Essere gay senza rinunciare a Dio
Articolo di Paola Manciagli tratto da Gioia del Gennaio 2009, pp.58-60
Gianni faceva l’educatore all’oratorio ed era convinto che o ci si sposa o ci si fa prete. Invece si innamorò di un uomo e finì dallo psicologo perché temeva di essere malato. Però non smise mai di andare in chiesa. Anche Carlo e Giulio ci vanno. Perché sono due (dei tanti) omosessuali cattolici che continuano a credere. Nonostante il Vaticano. E l’Arcigay. Sono passati dodici anni da quando Giulio ha detto ai suoi genitori di essere gay e di avere un compagno di quarant’anni più grande.
E loro ne hanno impiegati circa dieci per accettarlo. «Ma sono con tento di essere come sono. A differenza di molti etero io non ho mai dato per scontato to confidenze e affetti». Anche la sua vita spirituale è una ricerca: «Sono affascinato da Cristo e, mi spiace dirlo, non mi toccano le parole del Papa quando attacca l’omosessualità. E poi la vera discriminazione non la subiamo dalla Chiesa, ma dai gruppi non credenti, come l’Arcigay.
Ci considerano degli ipocriti, dicono che non devi restare in casa se i genitori non ti accettano, che non puoi credere in Dio se il parroco ti scaccia. Sono obiezioni da ignoranti: per me la fede è un dono. Me lo sono ritrovato dovrei rinunciarvi solo perché il Vaticano ci tiene fuori dalla porta?».
Con una mano ci accolgono con l’altra ci respingono
Ma come conciliano preghiere e sentimenti i gay cattolici italiani? Solo il 7 gennaio (2009), sulle pagine del quotidiano cattolico Avvenire, Vittorino Andreoli, psichiatra e scrittore, ha cominciato a “sdoganare” il sacerdote che, anche se orientato verso l’omosessualità, continua a servire messa restando saldo nei voti.
Un dibattito che riporta di nuovo l’attenzione sul rapporto Chiesa e mondo gay, a poco più di un mese dal1e polemiche di inizio dicembre, quando la Santa Sede rifiutò di firmare il progetto di depenalizzazione universale dell’omosessualità che l’Unione europea presenterà all’Onu.
La posizione della Chiesa e, a quanto dicono i sondaggi, di gran parte dei cristiani, mette al centro della società il matrimonio fra uomo e donna con la finalità della procreazione, anche se «ritiene -queste le parole da oltretevere – che gli atti sessuali liberi tra persone adulte non debbano essere trattati come delitti da punire».
E Gianni, che intanto controlla il display del cellulare come se aspettasse una telefonata importante da un momento all’altro a spiegare la situazione: «Con una mano ci accolgono e con l’altra ci respingono. A coloro che guidano la Chiesa, ai successori degli apostoli non telefona nessun omosessuale disperato solo perché si sente, a causa del suo orientamento, “sporco”.
A loro non si rivolge nessuno combattuto tra il desiderio di esplorare la propria affettività e il terrore di finire all’inferno. A me sì. E anch’io ho provato queste angosce».
Catechismo e amore terreno
Capelli brizzolati da cinquantenne, Gianni per vivere fa il librario nel Canton Ticino. Ed è il presidente del Guado, il più longevo gruppo di omosessuali cristiani a Milano, nato nel 1980 su iniziativa di un sacerdote, don Domenico Pezzini, che ha scelto di farsi da parte quando il Guado ha deciso di non stare più sotto il pelo dell’acqua, ma di emergere.
«Continuiamo a cercare il dialogo», continua Gianni «anche se il magistero non è ancora in grado di darci risposte adeguate alla realtà delle cose. Secondo me arriveranno. E, intanto, con intanto, con l’amicizia, la catechesi e la preghiera si possono conciliare l’omosessualità e la fede. È quello che proviamo a fare in questo posto».
E’ un seminterrato con le pareti spoglie e il cucinino nei pressi di piazzale Loreto. Ci sono i tavolini quadrati di legno con le tovaglie di plastica una libreria malconcia, un divano chiaro, un appendiabiti carico di giacche.
Un luogo spartano, dove non si respira spreco di soldi, ma il profumo di brodo di carne. I “guadini”, una cinquantina, stanno per ritrovarsi a cena e, nell’attesa del mestolo, Gianni racconta di quando s’innamorò per la prima volta E corse dal dottore. Più precisamente da uno junghiano: «Sotto la naia, mi accorsi amare un commilitone, ma non glielo dissi, lui non lo seppe mai.
Credevo che l’omosessualità fosse una malattia come adesso cantano al Festival di Sanremo (la canzone presentata da Pavia “Luca era gay”, ndr). Facevo l’educatore all’oratorio, ero convinto che uno come me o si sposava o diventava sacerdote. Conclusione logica, dovevo guarire».
Ma come? «Per pagarmi le sedute di psicanalisi, lasciai il mio posto da ricercatore all’università di Padova, un lavoro che amavo, e mi impiegai in una ditta di informatica, Dio però aveva altri piani», continua il libraio Gianni.
«Dopo un anno e mezzo di sogni analizzati e guidati dall’inutile ricerca di un evento passato che avesse potuto condizionare la mia sessualità fu chiaro che non c’era proprio niente da fare e da dire. Così mi avvicinai al Guado: potevo finalmente parlare di Dio e di vita quotidiana, di Vangelo e di amore terreno».
L’outing risale solo al ‘99, sulle pagine di un quotidiano nazionale: «Fu una specie di sacrificio. A corredo di un articolo su un nostro convegno, un giornalista aveva bisogno di una testimonianza. Nessun altro «guadino» se la sentiva.
Mia madre sapeva già tutto, quando uscì il giornale per i compaesani fu uno shock e, tornando indietro, non lo rifarei. Mi invitarono al Maurizio Costanzo Show. Feci in modo di perdere l’aereo».
La chiesa è come la mamma
Giulio, che s’è seduto vicino e ha ascoltato tutto, rilancia: «Tanto Ratzinger non cederà mai». Trentacinquenne del varesotto, non è un habitué del Guado. Come il suo compagno, più anziano di lui, ha una visione drastica:
«Accettare l’omosessualità per la Chiesa significherebbe ammettere che l’uomo è fuori controllo, imprevedibile: noi gay non siamo funzionali a perpetuare il sistema. E infatti veniamo accusati di «immaturità».
Questo spirito d’opposizione, pur se diffuso, sembra del tutto estraneo al cinquantenne Carlo, ex appaltatore, che frequenta La Fonte, altro gruppo di gay credenti, fondato sempre da don Pezzini a Milano. «Don Domenico desidera che gli omosessuali possano vivere un cammino di fede senza renderne conto alla società o alla Chiesa.
Gli incontri avvengono nella parrocchia di Turro», spiega «e sono frequentati soprattutto da ragazzi, che parlano delle proprie esperienze personali a partire da brani di lettura. Ci sono arrivato nell’86, su consiglio del mio confessore».
Aveva 36 anni ed era allo sbando. «Le cose con le donne non funzionavano e questo mi sconvolgeva, ero spaesato. Solo andando alla Fonte ho trovato il coraggio di accettare la mia condizione e di cercare di conciliarla con la fede, che per me è vitale».
Crede nella forza del dialogo ed è in contatto anche con gruppi di gay cristiani presenti in un tutta Italia: «Quando da Roma arrivano parole di chiusura, mi arrabbio eccome. Ma è come arrabbiarsi con la mamma anche se non ti capisce, non puoi negarle il rispetto.
Il Papa, i cardinali devono essere aiutati a comprendere gli omosessuali. La Chiesa è nel mio prossimo, nelle persone che incontro ogni giorno, con le quali mi ritrovo a pregare e a seguire la Messa, è nei miei genitori, nel parroco, nel vescovo. E’ viva e la sento».
Carlo non è un teologo, ma su Gesù ha le idee chiare: «Non ha scritto a tavolino i Vangeli», aggiunge con umiltà «è andato per le strade, ha abbracciato i disperati, ha condiviso le disgrazie e, solo dopo, ha cercato di rivelarsi. Per questo è importante che noi omosessuali restiamo nella Chiesa, per testimoniare chi siamo».
E si testimonia persino in confessione: «Spesso m ritrovo a dover spiegare io al sacerdote temi fondamentali Ad esempio, come si può negare ad una persona di vivere l’amore nella sua pienezza, anche fisica? Fare l’amore è sentirsi vicino, darsi un po’ di carica a vicenda».
In questo momento, Carlo non ha nessuno: «Se non avessi la fede», mormora accennando un sorriso «non avrei nulla. Lui è morto la vigilia di Natale di nove anni fa. Ma, mi crede? E sempre con me e non vedo l’ora di rivederlo, lassù in cielo».
Dal web una mano amica
Li trovi anche su internet. Dalla Tenda di Ancona, dove si riuniscono da tutte le Marche all’Elphis di Catania che organizza incontri biblici e laboratori di yoga, fino al Senfkorn di Bolzano, in Italia si contano oltre venti gruppi di gay e lesbiche cristiani di ogni confessione.
Alcuni sono nati su iniziativa di un sacerdote: è il caso della Fonte di Milano e della Sorgente di Roma. Altri, fondalti da laici, sono frequentati anche da persone consacrate, come il Ponti sospesi di Napoli o In cammino di Bologna.
Altri ancora non hanno una sede fissa i membri del Narciso e Boccadoro si incontrano in una parrocchia di Ancona o nel tempio valdese d Rimini.
La parola di Vicenza pubblica un bollettino semestrali; il Kairos di Trieste spedisce una newsletter via email.
Tutti i gruppi sono ecumenici, curano la catechesi e la preghiera e sono aperti a chiunque voglia approfondire la propria fede. Sui siti di ciascuno (ndr raccolti sul portale www.gionata.org) ci sono i calendari degli incontri, numeri telefonici e indirizzi email.