“I” cattolici. I mille modi diversi di essere parte della stessa chiesa
Articolo di Jacques Musset pubblicato sul sito della Conférence Catholique des Baptisé-e-s Francophones (Francia) il 28 agosto 2018, libera traduzione di finesettimana.org.
Ho imparato a scuola la differenza tra l’articolo determinativo “i” e il partitivo “dei”. “I” designa la totalità delle realtà di cui si parla; “dei” una parte soltanto. Così, l’espressione “i francesi” designa tutti gli individui che hanno la nazionalità francese, mentre l’espressione “dei francesi” designa solo una parte dei francesi.
Per questo sono sempre imbarazzato, se non scandalizzato, quando si confonde l’uso dell’articolo determinativo con il partitivo. Succede quando si comincia dicendo “i cattolici”, assimilandoli ad un blocco compatto che condivide le stesse idee, le stesse convinzioni e gli stessi impegni sotto la guida del papa e dei vescovi e nella fedeltà alla dottrina della Chiesa cattolica, come descritta nel catechismo ufficiale promulgato nel 1992 da papa Giovanni Paolo II.
Non c’è dubbio che i vescovi e i loro portavoce, quando fanno dichiarazioni, ritengono di farle a nome di tutti i cattolici. A loro sembra ovvio che questi ultimi, per essere fedeli alla loro religione, debbano condividere le sue posizioni dogmatiche e morali ufficiali che loro stessi sono convinti di essere abilitati a definire per mandato di Cristo e di Dio.
Ultimamente, il 9 aprile, anche il presidente della Repubblica [francese], rivolgendosi all’assemblea del vescovi francesi al Collège des Bernardins, ha usato l’espressione “i cattolici” considerandoli o fingendo di assimilarli ad un insieme unito.
La realtà attuale è tutt’altra. Certo, ciò che è loro comune, è che sono stati tutti battezzati. Ma questo riferimento è molto formale. La diversità si estende dai cattolici sociologici per i quali l’appartenenza cattolica è un’etichetta senza influenza sul loro modo di vivere, fino a cattolici convinti, ma molto diversi tra loro per quanto riguarda la fede, le concezioni dell’uomo e della società, le scelte di comportamento a livello morale, sociale e politico.
Ci sono coloro le cui credenze e linee di condotta fanno esplicito riferimento ai dogmi cattolici e all’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica, ai quali non intendono derogare. E ci sono anche coloro, tra i quali esiste pure una grande varietà, che si prendono la libertà di pensare, di credere e di inventare la loro vita in funzione delle esigenze che detta la loro coscienza illuminata dalla ragione.
Secondo le inchieste realizzate sugli uni e sugli altri, si constata che le loro rappresentazioni dell’uomo, di Gesù, di Dio, dei ministeri, dell’eucaristia, dell’oltre la morte, per non parlare che di questi aspetti, non coincidono.
È quindi illusorio dichiarare che i cattolici, all’inizio di questo XXI secolo, formano, come pensiero e azioni, un gruppo coerente che seguirebbe come un sol uomo le raccomandazioni dei responsabili della loro Chiesa. È da molto tempo che la massa dei cattolici non ha più l’aspetto di un esercito dai ranghi serrati dietro ai capi, condividendo la fede dei giorni antichi e riempiendo le chiese alla messa domenicale. Ma è poi mai stata proprio così?
Quel mondo di cristianità è morto e sepolto per sempre, malgrado le velleità di gruppi, di personalità e riviste neo-cattoliche (Sens commun, AFC, Fondation Jéeôme Lejeune, Les Veilleurs, Famille chrétienne, Limite, Alliance Vita…) che si danno un gran da fare per proclamare che la salvezza del mondo incancrenito fino al midollo dal male è un cattolicesimo di resistenza che diventerà, superata la crisi, l’anima ispiratrice delle istituzioni nazionali.
Il cattolicesimo ufficiale rappresentato dal papa e dai vescovi, ammette invece che è e sarà anche in futuro solo minoritario nella nostra società secolarizzata, almeno in occidente. E in questa situazione, riconosce fin dal Vaticano II che i cattolici, rifacendosi agli stessi valori evangelici, sono assolutamente liberi nella scelta del loro impegno politico. In compenso, però, su tutto ciò che riguarda le decisioni morali riguardanti l’inizio e il fine vita, l’esercizio della sessualità (l’uso della contraccezione e dell’aborto), la vita di coppia prima del matrimonio, il divorzio e l’omosessualità, le autorità cattoliche rimangono ferme sui principi tradizionali.
Basta leggere su questi temi ilCatechismo cattolico di Giovanni Paolo II che è, secondo quel papa, “norma sicura per l’insegnamento della fede”. Si conoscono le dichiarazioni invariabili delle autorità cattoliche, ripetute anno dopo anno, che fanno riferimento alla Legge Naturale, instaurata, secondo loro, da Dio agli inizi dell’umanità!
I cattolici, quindi, tutto sono tranne che un gruppo unito, che pensa e vive la propria esistenza su linee parallele. È una finzione credere il contrario, un inganno parlare in loro nome. Nel dibattito attuale sui temi etici, il governo ascolta le diverse posizioni e, tra le altre, quelle delle autorità della Chiesa cattolica romana. Già le conosciamo, sulla procreazione medicalmente assistita e sull’eutanasia. Non sono nuove. L’ipocrisia è lasciar intendere che tutti i cattolici sono tenuti a condividere queste posizioni, mentre, su questi e sugli altri problemi di ordine morale, sono infinitamente divisi.
Possiamo sperare che i responsabili cattolici ammettano un giorno pubblicamente che il cristianesimo cattolico è attraversato da correnti diverse e al limite inconciliabili, sia sul piano del pensiero teologico, che su quello delle strutture ecclesiali, dei ministeri, della bioetica? Sarà loro possibile riconoscere che il dogma e la morale cattolica (in particolare sui temi sessuali) e l’organizzazione piramidale della Chiesa sono ben lungi dall’avere i loro fondamenti nel messaggio e nella pratica di Gesù e anche negli scritti del Nuovo Testamento, prime interpretazioni dell’evento Gesù?
Non è forse necessario concepire l’attualizzazione dell’eredità di Gesù secondo il metodo ebraico tradizionale, il che significherebbe reinterpretarla incessantemente nelle condizioni nuove in cui si incultura? In questo caso, lo spirito che ha animato Gesù e che gli ha fatto esprimere in nome del suo Dio parole e atti di liberazione nel suo tempo sarebbe fermento per una molteplicità di iniziative diverse (come già avviene da qualche parte) e allo stesso tempo giudizio su discorsi e movimenti che cercano di strumentalizzarlo (e che devono essere smascherati). Come può questo nuovo modo di vivere da discepoli di Gesù diventare realtà, se non attraverso un dibattito esigente, libero e costruttivo nella Chiesa? È possibile? Quale rivoluzione copernicana deve avvenire?
Testo originale: «Les» catholiques?