senza particolari persecuzioni" (AndnKronos, 6.07.2007).
Probabilmente ha pesato il fatto che, sebbene in alcuni paesi nordafricani le pratiche omosessuali siano passibili di condanna, esse vengono tollerate dalla popolazione; spesso sono addirittura le stesse forze dell’ordine a chiudere un occhio e magari due, se si tratta di stranieri.
Il caso di Khalid è però ben diverso, perché il suo paese d’origine non è tollerante e tantomeno meta di turismo. il paese dei talebani e dell’integralismo islamico, dove scoprirsi omosessuali può significare la morte. È l’Afghanistan.
Fino a pochissimi anni fa nel paese dei talebani gli omosessuali rischiavano di essere condannati alla pena capitale mediante lo schiacciamento sotto un muro, ed anche oggi nei territori non occupati dalle forze occidentali vige la legge islamica della sharia; ma è sbagliato pensare che l’arrivo delle forze alleate abbiano significato grossi cambiamenti per i gay afgani, dal momento che permane la reclusione e comunque una dura, durissima condanna sociale che può facilmente sfociare nella discriminazione, può compromettere ogni tipo di relazione e condannare l’individuo all’isolamento più nero.
La condanna penale degli omosessuali non riguarda solo gli abitanti di quel Paese: rischia infatti dai 5 ai 15 anni di reclusione anche il militare americano arrestato a Kabul nel 2004 per aver avuto un rapporto gay con un ragazzo maggiorenne e consenziente ("PakTribune", 1.09.2004).
Khalid (ma il nome è fittizio per proteggere la sua privacy) ha 24 anni e proviene dalla regione di Kabul. È in Italia da 8 mesi, vive col suo compagno nella Bassa padana e vuole studiare. Ed intende trovare quella serenità proibita nella sua terra.
È il suo avvocato a prendere contatti con GayLib e a sperare in una rete di collaborazione: "Dopo la sentenza di Torino" – afferma – "temo possano nascere delle difficoltà per Khalid, perché è divenuto necessario provare in modo preciso il rischio di discriminazione presente nel paese d’origine”.
Grazie a lui abbiamo potuto incontrare Khalid e intervistarlo.
Khalid, puoi raccontarci la tua storia?
Un giorno, chattando in internet, ho conosciuto Luigi, il quale rispondeva dall’Italia. Utilizzavo il computer dell’azienda presso la quale lavoravo, perché a Kabul c’è solo qualche internet cafè e pochi hanno il computer in casa.
Mi ha colpito la sua dolcezza ed abbiamo deciso di incontrarci. Ci siamo dati appuntamento in India, prima a Delhi, poi siamo andati ad Agra e quindi a Jaipur; abbiamo visitato tutta la costa dello stato del Goa, è stato molto romantico. Poi mi sono buttato ed ho scelto di venire in Italia per vivere con Luigi, non ci separeremo mai.
Dev'essere davvero dura essere gay in Afghanistan…
È impossibile reprimere la propria omosessualità e quindi si è costretti a rispondere ai propri desideri e alle proprie pulsioni nella più assoluta segretezza, a convivere continuamente con la paura di essere scoperti.
Tutti ti possono denunciare, e sei continuamente ossessionato dal timore di vederti compromesso in ogni settore della vita, da quello sociale, a quello lavorativo. Inoltre nel nostro paese i rapporti famigliari sono molto importanti, e lo scoprire un parente omosessuale rappresenterebbe un’onta per tutti, con possibili conseguenze per la famiglia stessa. Per questo ho scelto di usare un nome fittizio nell’intervista.
Hai mai avuto contatti con altri ragazzi omosessuali in Afghanistan?
Sì, ma nessuno è disposto a dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. Se la gente sa che uno è gay, lo insulta e gli sputa addosso per strada.
Come ci si riconosce fra gay?
Non è facile, anche se oggi siamo favoriti da internet. Oltre a ciò, se hai un rapporto sessuale con un altro uomo, egli ti tratta male, come se fossi una prostituta.
In Afghanistan sopravvivono anche rapporti omosessuali “tradizionali”, dove persone anziane (che si dichiarerebbero eterosessuali) hanno rapporti sessuali con ragazzi giovani che vengono ripagati con dei regali. A me non è mai capitato di vivere tale esperienza, ma ad alcuni miei amici sì.
L'Afghanistan, un paese eternamente in guerra. Prima i sovietici, poi gli alleati. Ma per i gay è davvero cambiato qualcosa?
Non è cambiato molto, gli alleati non hanno mai affrontato il problema. L’Afghanistan è una terra martoriata, dove tutti arrivano per i propri interessi politici ed economici, ma di certo non per quelli della popolazione.
Tuttavia i talebani condannavano i gay a morte…
Allora nemmeno gli eterosessuali potevano essere liberi di camminare per la strada con la propria fidanzata, figurati i gay. Facevano cadere un muro addosso agli omosessuali condannati a morte, com’è successo a Herat, a Kandhar e a Mazar; so di diversi gay imprigionati a Kabul.
Oggi, anche se nella capitale non governano più i talebani, è rimasta nella popolazione una vera e propria avversione nei nostri confronti, un odio antico, che ha radici religiose e culturali. Va ricordato inoltre che gli alleati controllano solo una parte del territorio e non voglio pensare a cosa possa accadere laddove sopravvive la legge dei talebani.
I giornali riportavano di queste esecuzioni? La gente ne parlava?
Certamente, le notizie giravano e venivano messe in risalto sulla stampa, quasi un trofeo per i talebani. E la gente andava sostenendo che la pena era del tutto meritata.
Ti è mai capitato di conoscere omosessuali perseguitati?
Sì, in diverse occasioni. Un mio caro amico è finito in prigione e per uscire ha dovuto pagare molto denaro sottobanco. Anche se non è più in vigore la Sharia, permane il carcere per chi ha rapporti "contro-natura".
Secondo te la comunità omosessuale internazionale potrebbe fare qualcosa per aiutare i gay afgani?
Dovrebbe essere cambiata la legge, magari bisognerebbe fare pressioni in questo senso. Solo allora molti omosessuali troverebbero il coraggio di venire alla luce e di sfidare l’avversione insita nella popolazione.
Hai una vita di coppia….
Sì, sono felice con il mio amore.
Che sogni vorresti realizzare qui in Italia?
Vorrei frequentare l’università, lavorare e condurre una vita serena.
Hai ancora contatti con l'Afghanistan?
Sento costantemente i miei famigliari e gli amici, anche se loro non sanno che sono gay.
In aiuto di Khalid potrebbe venire l’emendamento presentato dal senatore Gianpaolo Silvestri (Verdi), divenuto parte della legge n. 13 del 6 febbraio 2007: “Tra i gravi motivi possono essere comprese gravi discriminazioni e repressioni di comportamenti riferiti al richiedente che risultino oggetivamente perseguiti nel paese d’origine o di provenienza e non costituenti reato per l’ordinamento italiano”.
Una legge che sicuramente può aiutare i gay perseguitati nel mondo: “Sì, ho sempre lottato contro le discriminazioni in ogni settore della vita politica al quale ho preso parte, ha affermato Silvestri intervistato al telefono, ed anche in Senato ho pensato di compiere il mio dovere”.
Recentemente un ragazzo albanese ha ottenuto in Italia lo status di rifugiato perché proveniente da un paese dove gli omosessuali, benché non perseguiti dal codice penale, vengono ad essere vittime di gravi discriminazioni e di una dura pressione sociale ("Pride" n. 97), ma sono più di ottanta i paesi al mondo che hanno nei loro codici penali leggi che prevedono il carcere per chi ha rapporti omosessuali.
Sette di questi (lo Yemen, il Sudan, la Nigeria, la Mauritania, l’Iran, l’Arabia Saudita e parte dell’Afghanistan), prevedono addirittura la pena di morte per gli omosessuali, una realtà che la comunità omosessuale internazionale sta cercando di combattere.
Perché un mondo ideale e giusto prevede anche che i vari Khalid possano vivere il loro orientamento affettivo e sessuale in piena dignità e libertà.