La giustizia riparativa, una Buona Novella per le persone queer
Riflessioni bibliche di Allison Connelly* pubblicate sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 13 settembre 2020, liberamente tradotte da Chiara Benelli
Letture bibliche: Siracide 27:30-28:7; Salmo 103 [102]:1-4.9-12; Romani 14:7-9; Giovanni 13:34; Matteo 18:21-35
Le letture liturgiche di oggi mi hanno spinto a pensare alla giustizia riparativa: una risposta al dolore, al crimine e a qualsiasi tipo di violenza che fa leva sulla riconciliazione e la riparazione del danno causato, piuttosto che sulla punizione. Si tratta di un metodo di responsabilità e riconciliazione reciproca in uso in quelle comunità che non sono mai state tutelate dalle forze dell’ordine. Il movimento di giustizia riparativa è capitanato in particolare da persone di colore, nativi, immigrati, queer, transgender e lavoratori/trici del sesso.
Come vedremo, il processo di giustizia riparativa può essere molto utile per recuperare il rapporto tra le persone LGBTQ e la Chiesa Cattolica. La giustizia riparativa pone tre domande principali:
1. Chi è la vittima?
2. Che esigenze ha?
3. Chi deve incaricarsi di soddisfare queste esigenze?
Vediamo un caso di giustizia riparatrice, e uno di totale assenza di quest’ultima, nella parabola che narra Gesù nel Vangelo di oggi. All’inizio della parabola si racconta di un re che condona il debito di un servo, dopo averlo inizialmente minacciato di farlo suo schiavo. Sembra proprio un esempio di giustizia riparativa, perciò ci poniamo le tre domande di cui abbiamo parlato sopra e ci diamo le seguenti risposte:
1. Vediamo che il re pensava di essere la parte lesa: gli spettava un debito che invece rimaneva insoluto.
2. Dopo aver riflettuto, però, si è reso conto che in realtà non aveva bisogno che quel debito gli venisse restituito, poiché rimaneva ugualmente molto ricco.
3. E così opta per abbracciare la giustizia riparativa, annullando il debito che il servo aveva nei suoi confronti.
La giustizia riparativa è efficace, ma non è scontato che venga applicata. Vediamo, infatti, con quanta facilità la si può dimenticare nel giro di pochi istanti, quando il servo che era stato graziato pretende il pagamento dei debiti a lui dovuti. Quando il suo debitore non può provvedere al pagamento, il servo lo fa imprigionare. La soluzione del servo è di natura punitiva, e non fa altro che perpetuare il danno.
In questa interpretazione c’è un messaggio per tutti i cattolici LGBTQ, sia in una possibile giustizia riparativa all’interno della Chiesa, sia nel fallimento generale nell’impiego di tali mezzi.
Da cattolica lesbica, le tre domande che pone la giustizia riparativa mi hanno toccata nel profondo, e immagino che lo stesso valga anche per molti altri cattolici emarginati. Quante volte mi sono sentita ferita da un’omelia, da una dichiarazione del Papa o dalla notizia dell’allontanamento di un membro della Chiesa? Quante volte ho avuto profonde esigenze teologiche, pastorali e spirituali di guarigione che sono rimaste inascoltate? E quante volte ho desiderato con tutta me stessa attribuire a chi mi aveva ferita tutta la responsabilità del dolore causato? Oggi ho riflettuto sulle letture del giorno con queste domande in mente, e così facendo ho potuto sperimentare la Buona Novella.
Se le parrocchie in cui sono cresciuta avessero praticato un modello di giustizia riparativa, i miei pastori avrebbero potuto prestare maggiore attenzione al dolore che ho vissuto, ai miei bisogni, e a chi io attribuissi la responsabilità di soddisfarli. Quanto vorrei che tra i responsabili della Chiesa, qualcuno – chiunque! – mi avesse rivolto le tre domande, perché io, così come ogni cattolic* queer o trans che conosco, abbiamo storie di dolore e desideri di guarigione, più di quante ci teniamo a raccontare. Ma nessuno mi ha mai chiesto nulla. Il mio bisogno di una teologia che celebrasse la teoria queer, di scuse da parte delle istituzioni, e rivolte a me personalmente per l’omofobia, e di una parrocchia cattolica dove poter celebrare il mio matrimonio, evidentemente non è mai stato ascoltato dalla Chiesa Cattolica. Le persone e le istituzioni responsabili di aver causato dolore non hanno mai sperimentato l’opportunità sacramentale di prendersene la responsabilità.
Il sogno che ho per la Chiesa è quello di vivere insieme, nel nome della giustizia riparativa. Dovremmo chiederci chi ha subìto dei danni, quali esigenze hanno queste persone, e chi è responsabile, non solo dei nostri fratelli e sorelle queer, ma anche dei fratelli e sorelle di colore, dei fratelli e sorelle indigeni, dei fratelli e sorelle disabili, dei fratelli e sorelle anziani, dei fratelli e sorelle trans, dei fratelli e sorelle immigrati e di tutti i fratelli e sorelle che hanno subìto danni dalla Chiesa.
Questa Chiesa tanto sognata, fondata sulla giustizia riparativa, può essere realizzata in questa vita, e non servono miracoli per farlo: basterebbe che le congregazioni preposte e i responsabili interni della Chiesa ponessero alle persone le tre domande sui danni subiti, i bisogni e le responsabilità.
Un esempio potrebbe essere quello di sostituire i nostri rosari post-confessione con un atto di pentimento, consistente nel pagare un risarcimento di schiavitù ai discendenti di coloro che erano stati acquistati e rivenduti dalle istituzioni cattoliche.
La giustizia riparativa rimane un sogno finché non la si realizza. Se siamo chiamati a far sì che la nostra chiesa sia “come in cielo, così in terra”, allora certamente siamo anche chiamati a vivere nel segno delle benedizioni salvifiche della giustizia riparativa.
* Allison Connelly studia la teologia della disabilità e il suo potenziale liberatorio all’Union Theological Seminary. Allison si definisce queer, disabile, cattolica e membro della Chiesa Unita di Cristo. È coautrice di Dear Joan Chittister: Conversations with Women in the Church (Cara Joan Chittister. Conversazioni con le donne nella Chiesa).
Testo originale: Harm, Needs, and Responsibility: Why Restorative Justice is Good News for LGBTQ Catholics