Il cammino delle persone LGBTQ+ e dei loro genitori per ritornare dall’esilio (Isaia 35,1-10)
Riflessioni bibliche su Isaia 35, 1-10 di don Fausto tenute a “Camminando s’apre cammino” ritiro per cristiani LGBT+, i loro genitori e gli operatori pastorali che li accompagnano (Sestri Levante 24-26 giugno 2022)
Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio.
Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti.
Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”.
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie. Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa; nessun impuro la percorrerà.
Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere e gli ignoranti non si smarriranno. Non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà. Vi cammineranno i redenti.
Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto. (Isaia 35,1-10)
I capitoli 34 e 35 sono più legati alla seconda (40-55) e terza (56-66) parte del libro che chiamiamo del “profeta Isaia”. Anticipano la tematica del ritorno e probabilmente risalgono al tempo del cosiddetto “post-esilio”, il tempo del ritorno e della ricostruzione, in cui si ricominciava col tentativo di una maggiore fedeltà alla Legge.
Presenta una visione che racconta al presente, quanto può essere ancora solo sperato e accolto come una promessa. Sono versetti molto potenti che richiamano dolore, perdita di fiducia insieme a conferme, speranze, sogni, promesse.
Il tempo dell’esilio
L’esilio, così come ce lo racconta la Scrittura, era stato la perdita della terra a causa della “dimenticanza” della legge: lontani dalla legge e perciò lontani da quella terra, che Dio aveva promesso ad Abramo come benedizione e a Mosè come la terra fecondata dalla legge della giustizia di Dio.
Eppure l’esilio per il popolo, sotto la guida dei profeti si trasforma in quel luogo sorprendente, dove si matura un po’ alla volta la nuova esperienza di un “Dio diverso” e di una “Legge diversa”. E questo era accaduto nel meticciato delle nazioni pagane: come all’inizio del proprio percorso di persone LGBTQ+ e di genitori ci si è trovati in una ambiente esistenziale percepito ancora come sconosciuto ed estraneo.
Si è provata l’amarezza per le persone lasciate e le situazioni che garantivano sicurezze, quei legami che sembravano garantiti. È stato un cammino di esilio a qualcuno imposto, per altri spontaneo: un esilio non solo dalla comunità, ma da una certa religiosità, da una “certa Legge” divina, da un modo di riconoscersi cristiani.
Ritornare alla vita
Quello sembrava il tempo della lontananza, della “impurità”, della incomprensione inaspettata verso quel Dio che prima sembrava così chiaro nelle sue indicazioni. Invece si preparava un tempo nuovo di ritorno. Si sperimentava una Provvidenza “diversa”, non conosciuta prima, fatta di contatti, incontri, siti visitati, testi che inauguravano nuove vie e nuove amicizie. Dio aveva già seminato in quei campi nuovi e bisognava chinarsi, sudare, scovare, ferirsi, sperare sopra le forze.
Quell’esilio esistenziale, personale e comunitario a poco a poco da deserto si è trasformato in un gioioso villaggio, in un nuovo Sinai, luogo di incontro im-mediato nella intimità, faccia a faccia con Dio. Lì una Legge nuova di vita e di discepolato ci è stata consegnata; lì, ciascuno e ciascuna ha stretto una alleanza nuova con il suo Signore.
È stata la “Galilea” di tanti di noi, dove ci era stato dato un appuntamento prezioso e determinante, per imparare che Dio non è estraneo a niente dell’umano, a niente della nostra concreta personale umanità. Lì, in quella periferia si è imparato che Dio ama il “meticciato” della vita, purché ci sia passione, amore, affidamento, trasparenza.
Quella che era stata la via dell’esilio si trasforma ancora una volta in una nuova via di esodo, di liberazione, di rinascita! E non sempre ce ne rendevamo conto tra le “lacrime” che annebbiavano la vista del cuore! Eppure quelle stavano silenziosamente fecondando, battezzando, la terra, la carne, la vita.
I versetti del capitolo 35 di Isaia sembrano tutti concentrati sui segni di questa rinascita. Le immagini vanno dalla aridità, la steppa, la terra bruciata, il deserto alla fioritura, ai profumi, alla sovrabbondanza dell’acqua, ad una fertilità rigogliosa; nell’esilio dala sua lontananza si apre una “via santa”.
Non ci sarà alcune “impuro”: e ci viene da pensare che nessuno sarà più considerato tale ed escluso. Si presentano l’uno dopo l’altro i segni messianici della guarigione e del giubilo, della gioia. Non ci saranno “bestie feroci”: non più regole o ideologie introiettate a dettare legge e spaventare, ad intristire la vita. È l’esultanza che prelude al Magnificat dove il ribaltamento comincia dai “poveri di Dio”, i “poveri in spirito”.
La terra, prima riarsa, ora fiorisce e spande profumo: questa terra feconda è la “carne”, il corpo stesso di coloro che si sono rimessi sulla strada del ritorno nella fiducia in quel Dio dal volto e dal nome nuovi, conosciuto durante il tempo dell’esilio.
“Col sole in fronte”
La “carne”, la vita di quanti hanno attraversato l’esilio ora diventa “benedizione”, perché porta in sé l’azione liberante di Dio, gliela si legge in fronte!!! Hanno visto il volto di Dio e la loro pelle è diventata luminosa, perché riflette quella luce, come era accaduto a Mosè. Sono diventati un popolo, che illumina sentieri nuovi.
Ritornare a “casa”
Cosa significa per questi “esiliati” “tornare a casa”? Non è un “ritorno alla normalità”, cioè alla “norma” che prima dettava legge; non è un ritorno “come se nulla fosse accaduto”; non può essere neppure un ritorno nella rivendicazione, perché il Dio che si è sperimentato è inevitabilmente un Dio che mette la prova della genuinità della fede nella capacità di riconciliazione e comunione.
E io “ritornato” cosa dico? Tante sono state le voci di chi diceva: “chi te lo fa fare?”, “dovrai adattarti, rinunciare, piegarti”! Ma tra tutte una voce tenace è risuonata, ha riempito ancora. Il cammino dell’esilio iniziato “piangendo”, diventa danza, perché si “viene con gioia” (Sal 126).
Era una voce che sussurrava la propria liberante verità personale, una voce che aveva scelto di abitare la profondità del cuore e chiamava ad una esistenza vera, nel tempo e nell’ambiente in cui si è stati posti: precisamente quella Galilea lì! Era una voce di pienezza già sperimentata e che di nuovo rilanciava la promessa; una voce che andava e va al ritmo dei tempi di Dio e della sua pazienza con ciascuna e ciascuno.
E la voce prospettava la possibilità di amare con un “più” di consapevolezza: quella di chi nel deserto ha visto come il Signore ha portato con più tenerezza più delicata di come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino compiuto (cf Dt 1,31); una rinnovata possibilità di amare capace ora di lode e non di “offerte e sacrifici”.
L’acqua dello Spirito pervade le fibre e fa germogliare “cose nuove” e conduce ad interpretare e tradurre il comandamento “antico e sempre nuovo” dell’amore con il proprio unico e personale linguaggio di parole, gesti, scelte che sgorgano dall’amore di Dio ri-conosciuto nel tempo dell’esilio. E la legge dell’amore trova il suo linguaggio per esprimere sponsalità, servizio, paternità e maternità insieme alla fecondità con le sue innumerevoli sfumature.
La fioritura sboccia e i frutti maturano quando la vita è gettata nel campo mai finito di coltivare della comunità.
Riconoscere una missione affidata
Un’immagine può aiutare: l’autotrapianto. Quella parte di popolo che tornava dall’esilio aveva maturato una fiducia nuova in Dio, lo aveva conosciuto ancora. Era gente che apparteneva al popolo, che ora tornava arricchita nella capacità di riconoscere Dio nella storia e nel proprio percorso. Erano membri del popolo che con questa consapevolezza portavano una vera e propria iniezione di Spirito.
L’esperienza si ripropone ancora oggi: nella carne viva di quanti ricercano comunque la comunione con tutta la comunità riconosciamo le “membra” di quell’unico corpo della chiesa. Il ritorno assomiglia ad un “autotrapianto”, che porta fede nuova e un ascolto nuovo della legge. Questa missione si compie in quanti possono dire: “noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi” (1Gv 4,16), “pronti sempre a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza” (1Pt 3,15).
Con la dolcezza di Dio provata sulla propria pelle si torna ad abitare pienamente la chiesa e la chiesa può imparare ad abitare la “Galilea” e a riconoscerla come casa, forsanche come tempio vero a cui conduce la nuova “via santa”.
L’autotrapianto non è “a costo zero”. Ciascuno ha attraversato il proprio “crogiuolo”, è stato purificato, impreziosito. È il prolungarsi del processo che “completa” le sofferenze di Cristo (Col 1,24), non per una triste spiritualità del dolore e del sacrificio fini a se stessi, ma perché anche il Cristo “bisognava patisse” (Lc 24,26), per trasformare la morte in vita, lui l’escluso che accoglie.
È il processo pasquale di morte e risurrezione che si realizza nel sacramento dei nostri corpi, nella nostra carne, nei nostri cuori rinati; nel sacramento dei nostri vissuti e dei nostri gesti. E come tutti i sacramenti non sono per chi li riceve, ma per l’edificazione di tutto il corpo. Ci è affidata una missione, che non è rivendicazione, ma “racconto vivo” e “fertilizzante”, pane condiviso, benedizione, acqua dello Spirito, affinché il volto di tenerezza che Dio ha mostrato sia per tutti e la legge nuova dell’amore apra una nuova “via santa” verso la liberazione che il Signore compie ancora oggi: perché il “ritorno” a Dio sia di tutti e con tutti.
Un testo liturgico ci riporta la presenza dell’azione liberante di Dio con la sua legge nuova: un prefazio dell’Eucaristia.
Prefazio comune VII
Dio dell’alleanza e della pace.
Tu hai chiamato e fatto uscire Abramo dalla sua terra,
per costituirlo padre di tutte le genti.
Hai suscitato Mosè, per liberare il tuo popolo
e guidarlo alla terra promessa.
Nella pienezza dei tempi
hai mandato il tuo Figlio,
ospite e pellegrino in mezzo a noi,
per redimerci dal peccato e dalla morte;
e hai donato il tuo Spirito,
per fare di tutte le nazioni un solo popolo nuovo
che ha come fine il tuo regno,
come condizione la libertà dei tuoi figli,
come statuto il precetto dell’amore.
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