“Fate questo in memoria di me” (1 Cor 11,20-29)
Restituzione* dell’incontro di riflessione biblica del gruppo Parola e parole di Roma del 13 dicembre 2022
Prima lettera ai Corinzi 11:20-29: Quando vi riunite la vostra cena non è di certo la Cena del Signore! Infatti, quando siete a tavola, ognuno si affretta a mangiare il proprio cibo. E così accade che mentre alcuni hanno ancora fame, altri sono già ubriachi. Ma non potreste mangiare e bere a casa vostra? Perché disprezzate la Chiesa di Dio e umiliate i poveri? Che devo dirvi? Dovrei forse lodarvi? Per questo vostro atteggiamento non posso proprio lodarvi.
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me. Ogni volta, infatti, che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga».
Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, si rende colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, prima esamini se stesso e poi mangi di quel pane e beva da quel calice. Perché chi mangia del pane e beve dal calice senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la sua propria condanna.
Un brano prezioso quello che ha aperto il nostro incontro, tratto dalla prima lettera di Paolo ai cristiani della città greca di Corinto, il più antico che ci racconta dell’ultima cena e ci fa capire il significato del gesto di spezzare il pane di Gesù, in quella sera in cui si congedò da coloro che lo avevano seguito nel suo cammino.
Al centro del discorso di Paolo c’è la condivisione. Come leggiamo nel libro degli Atti, le prime comunità cristiane “spezzavano il pane di casa in casa e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore” (Atti 2:46). Un gesto semplice, calato nella quotidianità, che non richiedeva per essere compiuto un luogo consacrato, né, a quanto si legge, “ruoli” particolari.
Questo accadeva anche nella comunità di Corinto. Dalla lettera si capisce che ognuno portava qualcosa da mangiare, ma poi, invece di condividere il cibo, ciascuno mangiava il suo, e così, mentre i poveri non ne avevano abbastanza per sfamarsi, i ricchi potevano perfino ubriacarsi.
Poi ripetevano insieme il gesto di spezzare il pane. Condividevano quel pane, tutto il resto si guardavano bene dal condividerlo! Usavano il gesto d’amore di Gesù, racchiuso dentro lo spezzare del pane, come un cappello con cui coprire disuguaglianze e discriminazioni.
Ecco perché Paolo li accusa di disprezzare la chiesa di Dio e di umiliare i poveri, e usa verso di loro parole severe: “Ciascuno, dunque, prima esamini se stesso e poi mangi di quel pane e beva da quel calice. Perché chi mangia del pane e beve dal calice senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la sua propria condanna”.
C’è una cosa ancora più grave del creare disuguaglianze facendo soffrire altre persone, ed è farlo nel nome di Gesù, sporcando e umiliando il suo gesto. Questo, dice Paolo, attira su chi lo fa il giudizio di Dio.
Quando Gesù pronuncia le parole: “Questo è il mio corpo” non ha in mano un pane, ha in mano un pane spezzato. Non il pane dunque, ma il pane spezzato è il corpo di Gesù, lì c’è la sua vita condivisa con gli scartati e le scartate. L’invito di Gesù: “Fate questo in memoria di me” non è perciò l’invito a ripetere un rito, ma è l’invito a spezzare il pane nella nostra vita. Così Gesù ci ha chiesto di fare memoria di lui. E chissà se in quel pane spezzato Gesù non avrà visto anche il suo corpo, che di lì a poco sarebbe stato spezzato dalla violenza del potere?
Mai nella mia famiglia c’è stato un momento di condivisione così intenso e forte come in quella sera in cui il più piccolo dei miei figli ha fatto coming out con tutti noi. Il pane non c’era, ma il pane spezzato sì.
Ha iniziato lui, mostrandoci il suo corpo, che la violenza della società e delle religioni aveva spezzato, amputandone quella parte che lui stesso faceva fatica a guardare. Noi lo abbiamo seguito. Abbiamo sentito quello che lui sentiva. Tutto di noi c’era dentro, le nostre menti, anche se confuse, e ogni pezzetto dei nostri corpi. L’amore con cui lo abbiamo avvolto ha fatto il resto. Forse in quel momento, senza neanche saperlo, abbiamo fatto memoria di Gesù.
“Chi mangia del pane e beve dal calice senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la sua propria condanna”, su queste parole di Paolo, togliendole dal contesto della sua lettera, la Chiesa ha costruito i pesi più inimmaginabili e li ha posti sulle spalle delle persone. Paolo voleva dire tutt’altro…
Nel racconto non c’è una tavola condivisa: ognuno sta per conto suo. Tra chi partecipa alle celebrazioni in Chiesa quanti sono disponibili a condividere con gli altri?
“Così accade che mentre alcuni hanno ancora fame, altri sono già ubriachi”, queste parole mi fanno pensare che nella Chiesa c’è chi è ammesso a quella tavola, e può saziarsi, e chi fa fatica a strappare anche solo qualche pezzetto di nutrimento. Una tavola condivisa a cui tutti sono invitati e possono saziarsi è quello che trovo in questo gruppo, ma manca nella Chiesa tutta.
Leggo questo brano con lenti diverse dopo il coming out di mia figlia, lo vivo dalla parte di chi è escluso. È per tutti quel pane, o no? Perché io ne sono degna, e mia figlia e mio fratello divorziato no? Mia figlia ha lasciato la parrocchia, gli scout, la Chiesa. Le ho chiesto perché e mi ha risposto: “Perché per la Chiesa io sono una peccatrice”.
Lo spezzare il pane è diventato solo un atto liturgico. Mentre c’è un’attenzione maniacale a particolari come la posizione delle mani, il modo di prendere il pane… c’è una completa disattenzione allo spezzare il pane tra fratelli e sorelle: tra loro la condivisione non c’è, manca la condivisione dei sentimenti. In questo gruppo vivo le cose in modo diverso, e di questo ve ne sono grata.
Anch’io ho vissuto un momento forte di condivisione con il coming out dei miei figli. Il più grande mi ha detto: “Mi sono fidanzato” ed è scoppiato a piangere, anche lui spezzando il pane della sua vita. Eravamo in una libreria, gli ho preso le mani: erano gelate. Questo per me è spezzare il pane.
Come mamma mi è capitato di dire a mia figlia di fare attenzione a dire che era lesbica in certi ambienti, come quello lavorativo. Le ho chiesto di nascondersi nel tentativo di proteggerla. La sua reazione forte e netta mi ha fatto capire che spesso quello che diciamo agli altri parte da esigenze nostre, non loro.
Ogni volta che faccio coming out è per me spezzare il pane nella mia vita, è un dono che faccio agli altri, mostrando la parte più segreta di me. Spezzare il pane è porsi accanto, guardarsi negli occhi, non dall’alto in basso, per ritrovare così la nostra umanità.
Se Gesù ha offerto se stesso, anch’io posso portare all’altare quello che vivo, ciò che c’è di bello nella mia vita e ciò che mi procura sofferenza, perché, come il pane di Gesù, diventi nutrimento per tutti. In questo momento della mia vita per me il pane spezzato è la condivisione dell’esperienza di sofferenza di mia figlia.
C’è la condivisione al centro del messaggio evangelico, lo spezzare la propria vita. La mia crescita personale, come prete, è legata alla condivisione di chi ha voluto regalarmi pezzi della sua vita.
Spezzare il pane è anche far sentire la nostra vicinanza a tutti quei preti che la Chiesa, nel tentativo di metterli a tacere, ha colpito con sanzioni, per essersi messi al nostro fianco.
Il brano che abbiamo letto mi rimanda al cammino di noi credenti LGBT+. Quanta strada c’è da fare per costruire tra di noi una convivialità autentica. Dopo tanti anni di nascondimento dobbiamo imparare a stare insieme, facendo attenzione a non passare da vittime dell’esclusione da parte di altri, a chi procura violenza ed esclusione.
Anche i miei genitori, non solo io, hanno dovuto fare coming out. Hanno saputo di me solo dopo che ero già presidente di Arcigay in Calabria. Ci siamo sentiti uniti nello spezzare il pane. Sono grato a loro e a tutti i genitori, perché solo insieme ce la possiamo fare, in una Chiesa che ancora deve imparare ad aprire le finestre a ciò che non è liturgia, che non è religione, ma forse è fede…
Questa sera abbiamo davvero spezzato il pane, condividendo le nostre vite. Mi sorprende vedere come si possano vivere momenti di autentica vicinanza, come ci si possa sentire uniti anche a persone come voi, che conosco da poco tempo e che frequento solo in queste occasioni.
Ci salutiamo portandoci dentro i racconti di ognuno e ognuna, e l’emozione che hanno espresso.
*La restituzione è una sorta di resoconto di quanto è stato detto nel corso dell’incontro. Come in un collage, sono messi insieme frammenti significativi degli interventi dei singoli partecipanti, parole e pensieri espressi da ciascuno e ciascuna.
**** PAROLA… E PAROLE è un gruppo di incontro esperienziale cristiano per genitori di persone LGBT e genitori LGBT di Roma. Ci incontriamo per percorrere e tracciare insieme il cammino verso una società ed una chiesa inclusive, dove nessuno sia messo ai margini. Lo facciamo seguendo le orme di quel Gesù di Nazareth, che, sulle strade della Palestina, ha condiviso la sua vita con gli esclusi e le escluse del suo tempo. Ci incontriamo una volta al mese, normalmente il primo venerdì, alle ore 20 presso un locale attiguo alla chiesa di Sant’Ignazio, in v. Del Caravita 8 a. Coloro che sono interessati, possono contattarci a questi recapiti: Alessandra Bialetti 346 221 4143 – alessandra.bialetti@gmail.com; Dea Santonico 338 629 8894 – dea.santonico@gmail.com