Gli adolescenti omosessuali e la vergogna di ‘essere’
Articolo di Bill Ryan, professore all’École de service social dell’Università McGill di Montréal (Canada), liberamente tradotto da Anna
Ricevo numerose lettere di giovani per posta elettronica, testimonianze di giovani più o meno isolati, infelici, persino disperati. Eccone alcune.
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‘Buongiorno, un’amica mi ha dato questa mail e mi ha detto di usarla. Ho un problema con mia madre e ho davvero bisogno di parlarne. Le ho detto che ero lesbica e lei non lo accetta. Voglio scappare via, uccidermi, mi aiuti, mi risponda’.“Buongiorno, ho bisogno di aiuto perché sono depresso e a volte mi capita di aver voglia di morire. Ho la testa confusa. Non va bene per niente. Ho sedici anni”..
“Buongiorno Sig. Ryan, l’ho vista ultimamente alla trasmissione di Claire Lamarche e ho chiamato TVA (1) per avere il suo indirizzo. Ho 15 anni e frequento una scuola polivalente della regione (49) …. Sono gay ma nessuno lo sa in maniera ufficiale. Tutti mi etichettano a scuola, al punto tale che ho paura di andare alla caffetteria. Diversi ragazzi mi minacciano di ogni sorta di cose. I professori e la presidenza non fa niente per aiutarmi. Faccio fatica a concentrarmi durante le lezioni e mi sembra tutto nero. Non voglio fare altro che starmene da solo. La prego, venga a parlare nella mia scuola e parli dei giovani gay. Non c’è nessuno che venga in mio aiuto. La prego, venga in mio aiuto prima che mi spenga. I miei genitori non sanno quello che vivo né riguardo alla mia scuola né riguardo alla mia omosessualità. Ho paura di parlargliene. Se decideranno di non amarmi più una volta saputo tutto ciò, non so cosa farò…”.
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Lo stato della situazione
Nel 1989, una ricerca di Gibson (Gibson, G., Gay and Lesbien Youth Suicide in. The Secretary’s Task Force on Youth Suicide: Final Report. United States Secretary of Health, Washington, DC., 1989) rivelava che il suicidio è la prima causa di decesso nei giovani gay, lesbiche e transessuali. Farrow svelava nel 1991 che questi giovani sono da due a tre volte più a rischio di suicidio rispetto ai loro coetanei. Altri autori e ricercatori parlano di rischi ancora più elevati. Perché è così?
I giovani bisessuali, gay e lesbiche crescono in un ambiente generalmente ostile, in seno al quale l’omosessualità e la bisessualità sono stigmatizzate come vergogna e violenza. Quando questi giovani cominciano a prendere coscienza delle loro attrazioni sessuali, si trovano di fronte a enormi pressioni dalla società e dal loro ambiente. Tali pressioni si presentano in due forme: l’omofobia (definita come una paura e una vergogna profonda e irrazionale nei confronti di gay, lesbiche e omosessuali) ed eterosessismo (definito come la presunzione che qualsiasi persona sia eterosessuale).
In questi giovani, tali lotte accrescono considerevolmente il rischio di depressione, di isolamento sociale e di rifiuto da parte della famiglia e degli amici, l’aumento del tasso di dispersione scolastica, di tossicodipendenza e anche di suicidio. Tutte queste reazioni hanno origine dalla vergogna che provano i giovani rispetto al loro orientamento sessuale.
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Fonti di vergogna. Fonte di stigmate e di tabù, la vergogna alimenta l’odio di sé e degli altri. Qualsiasi persona umiliata pubblicamente crede di essere subito stigmatizzata. Inoltre, questo sentimento di vergogna si propaga a coloro che sono associati alla persona umiliata. Per eliminare il tabù legato all’omosessualità, dobbiamo quindi esaminare le fonti di vergogna nei gay, nelle lesbiche e nella loro cerchia.
La società. L’omosessualità è un comportamento umano molto stigmatizzato sul piano sociale. Il sistema scolastico, la formazione professionale, le tradizioni e i miti religiosi o culturali presentano l’omosessualità come un comportamento sgradito, perverso, anormale e tragico. Queste attitudini e questi valori sono profondamente radicati nella tradizione teologica, morale e legale della nostra cultura. Sono ancora dominanti, anche se la scienza cerca di screditarli e di presentare l’orientamento omosessuale come parte del potenziale umano.
La famiglia. La famiglia induce direttamente alla vergogna che provano gli uomini e le donne che amano persone del loro sesso. Quando i bambini non rispondono alle attenzioni dei loro genitori o si comportano male in base ai criteri genitoriali, non è raro che vengano puniti o umiliati. A maggior ragione, quando un comportamento come l’omosessualità sembra deviare dai modelli approvati dalla cultura ambiente, consegue che la vergogna si associa agli aspetti essenziali dell’identità e della sessualità della persona. Alla fine, per evitare la vergogna, i giudizi su ciò che è accettabile o inaccettabile vengono interiorizzati come regole di comportamento.
Fino a oggi, la famiglia in quanto istituzione ha qualificato come vergognosa qualsiasi forma d’amore altra rispetto a quella eterosessuale. Se solamente le persone di sesso diverso possono sposarsi, i gay e le lesbiche sono irrevocabilmente al di fuori dei limiti dell’accettabile. L’uomo o la donna che si allontana dai modelli di intimità ricevuti e che osa amare una persona del proprio sesso viene visto(a) come deviante.
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Il gruppo di coetanei. Nei gruppi di coetanei, si riscontrano diverse cause di vergogna. I coetanei perseguitano senza pietà qualunque persona che sospettano di omosessualità. È nella sottocultura del gruppo di coetanei predolescenti che la vergogna raggiunge il suo parossismo, tanto più che giocano un ruolo chiave nella separazione dalla famiglia offrendo un’altra fonte di identificazione.
Rimpiazzando il modello di identificazione dei genitori con quello dei coetanei, l’adolescente cambia gradualmente la fedeltà identitaria, cosa che contribuisce allo sviluppo della sua personalità. Nei giovani omosessuali, il gruppo di coetanei crea, ahimé!, una nuova fonte di vergogna e un potente mezzo di socializzazione per l’eterosessualità obbligatoria.
Nel peridodo della preadolescenza, che comincia verso gli 11/12 anni, l’eventualità della vergogna delle proprie caratteristiche psicologiche o fisiche aumenta, soprattutto in ragione degli inevitabili cambiamenti fisici. Inoltre, è il periodo in cui qualunque esternazione d’affetto verso una persona del proprio sesso, specialmente attraverso il tatto o l’abbraccio, provoca una vergogna ulteriore.Per i giovani che decidono di uscire dall’ombra (o che vi sono obbligati dai coetanei che li trattano da gay), le conseguenze negative sono numerose. Le molestie o l’abuso nei confronti dei giovani LBG sono di ordinaria amministrazione nelle scuole secondarie, in quanto le autorità li proteggono poco o addirittura per niente.
Ad esempio, i coetanei si insultano, si umiliano e provano vergogna trattandosi da froci, lesbiche, checche e omosessuali. Questi insulti compaiono molto prima dell’inizio dell’adolescenza, in modo che i giovani colleghino l’omosessualità alla vergogna spesso molto prima di essere consapevoli di questo concetto e addirittura prima di conoscere il significato di queste parole. I ragazzi e le ragazze imparano che l’omosessualità è vergognosa prima di sapere di essere gay o lesbiche. Trattare qualcuno da froci, significa insultarlo pubblicamente; così, i bambini e gli adolescenti imparano molto velocemente a evitare che li si percepisca come tali.
Anche se la percezione dell’omosessualità viene spesso distorta dall’adolescenza, l’equazione tra questo orientamento e la vergogna diventa indelebile nella mente di ciascuno. Detto ciò, un ragazzo o una ragazza tacciato(a) di omosessualità deve confutare questa etichetta, in mancanza di cui lui o lei sarà marchiato(a) a fuoco per sempre.
I membri del gruppo, infatti, appoggiano moralmente l’accusatore che, da quel momento, parla a nome loro. Essere gay o lesbica viene visto quindi come tara e la persona percepita come tale si espone al ridicolo e alla denigrazione. I giovani imparano quindi a nascondere e a tacere il loro orientamento al fine di evitare la vergogna. Ma in realtà, questo segreto rafforza la loro vergogna piuttosto che alleviarla.
La cultura. Nel corso del Ventesimo secolo, non si trova nessun esempio di cultura che ha accettato l’omosessualità, sebbene alcune la tollerino, spesso a fatica. Ogni cultura influenza lo sviluppo dei suoi membri attraverso i precetti che loro propone affinché possano vivere decentemente. Le attese culturali predominanti vogliono che qualsiasi persona si sposi e che un’unica forma di relazione consenta il matrimonio. Ora, noi apprendiamo ciò che ci insegna la nostra cultura. Impariamo allo stesso modo ciò che non vediamo. La nostra cultura non ci presenta i gay e le lesbiche come persone comuni o normali nelle loro relazioni sentimentali.
È raro che vediamo una cosa diversa dalle rappresentazioni stereotipate. Il fatto di non riconoscere apertamente e di non valorizzare diversi modelli di relazioni personali trasmette ai giovani, inevitabilmente, il messaggio che queste forme d’amore diverse sono indegne, deboli, imperfette e, di conseguenza, vergognose.
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Il silenzio. Il silenzio genera la vergogna e viceversa, ciò che li rende prigionieri di un ciclo reciproco di riattivazione. Il silenzio comunica innanzitutto la vergogna poiché, poco importa l’argomento di cui possiamo parlare apertamente, ci sentiamo vergnosi. I bambini lo imparano molto presto. Quando fanno delle domande su un argomento vietato – la sessualità, ad esempio – e non gli si risponde, essi imparano a non essere recidivi.
Ciò di cui non si può parlare apertamente deve essere troppo vergognoso, in una sola parola, tabù. La vergogna riduce al silenzio e spinge a nascondere la causa di tale vergogna, quindi a non parlarne. Quando una società impone il silenzio generale su un determinato vissuto, essa opprime i propri membri. Da molto tempo, si ricorre al silenzio per negare la questione dell’omosessualità. Il silenzio, infatti, fa appello alla vergogna generale per nascondere un gruppo di persone e imprigionarle nella propria società.
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Cosa fare allora? Le misure principali da prendere per ridurre i fattori di rischio associati al suicidio nei giovani gay, lesbiche e bisessuali consistono nel rompere il loro isolamento a aiutarli ad acquisire un’attitudine positiva nei confronti del loro orientamento sessuale. La filosofia del progetto “Sain et sauf”[5] si fonda su questi due obiettivi così come sull’aiuto da dare ai giovani in vista di accrescere la loro autostima e di combattere l’omofobia in generale.
Il progetto “Sain et sauf”[6] introduce, nelle quattro province canadesi, servizi per i giovani gay, lesbiche e bisessuali ispirati al modello sviluppato nel “Projet 10” [7] di Montréal. Gruppi di discussione, un centro d’incontro ed eventi speciali costituiscono altrettante misure che contribuiscono a rompere il loro isolamento. Così, possono unirsi a un gruppo di coetanei che comprendono e accettano il loro orientamento, che diventa per loro un modello e li aiuta a costruire la loro autostima.
Offrendo un’opzione diversa da quella dei bar, i gruppi permettono ai giovani di incontrarsi in un luogo privo di droga e alcol. Infine, attraverso presentazioni in classe, conversazioni con i genitori e misure di sensibilizzazione per coloro che intervengono nei confronti dei giovani, questo progetto contribuisce a modificare le attitudini sociali elargite e a ridurre l’omofobia e l’eterosessismo.
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1 Emittente televisiva canadese privata. [NdT]
2 Si riferisce al Québec francofono. [NdT]
5 Letteralmente, “sano e salvo”. [NdT]
6 Ibidem
7 Letteralmente, “progetto 10”. [NdT]
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Testo originale: La honte d’être