Guidata dallo Spirito. Il mio viaggio di suora lesbica nella Misericordia
Testimonianza di suor Mary Janet Rozzano liberamente tradotta da Diana, revisione di Giacomo Tessaro, parte seconda e ultima
Il motto inciso sull’anello d’argento che ricevetti quando pronunciai i voti definitivi nel 1964 recitava: “Guidata dallo Spirito”. Lo scelsi più o meno all’ultimo minuto, senza pensarci troppo su. Man mano che la mia sessualità si è sviluppata, ho spesso sentito una gioia e un’energia che mi hanno sorpresa.
Dove ha trovato la persona tranquilla, introversa e reticente che conoscevo il desiderio e il coraggio di venir così coinvolta in una varietà di ministeri? In retrospettiva, sono convinta di essere stata guidata, e quanto ho fatto non è opera mia, bensì dello Spirito in me. Vorrei condividere un po’ di quanto lo Spirito mi ha portata a comprendere e vedere più chiaramente nel corso della conoscenza della mia sessualità.
Quando parlai alla conferenza di New Ways Ministry del 1986 dissi: “In questo processo di comprensione ed accettazione di me stessa come religiosa lesbica credo di essere stata potentemente toccata dalla grazia. Come la donna del Vangelo che ha trovato la sua ultima moneta, non vedo l’ora di celebrare non una, ma molte volte il recupero della moneta perduta di immenso valore (la mia sessualità unica), e l’azione e la presenza di Dio nella mia vita”.
A poco a poco sono riuscita a vedere la grazia del mio percorso di lesbica, vale a dire la trasformazione della mia immagine di Dio e della mia comprensione di certi aspetti della mia fede e del mio impegno religioso. Per esempio, mi colpì all’inizio del mio processo che per me il coming out era davvero un sacramento, che rifacendomi al vecchio Catechismo definirei un segno esteriore di origine divina, fonte di grazia e santa energia.
L’origine divina, il Dio di cui parlo qui, non è un dio lontano ed esigente, dai limiti angusti e dalle vie prestabilite, ma piuttosto un Dio che cammina con me, aperto, che accoglie le differenze, inclusivo e misericordioso. Penso che nei primi anni del mio coming out sono giunta a comprendere che Dio mi ama così come sono, così come mi ha creata. Per molte di noi [suore], che hanno sentito e letto tante cose negative e giudicanti sulla sessualità, diventa una grande sfida accettare veramente che Dio ci ama.
Facendo coming out con più persone, e condividendo la mia storia con loro, mi sono resa conto di quanto fosse importante ed utile quella testimonianza, sia per sostenere altre persone gay e lesbiche, sia per educare le persone etero su chi noi siamo. E ogni esperienza di coming out mi ha dato maggior energia e fiducia nell’essere me stessa senza timore. Questa comprensione ha reso per me un valore il rischio del coming out, che vedo come un’opportunità di dissipare miti e stereotipi su di noi [suore], sia nella vita religiosa che nella società.
È stata trasformata anche la nostra comprensione della nostra realtà, incarnata in noi come persone dotate di corpo: la via verso la completezza non si trova al di fuori o nonostante il nostro corpo, ma attraverso di esso. Nei miei primi anni di vita religiosa non abbiamo ricevuto molte nozioni sulla sessualità o il nubilato, che tenessero conto della nostra realtà corporea. Fortunatamente oggi le cose sono cambiate, e la maggior parte delle congregazioni fornisce buone risorse per un approccio più legato al corpo, ma penso che le congregazioni e la Chiesa abbiano ancora molto lavoro da fare per recuperare il ritardo in questo campo.
Per esempio, mi rendo conto che il linguaggio usato negli anni ’80 per descrivere la mia esperienza come suora lesbica, oggi appaia datato e limitato. All’epoca termini come “non binario”, “genderfluid” o “cisgender” non si trovavano nei libri sulla sessualità che leggevo.
Oggi siamo invitati con decisione a imparare un nuovo vocabolario, basato sulle scoperte scientifiche più recenti, che esprime una più ampia comprensione della sessualità umana nelle sue varie forme. Ritengo che tutte noi abbiamo bisogno di imparare e discutere con la mente e il cuore aperto, e con la volontà di ascoltare le storie di persone le cui esperienze, punti di vista e linguaggio sulla sessualità sono diverse dalle nostre.
Un altro importante insegnamento per me è stato riuscire a valorizzare la dimensione comunitaria della mia esperienza. Sono diventata sempre più consapevole che non avrei potuto fare tutte le cose che ho fatto senza il sostegno della comunità, che mi ha ispirata, sostenuta e resa più forte. Ho trovato la comunità presente soprattutto attraverso altri religiosi e sacerdoti gay e lesbiche, attraverso il capitolo locale di Dignity quando ero attiva al suo interno, e attraverso la congregazione delle mie Suore della Misericordia. Più di trent’anni dopo incontro ancora periodicamente alcuni membri del primo gruppo di sostegno di suore lesbiche fondato dalle nostre parti.
Anche se attualmente non sono legata a Dignity (ndr associazione americana per cattolici LGBT), era con loro che partecipavo comunitariamente alla Messa domenicale, e partecipavo alle manifestazioni a San Francisco. Protestammo quando l’arcivescovo stabilì che non potevamo più celebrare la Messa settimanale in una parrocchia della città. Facemmo una processione a lume di candela e consegnammo lettere di protesta all’arcivescovo. In un’altra occasione celebrammo una Messa alternativa mentre papa Giovanni Paolo II stava officiando nella cattedrale.
Prima di questi due eventi, sentii che era necessario conferire col gruppo dirigente della mia comunità su quanto avevo intenzione di fare. In entrambi i casi furono di supporto, anche se avrebbero potuto avere delle riserve. Condivisi con loro anche le lettere che scrissi all’arcivescovo e al cardinale Joseph Ratzinger, esprimendo la mia preoccupazione per la Lettera ai vescovi sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1986. Per me è stata una grande benedizione avere un gruppo dirigente così aperto e pieno di interesse.
Infine, vedo il mio percorso di suora lesbica come un lavoro in corso, e me stessa come una persona che deve sempre imparare. Il mio percorso ha le sue luci e le sue ombre, dei momenti in cui sono felice per un incontro che ha avuto successo, o per un risultato positivo che ho contribuito a creare, e dei momenti in cui sono profondamente consapevole che la mia paura, la mia ignoranza e i miei limiti mi impediscono di parlare e agire come penso dovrei fare. In tutto questo, l’importante è continuare a lavorare per una comprensione più profonda e personale, e per integrare il viaggio che sto portando avanti nei diversi stadi della mia vita.
Nel 1994 ho fatto pubblicamente coming out nella mia comunità della Misericordia di Burlingame, dopo aver ricevuto un premio dal capitolo di Dignity di San Francisco. Una delle nostre consorelle scrisse un articolo nel nostro bollettino sulla cena della premiazione, mentre io scrissi un articolo intitolato Guidata dallo Spirito: un viaggio nella Misericordia. Mentre riflettevo su come concludere questo racconto della mia storia, una parte di questo articolo dice alcune cose del mio viaggio che sono ancora nel profondo del mio cuore dopo quasi venticinque anni, e vorrei condividerle con voi:
“Considero il mio viaggio come suora della Misericordia lesbica una vera benedizione, e un’opportunità di servizio. Il mio coinvolgimento con la comunità gay e lesbica mi ha permesso di collaborare con un gruppo cattolico unico e molto dotato. Inoltre, ogni coinvolgimento è un invito a mettere da parte i miei timori e aiutare a cambiare gli atteggiamenti negativi ed omofobi. Sono chiamata a discernere in modo molto coscienzioso cosa mi sta chiedendo lo Spirito. Ho sperimentato il dolore del rifiuto e dell’oppressione, da parte della Chiesa, nei confronti delle persone gay e lesbiche, e sto imparando ad essere sempre più sincera con me stessa. Nelle tante liturgie celebrate insieme alle persone gay e lesbiche sento le parole del Vangelo, potenti e vive in un modo che non sempre percepisco in altri luoghi”.
Negli anni, ad ogni passo intrapreso durante il mio viaggio, mi sono sentita più forte e incoraggiata dal sostegno di tante consorelle. È una fonte di grande orgoglio per me, e un dono prezioso. Lo Spirito mi ha guidato per vie a volte non ortodosse, che mi hanno confusa, che richiedono rischi e un coraggio che non avrei mai pensato di possedere, eppure ho la forte sensazione che quello che sto facendo sia nella migliore tradizione della congregazione della Misericordia, che la nostra stessa fondatrice, Catherine McAuley, capirebbe e benedirebbe; sono una suora della Misericordia in modo particolare quando continuo a rispondere a questa vocazione. Mi sembra arrivato il momento giusto per condividere con voi tutto ciò che ho detto qui.