Il gesuita James Martin: “Perchè ho scritto Building a Bridge”. Un ponte tra la Chiesa cattolica e la comunità LGBT
Testo del gesuita James Martin* tratto dal suo libro Building a Bridge, ed. HarperCollins (USA), giugno 2017, pp.7-9, libera traduzione di Innocenzo
Nell’estate del 2016, un uomo armato fece irruzione in una discoteca molto conosciuta nella comunità gay di Orlando, in Florida, e uccise quarantanove persone. Fu, allora, la più grande sparatoria di massa nella storia degli Stati Uniti. Milioni di americani risposero a questo evento doloroso esprimendo il loro sostegno alle persone della comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Ma sono stato allarmato da ciò che non ho sentito.
Anche se molti leader della chiesa cattolica hanno espresso il dolore e l’orrore per questo evento, solo una manciata, dei più di 250 vescovi cattolici americani ha usato le parole gay o comunità LGBT. Il Cardinal Blase Cupich di Chicago, il Vescovo Robert Lynch di St. Petersburg in Florida, il vescovo David Zubik di Pittsburgh, il Vescovo Robert McElroy di San Diego ed il vescovo John Stowe di Lexington in Kentucky, hanno espresso una forte solidarietà e il loro sostegno alla comunità LGBT e contro l’omofobia. Tuttavia, molti altri vescovi sono rimasti in silenzio.
Ho trovato questa una situazione rivelatrice. Il fatto che solo alcuni vescovi cattolici hanno riconosciuto la comunità LGBT o, allora, hanno usato la parola gay dimostra che la comunità LGBT è ancora invisibile in molte parti della chiesa cattolica. Anche in questa tragedia i suoi membri sono rimasti invisibili.
Questo evento mi ha aiutato a vedere le cose in modo nuovo, ovvero che l’opera del Vangelo non può essere realizzata se una parte della chiesa è sostanzialmente separata dall’altra parte. Tra i due gruppi, la comunità LGBT e la chiesa istituzionale, si è formata una spaccatura, una separazione su cui deve essere costruito un ponte.
Per molti anni ho accompagnato e lavorato con persone LGBT, la maggior parte dei quali cattolici. Il mio ministero non è si è svolto principalmente attraverso lezioni o seminari, ma attraverso canali più informali. Le persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, nonché i loro genitori e i loro amici sono venuti da me per un consiglio, un parere, per confessarsi o per una direzione spirituale. Dopo le messe, le lezioni o i ritiri, mi chiedevano consigli su questioni spirituali e religiose, mi ponevano domande su questioni legate alla Chiesa o semplicemente condividevano le loro esperienze.
Durante questi momenti ho ascoltato le loro gioie e le loro speranze, i loro dolori e le loro ansie, talvolta accompagnate da lacrime, talvolta da risate. Durante questo cammino, sono diventato un amico per molti di loro. Molti sacerdoti, diaconi, sorelle, fratelli e operatori pastorali della chiesa potrebbero probabilmente dire la stessa cosa.
Ho anche lavorato e conosciuto molti cardinali, arcivescovi, vescovi e altri funzionari e dirigenti della chiesa cattolica. Dopo trent’anni da gesuita e venti anni di ministero sui media cattolici, ho conosciuto i membri della gerarchia cattolica attraverso una varietà di modi, dal parlarci ai convegni o conversandoci a tavola. Sono diventata amico di molti responsabili della chiesa cattolica e mi basto sul loro saggio consiglio e sul sostegno pastorale.
Ma nel corso degli anni ho scoperto un grande divario. Mi dispiace che non esiste più comprensione e dialogo tra i cattolici LGBT e la chiesa istituzionale. Preferisco non fare riferimento a due “parti”, poiché entrambe fanno parte della chiesa. Ma molti cattolici LGBT mi hanno detto che si sono sentiti feriti dalla chiesa istituzionale – non accolti, esclusi e insultati. Allo stesso tempo molti nella chiesa istituzionale vogliono raggiungere questa comunità, ma sembrano un po confusi su come farlo. Sì, lo so che sembra che ci siano alcuni che sembrano non volere questo dialogo, ma tutti i vescovi che conosco sono sinceri nel loro desiderio di fare un vero cammino pastorale.
Negli ultimi tre decenni, come gesuita, parte del mio ministero è stato, informalmente, quello di cercare di costruire ponti tra questi gruppi. Ma dopo i fatti di Orlando, il mio desiderio di farlo si è intensificato.
Perciò quando New Ways Ministry, un gruppo che accompagna e sostiene i cattolici LGBT americani, poche settimane dopo la tragedia di Orlando mi ha chiesto se avrei accettato il loro premio “Bridge Building” (costruire ponti) e fatto un discorso al momento della cerimonia di premiazione. Il nome del loro premio, mi ha spinto a pensare che serve un “ponte a due vie” che contribuisca a far riavvicinare la Chiesa istituzionale e la comunità LGBT.
La maggior parte di questo libro è nata dal discorso che tenni allora, che è stato ampliato in un saggio più ampio. Un testo che vuol esortare la chiesa cattolica a curare la comunità LGBT con “rispetto, compassione e sensibilità” (una frase del Catechismo della Chiesa Cattolica) e la comunità LGBT a ricambiare iflettendo su queste virtù nel proprio rapporto con la chiesa istituzionale.
Ma lasciatemi dire qualcosa d’importante sin dall’inizio. Capisco le difficoltà che molte persone LGBT hanno affrontato nella chiesa cattolica. Tante di loro hanno condiviso con me le loro storie su come sono state insultate, calunniate, escluse, respinte e persino licenziate. Non voglio minimizzare quel dolore. Tuttavia credo che sia importante per la comunità LGBT, come per tutti in realtà, trattare gli altri con rispetto, anche quando la loro chiesa a volte è stata sentita come un nemico. Questo fa parte dell’essere cristiani, anche se è difficile metterlo in pratica.
Questo non significa che non si può criticare e sfidare la chiesa cattolica quando deve essere criticata e sfidata. Ma tutto questo può essere fatto con “rispetto, compassione e sensibilità”. In realtà, il rispetto, la compassione e la sensibilità sono regali sottovalutati per affrontare conflitti e dissensi in generale, doni che possono essere condivisi. Queste virtù possono aiutare non solo i cattolici e i cristiani, ma tutte le persone di buona volontà che cercano di camminare insieme.
* James J. Martin, nato il 29 Dicembre 1960, è un sacerdote gesuita, scrittore e redattore della rivista dei gesuiti America ed ha all’attivo numerosi libri in cui affronta i temi posti dalla fede nella vita quotidiana. Vive negli Stati uniti in una Casa per Gesuiti nel cuore di Manhattan. Il 12 aprile 2017 Papa Francesco lo ha nominato consulente Vaticano del Segretariato per le Comunicazioni.