Quando le persone transessuali sono nella chiesa
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Mentre davo una mano al banco della chiesa dopo il Gay Pride di quest’anno a Londra, sono stato avvicinato da una donna la quale mi ha fatto una domanda che mi ha lasciato praticamente a bocca aperta: ‘Qual è la posizione della Chiesa (cattolica) sulla questione dei transessuali?’.
Mi disse che il prete della sua parrocchia era molto comprensivo e solidale, ma lei voleva saperne di più. Ero imbarazzato e provavavo vergogna per il fatto che ne sapessi meno di lei – lei perlomeno aveva discusso del problema con un prete mentre io in realtà non ne sapevo proprio niente, aldilà delle dure parole pronunciate da Benedetto XVI lo scorso Natale.
La questione è stata sollevata molto prima quest’anno durante il seminario pastorale e da quel momento abbiamo iniziato ad esplorare nuovi modi per essere più solidali, pensando perlomeno ai servizi basilari per coloro che intendono farne uso. Ma questi sono perlopiù gesti simbolici, solo per scrostare la superficie. Oltre a prendere la strada più facile, in riferimento alle domande di Lorraine, che diavolo diremo alle persone che si sforzano di trovare un equilibrio tra la vera identità sessuale e il vivere con integrità all’interno della Chiesa cattolica?
Molti di noi si sono sentiti ansiosi, intimiditi o semplicemente terrorizzati alla prospettiva di dichiararsi lesbiche o gay – a volte addirittura a se stessi. Abbiamo già un ambiente legale e culturale sempre più solidale, modelli comportamentali e risorse ad aiutarci.
Anche nelle nostre battaglie contro la chiesa, con la pubblicità di vescovi e sacerdoti gay, insieme ad un’esplosione di libri e risorse web, è più semplice capire che non siamo soli nella battaglia. È difficile affrontare la sfida più grande del riadattamento sessuale, senza lo stesso ambiente solidale?
Non ci sono le stesse risorse, neanche gli stessi modelli comportamentali e le stesse strutture di sostegno. È questo il motivo per cui sono stato contentissimo di trovare questa notizia nel Regal Courier su un prete metodista che ha avuto il coraggio di raccontare alla sua congregazione la sua precedente transizione – e la congregazione ha risposto alla sua storia con un forte applauso.
La congregazione ha abbracciato il ministro transessuale appena dopo la rivelazione del suo segreto. Il Reverendo David Weekley spera così che la sua storia aiuterà a cambiare la dottrina della Chiesa Metodista Unita.
Fino ad ora, c’è stato solo un ecclesiastico metodista transessuale negli Stati Uniti a conservare la sua ordinazione (a quell’uomo, Drew Phoenix, 50enne, è stata contestata la sua ordinazione dai membri della chiesa dopo essersi dichiarato pubblicamente nel 2007 alla sua congregazione della St. John United Methodist Church di Baltimora nel Maryland).
Domenica 30 agosto (2009), Weekley – a capo della congregazione della Epworth United Methodist Church nel quartiere di Sunnyside nella parte sud-orientale di Portland – è diventato il secondo. Alcuni mesi dopo aver rivelato ai suoi figli di non essere il loro padre biologico, Weekley, che si avvicina ai sessant’anni, è uscito allo scoperto con la sua congregazione di 221 membri.
In piedi dietro al pulpito, Weekley ha iniziato la sua solita funzione liturgica. Circa a metà, si è fermato per condividere un messaggio personale che egli ha chiamto “My Book Report” (il resoconto del mio libro).
Raccontò loro che nel 1984, nove anni dopo essersi sottoposto ad interventi invasivi per la riassegnazione del sesso, venne ordinato dalla Chiesa Metodista senza fare parola con nessuno del sesso con cui era nato.
Dopo aver ascoltato la sua storia, la congregazione, che era rimasta in silenzio mentre lui parlava, irruppe in un fragoroso applauso. I membri della chiesa poi hanno reso noto il loro sostegno al pastore. È impressionante. La Chiesa Metodista Unita è una delle principali confessioni protestanti meno solidali con lesbiche e gay e, nonostante le forti pressioni per cambiare, l’ultima volta che è intervenuta nella discussione, ha votato contro ogni cambiamento.
Il forte sostegno da parte della congregazione dimostra ancora una volta che le comunità locali possono essere molto più solidali del singolo individuo, rispetto a quanto suggerisce la dottrina ufficiale.
È molto più facile essere ostili verso un gruppo anonimo di quanto non lo sia verso quei cari ragazzi seduti nel banco accanto a voi o verso uno stimato pastore dal pulpito. È questo il motivo per cui, laddove è possibile, dovremmo cercare di approfondire i nostri processi di coming out (perché si tratta di processi, non di singoli eventi) con la parrocchia, ma anche con i familiari, gli amici e il luogo di lavoro.
Ogni coming out sarebbe più facile in questo modo: ma permettetemi di evidenziare queste parole, “laddove è possibile”. Ovviamente, a volte le condizioni sono restrittive, soprattutto per il clero.
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