I gay possono diventare sacerdoti?
Testo di Padre Timothy Radcliffe* pubblicato sul settimanale cattolico The Tablet (Inghilterra) il 26 novembre 2005, pag. 4, liberamente tradotto da Luca Bocchi
[…] Due settimane fa ero in Nuova Scozia come guida in un ritiro per vescovi e sacerdoti del Canada orientale. Un sacerdote mi ha inviato un pezzo di carta con una domanda che era troppo timido per porre pubblicamente: “Il documento¹ sull’ammissione dei gay al sacerdozio indicherà che io non sono più il benvenuto? Vuol dire che le persone come me sono preti di serie B?” . Ho sentito questa stessa domanda provenire, in un modo o nell’altro, da sacerdoti di tutto il mondo. […] Dobbiamo tenere a mente due elementi innanzitutto:
Primo, dobbiamo dare al documento sui “criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali” una interpretazione la più positiva possibile. Non si tratta ci voler mettere in buona luce a tutti i costi degli scritti, ma di cercare di discernere quali siano intenzioni primarie degli autori. I nostri media hanno un tono spesso accusatorio e questo documento sarà denunciato come un ulteriore attacco contro le persone omosessuali, e questa denuncia si manifesta anche all’interno della stessa Chiesa. La “Congregazione per la Dottrina della Fede” ha dato spesso interpretazioni piuttosto tendenziose degli scritti teologici. I teologi, a loro volta, hanno elaborato le interpretazioni più negative possibili dei documenti vaticani; tant’è che si tende a dire talvolta “Nulla di buono può venire da Roma!” Come Chiesa dobbiamo trovare un nuovo modo per ascoltarci gli uni agli altri, che si occupi di ciò che viene detto realmente: giustizia e verità richiedono questo.
In secondo luogo, la vocazione è una chiamata di Dio. E ‘vero che, come dice il documento essa “è un dono della grazia divina, ricevuto tramite la Chiesa, nella Chiesa e per il servizio della Chiesa”², ma è per sempre Dio che chiama. Avendo lavorato con vescovi e sacerdoti, diocesani e religiosi di tutto il mondo, non ho alcun dubbio che Dio chiami anche gli omosessuali al sacerdozio, ed essi sono tra i sacerdoti più impegnati ed impressionanti che ho incontrato. Quindi, nessun prete che sia convinto della propria vocazione dovrebbe sentirsi classificato come un ministro in difetto da questo documento. E possiamo presumere che Dio continuerà a chiamare omosessuali ed eterosessuali al sacerdozio, perché la Chiesa ha bisogno ugualmente dei carismi di entrambi.
La Chiesa ha il diritto e il dovere di esercitare un attento discernimento nell’ammissione dei seminaristi. Quando il documento afferma che questo è stato reso “più urgente dalla situazione attuale” è difficile pensare che non si riferisca alla crisi degli abusi sessuali che ha da poco scosso la Chiesa occidentale. Sorgono quindi due domande: questo documento fornisce buoni criteri ai fini del discernernimento vocazione? E aiuterà la Chiesa ad affrontare questa crisi degli abusi sessuali?
Il documento insiste sul fatto che un candidato al sacerdozio “deve raggiungere la maturità affettiva” che “lo renderà capace di porsi in una corretta relazione con uomini e donne, sviluppando in lui un vero senso della paternità spirituale nei confronti della comunità ecclesiale che gli sarà affidata”. Lasciamo da parte per il momento la questione della “paternità spirituale” e concentriamoci ora sulla maturità affettiva: di cosa si tratta?
Il documento afferma che la Chiesa “non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay” ³. Il primo criterio è semplice: lo stesso si potrebbe dire di coloro che sono attivamente eterosessuali. Gli altri due criteri hanno invece bisogno di essere chiariti.
Che cosa si intende con l’espressione “tendenze omosessuali profondamente radicate”? Il controesempio che il documento pone è quello di individui che attraversano una fase temporanea di attrazione omosessuale, viene richiesto che il seminarista abbia superare questa possibile fase almeno tre anni prima dell’ordinazione diaconale. Alla luce di questo documento non è possibile inserire in questa casistica tutti quei seminaristi che stanno approfondendo il loro discernimento vocazionale.
In realtà l’espressione potrebbe essere indirizzata a coloro che possiedono un orientamento omosessuale permanente. Ma questa interpretazione non può essere corretta in quanto, come già detto, ci sono molti preti gay eccellenti che hanno chiaramente una vocazione sacerdotale. Forse si intende escludere, con questa espressione, colui il cui orientamento sessuale è così centrale per la percezione che l’individuo ha di sé da esserne ossessionato, tanto da dominarne la sua immaginazione. Bisognerebbe a questo punto chiedersi se un individuo che vive questa situazione possa vivere felicemente il proprio celibato sacerdotale. Ma anche un eterosessuale che sia così concentrato sulla propria sessualità avrebbe problemi in questo senso. Ciò che conta è la maturità sessuale, e non l’orientamento.
Poi c’è la questione del sostenere la “cultura gay”. È giusto che i seminaristi o sacerdoti non debbano frequentare i locali gay-friendly e che i seminari non sviluppino una sottocultura gay: sarebbe come porre in primo piano nella loro vita ciò che non è essenziale.
I seminaristi devono imparare ad essere a proprio agio con il loro orientamento sessuale, ossia con il contenuto del cuore che Dio ha dato loro; ma ogni sorta di sub-cultura sessuale, gay o etero, sovvertirebbe il celibato così come una sottocultura machista che celebri l’eterosessualità e la mascolinità sarebbe ugualmente inappropriato.
Ma sostenere la “cultura gay” significa solo questo? Come dice il documento, la Chiesa deve opporsi a “ogni marchio di ingiusta discriminazione” contro le persone omosessuali, così come fa per la discriminazione razziale. Ciò significa che tutti i sacerdoti devono essere pronti a schierarsi con i gay che sono oppressi, mettendosi liberamente dalla loro parte. Naturalmente questo solleva questioni complesse: contrastare il matrimonio gay sarà visto da alcune persone come discriminante, mentre per la Dottrina ufficiale della Chiesa Cattolica non lo è affatto. Se ci si lascia coinvolgere dall’opposizione alla discriminazione si rischia di venire fraintesi, ma è un rischio che bisogna correre talvolta.
C’è poi la questione della paternità spirituale. Non è un concetto che mi sia molto familiare: mi domando solo eterosessuali sono in grado di offrire questa paternità? Questa è la visione del Vescovo delle forze armate americane, che di recente ha dichiarato: “Non vogliamo che la nostra gente pensi, come la nostra cultura ora va dicendo, che non c’è davvero nessuna differenza tra gay ed etero, tra omosessuali o eterosessuali. Noi pensiamo che, per la nostra vocazione, ci sia una bella differenza, e il nostro popolo si aspetta di avere sacerdoti maschili che definiscano un forte modello di mascolinità.”
Non posso credere che questo sia ciò che è previsto dal documento. Non vi sono prove a sufficienza per delineare un “modello machista” di cristianità in Vaticano. Se il ruolo del sacerdote fosse quello di essere un modello di mascolinità, allora sarebbe rilevante per meno della metà della congregazione e si potrebbe quindi sostenere che anche donne dovrebbero anche essere ordinati come modelli di femminilità. Presumo che la “paternità spirituale” sia soprattutto esercitata attraverso la cura delle persone e la predicazione di una Parola feconda che dà la vita, ma né l’uno né l’altro hanno alcun nesso con l’orientamento sessuale.
È estremamente urgente la formazione di presbiteri che siano “affettivamente maturi”, e in grado di relazionarsi senza difficoltà con uomini e donne. Questo documento cerca di identificare i criteri che aiuteranno a discernere che la maturità affettiva e le questioni inerenti ad essa sono innegabilmente importanti; ma tali criteri devono essere applicati equamente a tutti i candidati, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
La nostra società dà spesso l’impressione che eterosessuali e omosessuali siano praticamente due specie diverse del genere umano. Ma il cuore dell’uomo è assai complesso e i modelli di desiderio cambiano e si evolvono perennemente. Ho conosciuto preti che ritenevano di essere gay quando avevano trent’anni per poi scoprire di non esserlo, e viceversa. Se vogliamo formare sacerdoti che siano in grado di vivere il loro celibato fruttuosamente allora devono essere a proprio agio con se stessi, in tutta la loro complessità emotiva, senza essere ingannati a pensare che ciò sia il nucleo della loro identità che è in realtà Cristo. “Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato; sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,2).
Ad oggi la nostra società è particolarmente ossessionata dal sesso e la Chiesa dovrebbe offrire un modello sano, e non compulsivo, di accettazione della sessualità. Il Catechismo del Concilio di Trento ha insegnato che i preti dovrebbero parlare di sesso “con moderazione, piuttosto che con abbondanza di parole”. Dobbiamo essere più attenti a ciò i nostri seminaristi possono essere inclini a odiare piuttosto che ad amare. Razzismo, misoginia e omofobia sono tutti segni di un individuo che non potrebbe essere un buon modello di Cristo.
Infine il documento si chiude invitando i seminaristi ad essere sinceri con i loro direttori spirituali. Mentire non corrisponderebbe ad uno “spirito di verità, di lealtà e di disponibilità che deve caratterizzare la personalità di colui che ritiene di essere chiamato a servire Cristo e la sua Chiesa nel ministero sacerdotale”⁴. Questo è di fondamentale importanza, ma se i criteri di questo documento sono interpretati in senso stretto: nel senso che nessuno che sia gay può essere ordinato, allora alcuni seminaristi si troverebbero ad essere in una situazione di impasse. Se parlano apertamente non possono essere accettati, se non lo fanno mancano di trasparenza. Il pericolo è che il più onesto possa quindi lasciare il seminario e che il meno veritiero rimanga, e così andremmo a formare un sacerdoti immaturi, a disagio con se stessi, e più inclini alla continua menzogna . È quindi molto importante che questi criteri non siano interpretati come un modo che spinge le persone all’occultamento. Ciò impedirebbe seriamente la formazione di sacerdoti che siano affettivamente maturi.
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[1] Il testo fa riferimento al documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica approvato e pubblicato a partire dal 4 novembre 2005 dall’allora Pontefice Benedetto XVI:
“Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri” (N.d.R.) (link al documento)
[2] ivi Cap.3 par.1
[3] ivi Cap.2 par.4
[4] ivi Cap.3 par.6
*Padre Timothy Radcliffe, nato a Londra nel 1945 entra a far parte dell’ordine domenicano nel 1965, docente di Sacra Scrittura a Oxford viene ordinato sacerdote nel 1971, attivamente impegnato nel movimento per la pace ha svolto il ministero pastorale anche fra i malati di Aids. Dal 1992 al 2001 è stato “Maestro Generale dell’ordine di san Domenico”. Da maggio 2016 è stato nominato da papa Francesco Consultore per il “Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace”.
Testo originale: Can gays be priests?