I media cattolici e il circo dell’omofobia
Articolo di D.W. Lafferty pubblicato sul blog cattolico Where Peter Is (Stati Uniti) il 13 agosto 2021, liberamente tradotto da Diandra Hocevar
Certi settori della Chiesa (cattolica) sono di nuovo in panico a causa del clero gay. La situazione sembra anacronistica; il punto di confronto più simile nel mondo secolare è l’epurazione degli omosessuali dalla pubblica amministrazione negli USA durante la Guerra Fredda (o lavender scare – “paura color lavanda” – come venne chiamata in seguito). Gran parte della cultura e dei media cattolici di oggi è un mondo che si trova in perenne stato di tensione con il movimento LGBTQ, e dove un vasto assortimento di minacciosi stereotipi omosessuali si propaga nell’inconscio collettivo.
Nei media cattolici di basso livello troviamo quello che può essere descritto solamente come un costante circo dell’omofobia – un corteo di insinuazioni e accuse riguardo all’omosessualità nel clero, completo dell’utilizzo di espressioni offensive e talvolta quasi pornografiche. In passato, questo circo era per lo più limitato a pubblicazioni tradizionaliste estreme e ultra-conservative; ora è diventato un elemento scomodo che dilaga nel dibattito cattolico online.
Alcuni personaggi della Chiesa, incluso papa Francesco, hanno iniziato a modellare un approccio pastorale con i cattolici LGBTQ. Molti stanno adottando un atteggiamento meno conflittuale verso il movimento LGBTQ in generale, pur restando allo stesso tempo radicati nell’insegnamento cattolico. Tuttavia, tali cattolici sono andati incontro a grande resistenza, e non è raro che preti e vescovi che cercano di accogliere le persone LGBTQ vengano accusati di essere omosessuali a loro volta e di far parte di una congrega gay. Che sta succedendo, e quando finirà?
Credo mai, a meno che non ci prendiamo una pausa e creiamo spazi in cui i cattolici – compreso il clero – possano iniziare a discutere apertamente e onestamente sulla sessualità e sull’omosessualità. Lo scopo non è di modificare l’insegnamento della Chiesa o di incoraggiare il peccato, ma semplicemente di capire i problemi, i desideri e le frustrazioni di natura umana che si celano dietro impressioni esterne e ruoli idealizzati.
È ampiamente accettata l’idea che fra i preti c’è un numero sproporzionatamente alto di uomini gay. Per vari motivi, è impossibile stabilire una percentuale attendibile, ma ho visto stime che vanno dal 20% a più del 50%. Alcuni danno la colpa alla rivoluzione sessuale o alla teologia post-Vaticano II, ma probabilmente non si tratta di una nuova tendenza e la cosa ha acquisito maggiore visibilità dopo l’inizio del movimento di liberazione gay nel 1969. Nel suo acclamato libro del 2000, The Changing Face of the Priesthood (“Il volto mutevole del sacerdozio”), Donald B. Cozzens attinge dalla ricerca dello storico John Boswell per offrire ciò che egli considera come una possibile spiegazione del numero sproporzionato di preti e seminaristi gay all’inizio del ventunesimo secolo:
“Probabilmente è stato così per gran parte della storia della Chiesa. Uomini e donne credenti con tendenze omosessuali sono naturalmente attratti dalla vita religiosa e dal celibato ecclesiastico. Considerando che spesso gli uomini cattolici gay sono profondamente spirituali e hanno un desiderio di aiutare gli altri e una naturale propensione per i rituali religiosi, non sorprende che siano attratti dal sacerdozio e dalla vita religiosa.
Una volta entrati in seminario, non hanno più la necessità di spiegare ad amici e familiari perché non hanno relazioni o non sono sposati. La disciplina della castità e l’essere portavoce di una Chiesa che insiste sul celibato casto del proprio clero è un aiuto prezioso per mantenere sotto controllo quelle inclinazioni sessuali che sono preoccupanti, o persino spaventose, almeno per alcuni.”
Cozzens non afferma di sapere con certezza se questa teoria di Boswell è corretta, ma io personalmente trovo sia una teoria sensata. Ovviamente, per la gran parte degli uomini cattolici che sono gay o confusi sulla propria sessualità ma che vogliono anche seguire l’insegnamento della Chiesa, il sacerdozio appare più allettante di una vita falsa da uomo sposato o di una vita solitaria da uomo single. Può anche essere che gli uomini gay siano particolarmente adatti al lavoro del sacerdozio (anche se ammetto che ciò sconfina nel campo degli “stereotipi positivi”, e la questione dovrebbe piuttosto essere affrontata dagli stessi cattolici LGBTQ).
In ogni caso, idealmente, il sacerdozio offre un’opportunità – così come la offre agli uomini eterosessuali – di sublimare in modo sano il desiderio sessuale nella cura delle anime e nel servizio alla comunità. Fintanto che si tratta di una sublimazione autentica del desiderio e non una sua repressione grossolana con poche probabilità di durata nel tempo, la situazione è sostenibile. Non c’è motivo per cui la presenza di uomini gay casti nel sacerdozio debba destare preoccupazione nei fedeli. Tuttavia, per giungere alla comprensione di questo concetto sono necessari trasparenza e dialogo sulla questione, cose quasi totalmente assenti nella Chiesa al giorno d’oggi. Quando scoppia uno scandalo, ciò sembra portare le persone gay a nascondersi ulteriormente, per un motivo comprensibile: nessuno vuol essere il bersaglio di omofobi organizzati dotati di piattaforme mediatiche.
La mancanza di trasparenza sull’argomento del clero omosessuale significa che l’immaginario cattolico di oggi contiene una serie di stereotipi distorti del “prete gay” che suoneranno familiari a chiunque abbia l’ardire di spulciare fra i social media cattolici. I preti gay vengono spesso raffigurati come potenziali predatori sessuali e pedofili, come infiltrati che cercano di liberalizzare la Chiesa, o come “rischi per la sicurezza” che potrebbero vendere la Chiesa a ricattatori comunisti. Questi stereotipi negativi sono ormai così normalizzati che a volte persino gli organi di stampa cattolici relativamente tradizionali ne fanno uso indiscriminatamente.
In questa atmosfera cattolica tesa, sempre pervasa da un vago timore riguardo alla minaccia dell’omosessualità, c’è un’abbondanza di opportunità per coloro che vogliono causare un panico morale per motivi ideologici. Un esempio di panico di questo tipo è ciò che è accaduto con la famigerata testimonianza dell’arcivescovo Viganò nel 2018, che arrivò alla fine di un’estate in cui la Chiesa stava cercando di digerire le rivelazioni sui gravi reati sessuali dell’allora cardinale Theodore McCarrick.
Da molti punti di vista, McCarrick era per Viganò la figura perfetta a cui attaccarsi, visto che egli sembrava la personificazione di molti degli stereotipi gay negativi menzionati in precedenza. Egli era accusato da fonti credibili di aver abusato sessualmente sia di uomini adulti che di minori, era descritto come un nemico “liberale” nel contesto del cattolicesimo conservativo per aver presumibilmente manipolato l’USCCB (Conferenza Episcopale degli Stati Uniti) nella questione del rifiuto della comunione ai politici cattolici favorevoli all’aborto, e aveva anche un ruolo attivo nelle relazioni del Vaticano con la Cina, quindi una potenziale influenza sull’accordo Vaticano-Cina annunciato nel 2018.
Predatore, infiltrato liberale e a “rischio per la sicurezza”: le aveva tutte. Tuttavia, ciò che dette grande potere alla testimonianza di Viganò non fu semplicemente il fatto che egli condannava McCarrick e tutti coloro che avevano chiuso un occhio sulla sua condotta, ma anche il fatto che Viganò pose McCarrick quasi in cima a un grande complotto di omosessuali nel clero, mettendo così in moto le paure e i pregiudizi dei cattolici in modo molto intenzionale. Nella sua lettera di testimonianza, dopo aver chiesto le dimissioni di tutti coloro che avevano coperto McCarrick o avevano tratto beneficio da lui (compreso papa Francesco), Viganò sposta l’attenzione su ciò che vede come un problema più ampio:
“Ma ciò non sarà sufficiente per sanare la situazione di gravissimi comportamenti immorali da parte del clero, vescovi e sacerdoti. Occorre proclamare un tempo di conversione e di penitenza. Occorre ricuperare nel clero e nei seminari la virtù della castità. Occorre denunciare la gravità della condotta omosessuale. Occorre sradicare le reti di omosessuali esistenti nella Chiesa, come ha recentemente scritto Janet Smith, Professoressa di Teologia Morale nel Sacred Heart Major Seminary di Detroit. Queste reti di omosessuali, ormai diffuse in molte diocesi, seminari, ordini religiosi, ecc., agiscono coperte dal segreto e dalla menzogna con la potenza dei tentacoli di una piovra e stritolano vittime innocenti, vocazioni sacerdotali e stanno strangolando l’intera Chiesa.”
Alcuni benintenzionati (specie coloro che non avevano letto per intero la sua lettera) erano disposti a dare a Viganò il beneficio del dubbio e a chiedere che le sue affermazioni fossero investigate, ma senza dubbio altri pensarono che l’intervento di Viganò avesse dato la perfetta opportunità per rivelare una volta per tutte i “tentacoli della piovra” della Mafia Color Lavanda. Così, quando il Vaticano ha annunciato che avrebbe iniziato un’inchiesta sul caso McCarrick, i social media si sono riempiti di grida al suono di “pubblicate l’inchiesta!”.
Sappiamo tutti cosa è successo in seguito. Viganò si è addentrato sempre più nel regno dei complotti e del tradizionalismo anti-Vaticano II, si è schierato a favore del movimento MAGA e dei complottisti del COVID, e ha finito per perdere ogni credibilità agli occhi di tutti i cattolici sani di mente.
Il Rapporto McCarrick, quando è arrivato, si è rivelato essere un documento di investigazione meticolosa ma sostanzialmente deludente, nel senso che non forniva nessuna prova dell’esistenza di tentacoli di una piovra ma solamente la saga tristemente familiare di una superstar clericale che aveva approfittato del suo status per sfruttare e molestare sessualmente altre persone.
Fino alla pubblicazione dell’inchiesta, tuttavia, il mito della Mafia Color Lavanda era vivo, e le soffiate regolari di Viganò fornivano materiale senza sosta per gli imbroglioni laici e per gli spacconi clericali che traggono vantaggio dalla paura e allontanano la gente dal papa e dalla Chiesa. Nel frattempo, i reali problemi sistemici nella Chiesa che hanno alimentato la crisi degli abusi – in particolare il clericalismo e soprattutto la formazione di movimenti pericolosi attorno a figure clericali carismatiche – erano per lo più ignorati.
A meno che non cambi qualcosa, ci saranno sempre più Paure Color Lavanda nella Chiesa. Esisteranno sempre quelli pronti ad alimentare gli stereotipi gay del predatore, del pedofilo, dell’infiltrato e del “rischio per la sicurezza”. Parte della colpa va a coloro che sono abbastanza spregiudicati da giocare con le paure della gente, ma un’altra parte è da attribuire alla stessa Chiesa istituzionalizzata che tenta di mantenere una visione idealizzata del clero e scoraggia discussioni oneste sulla presenza dell’omosessualità nella Chiesa e sul legame intimo, ma profondamente conflittuale, tra l’omosessualità e la cultura e la tradizione cattoliche.
Nel 2000, Cozzens ho osservato che il silenzio persistente sulla questione dell’omosessualità nel clero costituiva una grave minaccia per la Chiesa:
“La crisi spirituale del sacerdozio, e per estensione, la crisi spirituale della Chiesa, è in parte una crisi dell’orientamento [sessuale]. Prima o poi la questione verrà affrontata in maniera più diretta di come sia stata affrontata negli ultimi decenni del ventesimo secolo. Più a lungo ciò viene rimandato, maggiore sarà il danno per il sacerdozio e per la Chiesa.”
Ora stiamo assistendo al danno causato da tale silenzio.
Testo originale: Catholic Media and the Circus of Homophobia