Il futuro del cristianesimo. Intervista al biblista Marcus Borg
Intervista di Deborah Arca a Marcus Borg tratta dal blog Patheos (Stati Uniti), del 19 ottobre 2012, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
Marcus Borg (biblista e scrittore statunitense) è la ragione per cui mi sono innamorata di nuovo di Gesù. In realtà non mi sono mai disamorata di Gesù, perché in primo luogo non mi ero mai innamorata veramente di lui.
Certo, sono stata allevata da cristiana, amavo la mia chiesa, mi sono confermata, ho frequentato il gruppo giovanile e apprezzavo moltissimo Dio e il suo desiderio che ci amassimo e ci prendessimo cura del prossimo, ma a dire la verità non avevo mai avuto chissà quale rapporto con la persona di Gesù, in particolare con il “Salvatore che è morto per i nostri peccati”; questo era stato il mio concetto prevalente di Gesù fino a quel momento.
Così, quando a 30 anni ho preso una copia del best-seller di Marcus Borg “Meeting Jesus Again for the First Time”, sono rimasta sorpresa di sentirmi scaldare il cuore. Qui tornava in vita un uomo a tre dimensioni che ha vissuto in un particolare periodo e in una determinata comunità, ha lavorato, pregato, amato, si è arrabbiato, si è ritirato in solitudine, ha festeggiato, ha mangiato e bevuto con amici ed estranei. Era davvero… umano.
Eppure ha anche guarito, ha ascoltato attentamente, ha assegnato nomi alla gente, ha servito, e alla fine ha dato la sua vita per il suo profondo coinvolgimento verso il suo Dio e i suoi amici. Davvero… divino.
Finalmente avevo trovato l’uomo Gesù! Era uno di noi, eppure molto di più: un’espressione incarnata della divina saggezza e compassione di Dio. Un saggio; una “via”. Ecco qualcosa che potevo seguire e in cui potevo credere. Così mi sono innamorata di Gesù e del cristianesimo forse per davvero, per la prima volta.
Non sono la sola ad essere rinata così. Infatti Borg, uno dei più eminenti studiosi su Gesù del nostro tempo, ha influenzato e attratto numerosissimi cristiani delle Chiese storiche con la sua opera sul Gesù storico e la Bibbia. Ha firmato venti libri, tra cui “The God We Never Knew, Speaking Christian” e il best-seller “Reading the Bible Again for the First Time, and The Heart of Christianity“. Il suo libro più recente è “Evolution of the Word”, nel quale i libri del Nuovo Testamento sono presentati nell’ordine cronologico in cui sono stati scritti (lo sapevate che l’Apocalisse non è in realtà l’ultimo?).
È apparso in “Today Show“ e “Dateline” della NBC, in“Evening News” e “Prime Time” della ABC e “Newshour” e “Fresh Air” della PBS, con Terry Gross. Secondo molti, l’approccio storico e metaforico di Borg al linguaggio biblico e cristiano ha fatto di lui la più importante voce del cristianesimo contemporaneo, guadagnandogli legioni di ammiratori e di critici.
Così ero eccitatissima quando, alcune settimane fa, ho incontrato Borg per la prima volta. Era in città su invito dell’Alleanza Cristiana Progressista del Colorado, un’organizzazione relativamente recente di chiese protestanti dell’area di Denver che hanno in comune la passione per un’espressione di fede progressista nelle loro comunità, nello stato e nel mondo. L’argomento della conferenza era semplicemente (o forse non tanto): “Cos’è il cristianesimo progressista?”.
Dopo averlo sentito parlare per diverse ore, ho capito perché è stato la voce più importante dei cristiani progressisti per così tanti anni. Borg presenta un’irresistibile visione del cristianesimo solidamente radicata nel contesto storico, e in quanto tale, una visione molto più luminosa e potente del “cristianesimo comune” di una generazione o due fa, che rimane l’approccio dominante oggi. La fede di Borg è contagiosa così come la sua chiara passione nel rieducare gli altri a innamorarsi di nuovo della propria fede.
Ho avuto l’opportunità di passare un po’ di tempo con Borg alla fine della conferenza e lui ha risposto gentilmente ad alcune domande sul significato del cristianesimo progressista, sul ruolo del cristiano in politica, il futuro della Chiesa, e quali pratiche spirituali lo hanno portato più vicino a Dio. Ecco la nostra conversazione.
– Qual è, per Lei, il cuore del cristianesimo progressista?
Fino a un certo punto, i cristiani progressisti sono stati definiti in maniera negativa. E l’abbiamo fatto da soli, non è che gli altri hanno detto cose cattive su di noi. Abbiamo detto molte volte di essere “non letteralisti” e “non esclusivisti”. Queste sono le due più grandi negazioni.
Ma, per porla in modo positivo, il cristianesimo progressista prende molto sul serio il fatto che il cristianesimo è una trasformazione a due facce, di noi stessi come individui e del mondo creato dagli esseri umani, che il più delle volte è stato un mondo di dominio, ingiustizia e violenza – non necessariamente la violenza dei criminali ma la violenza della guerra e così via. Quindi il cristianesimo progressista ha la passione della trasformazione qui e ora, anche se riconosciamo che tale trasformazione è a lungo termine, non qualcosa che si può compiere nel giro di una generazione.
E non conta molto ciò che accade dopo la morte. Non che tutti i cristiani progressisti siano scettici sull’aldilà, ma per quanto mi riguarda sono ben felice che sia Dio a occuparsi di cosa accade dopo la morte. Inoltre, non ho idea di come qualcuno possa sapere cosa c’è dopo, e non possiamo far sì che qualcosa sia vero credendoci.
Quindi se qualcuno dice “Io credo nel Paradiso”, molto bene, tu credi nel Paradiso, ma questo non ha niente a che fare con il fatto che esista o no. L’energia del cristianesimo progressista non riguarda il credere qualcosa adesso per poter avere una ricompensa dopo, e neanche essere virtuosi adesso per poter avere una ricompensa dopo, bensì l’essere completamente presenti, per quanto possibile, a questa vita, ed essere aperti al movimento dello Spirito sia in noi stessi che nella nostra società, e cercare di partecipare a quel movimento dello Spirito.
Qualche volta parlo del cristianesimo come della partecipazione alla passione di Dio… e non mi riferisco alla sua sofferenza, che è uno dei possibili significati di “passione”… ma il partecipare a ciò di cui Dio è appassionato, ovvero l’intera Creazione. In un certo senso non dobbiamo preoccuparci tanto della natura. Ecco le restrizioni: la natura agirà bene per suo conto se non la disturbiamo, e ora naturalmente la stiamo disturbando, ma la passione più forte del Dio della Bibbia è la trasformazione del mondo creato dagli esseri umani per farne un mondo più giusto, compassionevole, pacifico.
– Allora, eccoci in mezzo alla contesa elettorale, che deciderà molto del nostro futuro. Alla luce di quanto ha appena detto, qual è la nostra responsabilità di cristiani progressisti nel sistema politico? È d’accordo sul fatto che siamo “nel mondo, ma non del mondo”?
Mi piace molto questo motto del Vangelo di Giovanni, essere “nel mondo, ma non del mondo”. Secondo il concetto che me ne sono fatto, avere il proprio centro in Dio significa avere un centro che va più in profondità di quanto faccia il mondo creato dagli esseri umani, e nello stesso tempo essere appassionatamente coinvolti in quel mondo.
Come minimo, in queste elezioni, e in ogni tornata elettorale – ma in particolare quando c’è una grossa posta in palio -, in una democrazia, la responsabilità minima del cristiano è votare. Rinunciare a votare perché “non si devono mischiare religione e politica” vuol dire in pratica consegnare il mondo a chi vorrebbe manipolare il sistema nel suo proprio interesse.
In queste elezioni mi è molto difficile accettare che qualcuno che conosca un po’ la Bibbia e che la prenda sul serio assieme a Gesù, possa votare per una serie di provvedimenti che in pratica privilegiano i ricchi e che mantengono o aumentano il budget militare del Paese. Siamo già un Paese potente come il resto del mondo messo assieme, e suggerire che dovremmo spendere di più in armamenti… a cosa pensa la gente quando pensa questo? Forse siamo diventati una società così basata sulla paura che fa appello alla paura della sicurezza, vista da alcuni strateghi politici come una tecnica di consenso efficace?
Ci sono molte cose sulla direzione economica centrale e sulle politiche militari centrali del nostro Paese che, come cristiano, trovo inaccettabili. E probabilmente non c’è bisogno che dica “Questo vuol dire che dovrete votare i democratici”.
– Lei ha un’attività di scrittore e conferenziere che dura da 40 anni. Quali mutamenti ha avuto modo di notare durante questi anni? Perché i cristiani progressisti sono perlopiù invisibili come movimento, non si sente la loro voce nel panorama cristiano?
Negli ultimi 20 anni ho visto, all’interno della Chiesa, crescere il desiderio di un orientamento simile, che venisse chiamato cristianesimo progressista o meno. La ragione per cui dico questo è in parte una riflessione sul numero di inviti che riceviamo io e altri che conosco bene come Diana Butler Bass, John Crossan, Joan Chittister e Karen Armstrong.
Tutti noi riceviamo più inviti a parlare di quanti ne possiamo soddisfare. E poi ci sono le vendite dei libri. I libri degli autori cristiani progressisti hanno molto mercato. Probabilmente non quanto gli autori conservatori. Ma penso che questo desiderio stia crescendo. Diana Butler Bass parla, in uno dei suoi libri, di questa nuova forma di cristianesimo che è diventata pubblicamente visibile nei primi anni ’90.
E allora perché siamo ancora perlopiù invisibili? Una delle ragioni è che gran parte delle congregazioni delle Chiese storiche, senza pensarci molto, hanno cercato di comprendere nel proprio seno progressisti e conservatori. Mettendola in maniera meno positiva, hanno cercato di evitare il conflitto. Molte tra loro non sono disposte a rischiare di offendere qualche membro.
Così hanno continuato a elaborare un minimo comun denominatore, una forma di cristianesimo piuttosto convenzionale… perché non volevano essere come la Destra Cristiana.
Quindi non creiamo difficoltà… altrimenti rischiamo di perdere membri. E tutto questo è successo in un periodo in cui i membri delle Chiese storiche sono diminuiti. Se questi membri fossero cresciuti negli ultimi 40 anni, avrebbe potuto esserci una maggiore volontà ad assumere delle posizioni pubbliche che avrebbero allontanato alcuni.
E poi, una ragione ovvia: non abbiamo stazioni radio, non abbiamo reti televisive. E qualcuno potrebbe chiedere “Ma perché?” Be’, non so se useremmo bene queste risorse. Ma in termini di visibilità pubblica, siamo molto indietro alla Destra Cristiana.
– Cosa ci manca per reclamare il nostro spazio nell’agorà pubblica?
Alcune congregazioni attuali forse sono abbastanza forti per cominciare a definirsi come comunità cristiane progressiste in quanto parte della loro identità, senza preoccuparsi di perdere un certo numero di membri da cui dipende la loro autosufficienza economica. Non so quante congregazioni sarebbero disposte a farlo.
Ma è un modo per acquistare visibilità. In secondo luogo, credo che in futuro – dico tra 10 o 30 anni – nasceranno sempre più piccole comunità cristiane che non vorranno possedere un edificio ma vorranno utilizzare uno spazio abbandonato e che probabilmente non avranno un clero a tempo pieno e stipendiato.
E quelle comunità troveranno molto facile appropriarsi di una certa identità perché non ci saranno impedimenti economici a farlo. E sarà in un certo modo un ritorno alle primissime forme di cristianesimo: comunità piccole e intime di volontari impegnati.
Poi penso a degli aneddoti. Sono molto grato del fatto che ci fosse una presenza cristiana durante le manifestazioni di Occupy Wall Street, specialmente a Manhattan ma anche in altri luoghi, che ci fossero membri del clero o studenti di teologia liberali e progressisti, che indossavano i loro contrassegni e fornivano studi biblici, l’eucarestia, qualsiasi cosa.
È un buon esempio di ciò che stavamo discutendo oggi, unirsi ai movimenti di giustizia sociale della nostra cultura in maniera visibile.
– Sono stati scritti numerosi libri sul futuro del cristianesimo. Se Lei dovesse scrivere il Suo libro sul “futuro della fede”, come lo intitolerebbe?
Be’, è già stato usato da Elaine Pagels. Doveva essere il titolo delle mie memorie – che non scriverò – e doveva essere “Oltre la fede”. Oltre la fede, verso la relazione, la trasformazione…
– Cosa ne dice di “Da credere ad amare”, a cui ha accennato durante la conferenza?
Sì, amare Dio… quando pensiamo alle radici bibliche di questo atto… il Grande Comandamento non è “Crederai al tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” ma “Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Allora, parlando di cristianesimo come di “amare” Dio… forse non siamo abbastanza biblici?
Credere non ti trasforma gran che. Tu puoi credere ed essere sempre arrabbiato, folle e così via. Prima del 1600 la parola inglese “credere” (believe) non aveva il significato di dare per vere delle asserzioni, degli insegnamenti o delle dottrine. L’oggetto diretto del verbo era sempre una persona; “credere” significava ciò che noi intendiamo per “amare” (belove). “Amare” è farsi coinvolgere in qualcosa, impegnarsi in qualcosa. Noi siamo cambiati da ciò che “amiamo”.
– Molta gente dice che la Chiesa maggioritaria dovrà morire perché possa nascere qualcosa di buono. Cosa ne pensa?
Il telefono senza fili mi dà delle previsioni che dicono che, tra 25 anni, il 40% delle congregazioni delle Chiese storiche non esisterà più perché saranno diventate troppo piccole per mantenere un pastore e un locale, o perché tutti i membri saranno morti. Penso che della trasformazione farà parte un numero crescente di piccole comunità di volontari molto coinvolti che non necessariamente avranno un clero stipendiato o una sede fisica.
Ma, mio Dio, invece di pensare che la Chiesa sta scomparendo, vale la pena ponderare il fatto che una comunità relativamente piccola di persone molto motivate può talvolta avere un impatto molto più profondo di una grande comunità convenzionale. Una comunità convinta di 100 persone può ottenere di più di una comunità convenzionale di 1.000 persone.
Per fare un altro esempio, e perdonatemi se parlo di me stesso, mia moglie e io contribuiamo con circa 10.000 dollari all’anno alla nostra chiesa locale. E conosciamo forse venti coppie che contribuiscono all’incirca con la stessa cifra.
Ora, immaginate che nemmeno un centesimo vada alle spese per i locali e per gli stipendi. Non mi aspetto certo che queste piccole comunità del futuro saranno tutte così ricche da fare simili contribuzioni, ma il mio sospetto è che un buon 90-95% della maggior parte dei budget delle chiese di oggi vada all’istituzione e alle sue spese, il che include i contributi alla sede centrale, i locali, lo staff e così via.
Così queste piccole comunità del futuro forse elimineranno gran parte di queste spese, quindi la possibilità di fare qualcosa di significativo sul territorio, o di sostenere gruppi che fanno qualcosa di significativo, sale di molto.
– Ho scritto su Facebook che avrei parlato con Lei questo fine settimana, e ho invitato a proporre delle domande. Una che è stata proposta da diverse persone è questa, qual è la Sua pratica spirituale? Come prega?
Ho la gran fortuna di avere un lavoro che mi impone di passare molte ore al giorno a leggere, pensare e scrivere su Dio, Gesù e il cristianesimo, e non saprei se dare maggiore dignità alla cosa dicendo che è una pratica spirituale del tutto deliberata, ma penso che abbia alcuni degli effetti tipici di una pratica spirituale.
Già solo essere, se volete, “conscio” di quello, per gran parte del giorno.
In secondo luogo cerco di ricordare, e di solito mi riesce di – voglio usare un verbo migliore – parlare a Dio più volte nel corso della giornata.
E posso farlo in silenzio, ma posso farlo anche ad alta voce se sono solo, e per me questo ha l’effetto di riportarmi alla mente la presenza del sacro… e il mio desiderio sempre più profondo di avere come centro Dio, il sacro. Io penso che la nostra relazione con Dio sia in un certo modo come una relazione umana. Come si approfondisce una relazione umana, come la si fa crescere? Prestandole attenzione, dedicandole del tempo, essendo presenti all’altro.
Ci sono anche degli esercizi di “attenzione” che uso in particolare quando sono in giro. Presto attenzione a come sento l’aria – è secca, è umida, piovono cani e gatti?
La temperatura dell’aria… tutto questo è un modo per tenermi nell’immediatezza del presente. Guardo il cielo, se è sgombro forse non c’è molto da vedere, ma lo noto. Se è nuvolo o coperto, fare attenzione a come si presentano le nubi. Tutto questo fa parte di ciò che chiamerei un esercizio di “attenzione” che cerco di fare ogni mattina.
– Legge la Bibbia da credente, oltre che da studioso?
Raramente. Sono più incline a leggere il “Libro della preghiera comune” [il lezionario della Comunione Anglicana n.d.t.], che naturalmente contiene molti passi biblici, specialmente dai salmi, e usa il linguaggio biblico. Non ho nulla contro la lettura devozionale della Bibbia, è solo una cosa che non mi viene in mente di fare.
– Il Suo ultimo libro si chiama “Evolution of the Word: The New Testament in the Order the Books Were Written” (L’evoluzione della Parola: il Nuovo Testamento nell’ordine in cui i libri sono stati scritti). Ci può dire qualcosa?
Per quanto io e il mio editore ne sappiamo, è una cosa che non è mai stata fatta prima. Eppure in un certo senso è una cosa così ovvia! Voglio dire, gli studiosi scrivono da anni su quali sono i documenti più antichi, ma un Nuovo Testamento che lo fa davvero penso sia una cosa nuova. Ecco alcune cose interessanti: i libri più antichi sono le sette lettere di mano di Paolo; Marco è il primo Vangelo; Luca probabilmente l’ultimo.
Il libro dell’Apocalisse sta a metà strada (al numero 14 su 27 libri). E non solo questo è piuttosto sorprendente per il pubblico, ma ha anche delle conseguenze interessanti su come consideriamo i documenti. Il Nuovo Testamento che tutti conosciamo finisce ovviamente con il libro dell’Apocalisse, detto anche Rivelazione, e questo suggerisce che stiamo ancora cercando di capire a quale rivelazione si riferisce. È quasi come se la Bibbia avesse un finale aperto: “Sì, ritornerà!”.
Ma se metti l’Apocalisse al numero 14, allora be’, questo ci dice che l’autore ha scritto ad alcune comunità cristiane verso la fine del primo secolo e che si aspettava che quello che ha scritto accadesse presto, e ovviamente non è accaduto.
È diverso quando all’ultimissima riga della Bibbia c’è scritto “Amen. Vieni Signore Gesù!”. Sono molto curioso di vedere cosa succederà con questo libro. L’editore Harper mi ha detto che è partito molto bene. Staremo a vedere.
Mi sembra che ci sarebbe da fare un’altra intervista sul Suo libro. Grazie professor Borg per averci dedicato del tempo oggi.
Testo originale: The Heart of Progressive Christianity: A Q&A with Marcus Borg