Il gruppo Gruppo Bethel e don Pietro. Il cammino con un amorevole padre spirituale
Testimonianza di Lidia Borghi del gruppo Gruppo Bethel di Genova, 9 gennaio, 2012
Don Piero Borelli nacque a Fossano (Cuneo) il 17 febbraio 1942. Frate salesiano, venne ordinato presbitero nel 1970, in pieno movimento sessantottino; «All’epoca due soli erano i modi per vivere quell’importante sommovimento sociale – mi confessò un anno fa – da persona laica oppure da prete. Ripensando a quegli anni, ora so che io non avrei potuto affrontarlo se non da religioso…».
Don Piero girò l’Italia fin dagli esordi della sua vita sacerdotale e venne mandato dapprima ad Asti, poi a Torino; quando approdò a Genova, divenne il parroco del Don Bosco e San Gaetano di Sampierdarena, un quartiere che dalla gran parte dell’opinione pubblica è considerato uno dei più rischiosi, a causa dell’alto tasso di malavita presente in esso.
Difficile per chiunque la convivenza in un luogo del genere, a maggior ragione se rapportata al margine di manovra che un frate salesiano come don Piero ha potuto avere nella gestione delle parrocchiane e dei parrocchiani del Don Bosco.
Borelli rimase a Genova dal 2006 al 2011, anno in cui il suo mandato di parroco ebbe a cessare, motivo per cui venne mandato a Vercelli, presso la chiesa del Belvedere.
Cinque anni fecondi, pieni di iniziative personali e di attività il cui scopo era l’accoglienza: che fosse quella riservata alle persone con orientamento omoaffettivo o a quelle separate e divorziate oppure alle immigrate ed agli immigrati del centro e sud America ha poca o nulla importanza; il fine ultimo e supremo di don Piero, un presbitero di frontiera, era quello di applicare alla lettera il comandamento cristiano che recita così: Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Il primissimo suo contatto con il mondo LGBT (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali/transgender) ligure avvenne intorno al mese di febbraio del 2009, a soli quattro mesi dal Genova Pride quando, presa in mano la cornetta del telefono, don Piero compose l’unico numero urbano che riuscì a rinvenire sul web.
Dall’altro capo gli rispose l’allora presidente del circolo Arcigay della provincia di Genova, Francesco Serreli, al quale chiese se fosse interessato a lasciare una testimonianza di fede alle parrocchiane ed ai parrocchiani del Don Bosco, durante un incontro pubblico.
Aggiunse che sarebbe stata gradita pure la presenza di una lesbica cristiana e, di lì a pochi giorni, Serreli contattò l’allora referente donne del circolo LGBT, Laura Ridolfi, la quale accettò di buon grado di prender parte all’incontro.
I miei ricordi diretti di don Piero hanno inizio proprio da qui, da un evento ufficiale che, a causa del delicato tema che sarebbe stato trattato, esigeva cautela da parte del presbitero e la ferma volontà della relatrice e del relatore di non finire in pasto ad un gruppo di persone credenti animate di intenzioni non proprio buone.
Don Piero fece di tutto affinché l’incontro si svolgesse in un clima sereno e – malgrado le voci malevole che nel frattempo avevano cominciato a girare – costruttivo.
Come ho avuto modo di affermare tempo addietro, a fare la differenza, durante quella sera di tardo inverno, furono sia la profonda limpidezza d’animo e il grande amore paterno di un frate che voleva comprendere per accogliere sia le toccanti storie di un gay e di una lesbica cristiani che, ad un certo punto della loro vita, vennero emarginati dall’istituzione della chiesa cattolica.
Quando – passati i clamori di un Pride genovese fatto soprattutto dalla gente comune, che scese in strada per seguire la sfilata finale a braccia aperte e con grande accoglienza delle migliaia di anime altre che affollarono le strade del centro di Genova a fine giugno 2009 – cominciammo a fare un bilancio dei tanti eventi collaterali organizzati, ci rendemmo conto che qualcosa di bello e duraturo aveva avuto inizio, durante quel tardo pomeriggio di febbraio.
Infatti, don Piero contattò di nuovo Laura (o forse fu lei stessa a richiamare il presbitero?) e, in modo del tutto spontaneo, si pensò di mettere su un vero e proprio gruppo di auto-aiuto, coordinato dallo stesso frate salesiano, che fosse in grado di accogliere i gay e le lesbiche liguri che volessero ascoltare la parola dei Vangeli; quella parola sarebbe stata pronunciata e spiegata dall’unica persona che, fino a quel momento, si era messa a nostra totale disposizione con l’animo di un bimbo che vuole imparare per accogliere e non per discriminare.
Così ebbero inizio gli incontri mensili di un circolo di persone che, con il tempo, scelse di darsi un nome: Gruppo Bethel di persone LGBT credenti liguri.
Bethel è la casa di Dio, i credenti sono donne ed uomini cristiani in cammino che, seppur rifiutati dalla chiesa cattolica, hanno acquisito, grazie a don Piero, in questi anni di confronto aperto e sincero, un’unica grande consapevolezza, quella di essere parte – a pieno titolo – dell’ecclesia, di quella comunità di persone cristiane che hanno abbracciato l’amore incommensurabile di Gesù attraverso il battesimo prima e la comunione poi.
A lungo andare mi resi conto di aver trovato ben più di un amico divino, in don Piero. Lui era per me quel padre spirituale che, quando ero poco più di una bimba terrorizzata dalla vita, andavo cercando come l’aria che respiravo e che mi venne negato per pregiudizio.
Quando iniziò ad affrontare il delicato tema dell’omosessualità, don Piero era quasi del tutto ignaro che dietro alle poche storie, spesso drammatiche, da lui raccolte in confessionale, si nascondessero le vite e gli amori di persone uguali a tutte le altre.
Animato da una grande voglia di imparare – attraverso quei racconti di vita – oltre che di cancellare il pesante fardello del pregiudizio che accompagnava quegli individui, un giorno ci confessò che era grazie a noi, alle nostre vicende personali, alle nostre lacrime, che stava riuscendo, infine, a comprendere fin nel profondo che cosa voglia dire essere gay, lesbica, bisessuale o transgender, a riprova del fatto che le testimonianze dirette rappresentano dei piccoli diamanti, preziosi a maggior ragione perché contengono le mille sfaccettature di tante vicende umane che, di diverso, rispetto alle altre, non hanno nulla e che, anzi, con esse hanno in comune la ricerca a volte spasmodica dell’amore.
All’interno di una lunga intervista che riuscì a rilasciarmi nel 2010, don Piero così si espresse, ad un certo punto: «Sarebbe veramente triste se Dio ci avesse generati per poi condannarci in un qualche modo.
Ciò è assolutamente fuori dal mio pensiero! Io credo che l’amore di Dio sia veramente qualcosa di grande, totale, che ingloba tutte e tutti, ciascuno all’interno della sua propria esperienza umana ben precisa».
Don Piero è riuscito nel suo intento laddove decine e decine di esponenti della chiesa cattolica hanno fallito – in Italia – ovvero accogliere chi è considerato diverso da noi, dargli amore, aiutarlo ad integrarsi, ad aprirsi o riaprirsi alla vita ed al dialogo, al fine di dare il via ad una rivoluzione dal basso che, come brace ricoperta di cenere, non attende altro se non la scintilla che la faccia accendere.
Quella rivoluzione è legata a doppia mandata all’amore di Gesù. Esso viene di lontano, ha radici salde che mai potrebbero essere recise.
Queste provengono dal quel Padre misericordioso che sempre accoglie e che mai discrimina.
Questo è l’altissimo insegnamento che don Piero Borelli ha lasciato in eredità al Gruppo Bethel lui che, l’ultimo giorno del 2011, poco dopo le otto del mattino, accingendosi a dare il via al complesso di rituali di fine anno, è morto nella sua stanza.
Il suo cuore fisico si è spento per sempre, lasciando tante persone attonite a piangerne la dipartita. Malgrado ciò, ne sento la presenza dentro di me ogni giorno, ogni ora, ogni minuto.
Egli guida ogni mia azione volta a portare avanti i miei scopi di cristiana, di volontaria ed i attivista dei diritti civili.
Quel padre amorevole animerà sempre e per sempre i pensieri e l’agire del gruppo, che continuerà a riunirsi nel suo nome, anche se dovesse perdere per strada la maggior parte dei suoi esponenti.
Uno dei pensieri che, sovente, avevo il privilegio di udire dalla viva voce del mio padre spirituale, era la seguente: «Io prego che ci sia il giorno in cui ogni persona che vive onestamente la sua vita personale e di coppia, possa essere accolta e non guardata con ignoranza, come avviene, ma accolta e basta. È questo che deve far contente le persone, perché ogni persona è chiamata a realizzarsi e non c’è chi lo può fare e chi no. Questa è la vocazione di tutti.»
Possano le sue parole essere scolpite nelle menti, nei cuori e nelle anime delle donne e degli uomini di buona volontà che, ogni giorno, mettono a disposizione di tutte e di tutti il loro impegno civile, affinché la discriminazione in ogni sua forma venga cancellata dalla faccia della terra.
“Quando due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. (Matteo, 18,20)