Il rabbino capo di Torino contro le nozze gay
Articolo del 7 febbraio 2013 di Roberto Russo pubblicato su Queerblog
Il rabbino capo di Torino, Alberto Moshe Somekh, scrive su L’Osservatore Romano una spassionata difesa del matrimonio eterosessuale affermando che in questo campo, una collaborazione tra ebrei e chiesa cattolica sarebbe auspicabile. Il rabbino parte da una constatazione generale: A differenza di quanto avviene in altri credi, nell’ebraismo è l’azione che ha importanza teologica assai più del sentimento e del pensiero.
Sul tema in oggetto la tradizione ebraica guarda negativamente all’attività omosessuale, ma non alla natura omosessuale di per sé, quale che sia la sua origine. Mentre l’attività omosessuale è sempre proibita, cionondimeno dobbiamo evitare il giudizio nei confronti di coloro che soccombono.
Quindi si auspica la collaborazione che abbiamo accennato: Ben venga dunque la collaborazione con i vertici della Chiesa cattolica, con la quale per molti versi il mondo ebraico può sviluppare un’adeguata azione comune per la difesa della dignità, della stabilità e della sacralità della famiglia, richiamandosi agli insegnamenti della tradizione biblica fin dai primordi: «E l’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e saranno un’unica carne» (Genesi, 2, 24).
Secondo Alberto Moshe Somekh il problema di fondo non è l’omosessualità in sé, quanto il fatto che le persone omosessuali chiedano di veder riconosciuti pubblicamente i propri diritti: Il Talmud ci insegna che, in linea di principio, non si devono riconoscere benefici legali a un comportamento.
In un passo più specifico è scritto che a quell’epoca, millecinquecento anni fa, anche quei “figli di Noè” che non si astenevano dalle pratiche omosessuali avevano almeno il pudore di non redigere un contratto nuziale fra le parti. Pur con tutta la comprensione del caso, scelte che attengono alla sfera più intima del singolo individuo, alle sue inclinazioni e alla sua coscienza personale, non possono divenire oggetto di un riconoscimento formale, né dar luogo a un iter legislativo e tanto meno assurgere a valore di riferimento del costume sociale, pena la dissoluzione della società stessa. «Maschio e femmina li fece» (Genesi, 5, 2).