Io credente ed omosessuale in cammino
Dialogo-intervista a Cristiano di Daniela Tuscano del 8 Gennaio 2007
Io e il mio amico Cristiano, credente ed omosessuale, abbiamo partecipato insieme ad un incontro per famiglie organizzato da una parrocchia della sua zona ed incentrato sul tema della Chiesa come luogo di accoglienza. Vi sottopongo le sue impressioni, che non necessitano di commento.
Tonezza. Ci ero già stato anni fa col mio ex compagno. Ricordo che cantavamo la splendida canzone "Mai come ieri" di Carmen Consoli e Mario Venuti: “Ci sono infinite cose deliziose, così vicine al cuore che non le sai vedere…”. Forse una coincidenza, forse un piccolo presagio di ciò che stava per accadere.
Ho ancora viva in mente la frase del Vangelo riportata sul lato sud della casa del Fanciullo Gesù (dove eravamo alloggiati – vedi foto), proprio sotto la meridiana: “SE NON RITORNERETE COME BAMBINI NON ENTRERETE NEL REGNO DEI CIELI”. Questo è stato l’inizio. Credo di aver sentito il richiamo di queste parole fin da subito e di essermi lasciato guidare con molta semplicità, scegliendo serenamente di essere me stesso fino in fondo.
Non basterebbero le pagine per descrivere le belle cose che ho apprezzato e soprattutto le belle persone che ho incontrato. Traccio solo alcune pennellate.
La presenza dei bambini. E’ stata per me molto importante: energia, simpatia, voglia di giocare, sorrisi, voglia di stare insieme, spendersi fino all’ultimo. E poi la gratificazione più grande, che mi ha fatto capire che qualcosa di me avevano sentito e gli era piaciuto, in quella semplice richiesta: “Ci sei l’anno prossimo?”.
Ho conosciuto M.: una mamma, una donna, una con lo spirito dei RE MAGI. Non a caso le ho detto quello che pensavo, ovvero che la vedevo molto bene nel ruolo di “pastora”, una ricercatrice della verità che non va per idee preconfezionate e con umiltà e serenità cerca l’oltre. Un’attenta camminatrice, un’ottima compagna di viaggio sia nella vita che nella fede.
Ho conosciuto C. e S.: due caratteri diversi e complementari (lui più riservato, lei più espansiva), accomunati però da una grande attenzione verso gli altri, da una generosità semplice e reale. Un grazie particolare va proprio a loro che, già prima di conoscerci, avevano insegnato ai loro figli a non aver paura della diversità, che per un uomo è normale innamorarsi di un uomo o di una donna (e viceversa).
Ho sperimentato personalmente lo spirito di comunione e la generosità del gruppo. Un giorno infatti mi sono visto spuntare dal niente un paio di sci e gli scarponi, senza che ne fossi andato in cerca. È stato proprio un regalo inaspettato.
Le partite a carte. Spesso ho pensato che giocare a carte fosse una cosa da vecchi: quando non si ha altro da fare si gioca a carte. Sbagliavo. Ho riscoperto il piacere di starsene tranquilli a fine giornata fino alle ore piccole, con la stanchezza che ti manderebbe a letto ma ancora con la voglia ed il piacere di stare con gli altri a giocare.
Spiluzzicando del panettone e facendo due parole su argomenti particolari (ad es. le provocazioni il pensiero dell’Abbé Pierre sui nodi cruciali della fede e dell’attualità) oppure scambiandoci semplicemente delle considerazioni sulla giornata.
Molto bello anche i momenti di preparazione dei quattro incontri: momenti ristretti di condivisione (da quattro a sette teste messe a confronto per sviluppare il tema nel miglior modo possibile, con la semplicità che imponeva il contesto e il tempo ristretto a disposizione!). Sembrava un po’ come quando mi trovo al corso di teatro: buttare giù un canovaccio e poi andare a braccio, improvvisando sulla traccia che ci eravamo dati, attenti a cogliere i segnali del gruppo.
Daniela. Non mi sono mai divertito tanto con lei come questa volta! Abbiamo veramente riso a crepapelle, ma anche partecipato insieme a varie attività con gli altri e avuto dei momenti di tenera intimità. Credo che la mia “compagna di stanza” abbia contribuito in maniera significativa al mio stare bene a Tonezza.
Tre verbi mi sono rimasti particolarmente impressi: RICERCARE-ESSERCI-ACCOGLIERE. Detto in un’altra parola: AMARE (vedi l’inno alla carità nella I lettera ai Corinzi).
La famiglia allargata. Essere famiglia per me vuol dire voler bene intensamente ad un’altra persona, tanto intensamente che le scelte che faccio nella mia vita tengono conto e si integrano con l’altro. Ho cura dell’altro e l’altro ha cura di me.
Facciamo progetti insieme. E questo avviene continuamente. Va da sé che per me questo sfocia naturalmente in una convivenza fisica, che permette di sperimentare e vivere fianco a fianco, e quindi di essere molto presenti anche fisicamente.
Fatte queste precisazioni è chiaro che non è solo quella costituita da un uomo ed una donna che si vogliono bene la famiglia cui faccio riferimento.
La confessione. Credo che il momento in cui mi sono sentito fuori dal recinto è stato quando, nel ’93, ho dovuto prendere in mano la mia vita e decidere.
Decidere che? Decidere se continuare a far finta che fosse tutto normale (mettendo a tacere il mio bisogno di amore) oppure imbroccare una strada che sentivo più vera per me (anche se con tante incognite e dubbi). Mi ero accorto da anni che, mentre i miei compagni prendevano le cotte per le mie coetanee, io rimanevo molto spesso colpito, incantato ed attratto dai miei amici maschi.
Mi sarebbe piaciuto vivere con loro quello che essi sognavano con le ragazze. Per rendere la situazione più ingarbugliata, all’epoca ero un animatore in parrocchia, uno convinto di certi valori. Questi valori, ma soprattutto gli insegnamenti del magistero, andavano pesantemente a cozzare con quella che avvertivo come la parte viva di me. Che fare?
Ho rimandato per anni la decisione e centrifugato il “problema” ai limiti della mia vita. Finché un giorno gli eventi hanno deciso per me e non ce l’ho fatta più a fuggire. I miei sono stati co-protagonisti di questa rivoluzione, ed hanno sofferto con me (anche se in modo diverso e per cose differenti).
Col tempo ho imparato a sentire la mia diversità non come un peso ma come un dono, una possibilità che mi era stata offerta: non sapevo ancora bene per quale finalità, però era necessario un mio sì incondizionato per viverla pienamente. Il sì incondizionato consisté nell’imparare a non aver paura dell’amore che provavo per una persona del mio stesso sesso.
Nel comprendere che c’è una dignità profonda ed un mistero insondabile nella parola amore che, quando è vissuto con tutta l’anima e con tutte le forze, non può essere una cosa malvagia. E mi ha fatto col tempo riscoprire quel Dio che nella sofferenza avevo più volte maledetto (perché io? urlavo, perché io?).
Scoprendo in fondo che forse era venuto a liberarmi dalla prigione che io stesso mi ero costruito. Sono sempre più convinto infatti che Cristo sia morto una volta sola per liberare tutti dal peccato che ci portiamo dentro: quindi non tanto dal male di un diavolo che mi tenta, ma di me che penso di saper quale sia il mio bene… e mi convinco spesso ottusamente, per paura o per orgoglio, che la vita sia mia, e ne decido io, costi quel che costi…
Non siamo soli. Ho sentito che qualcosa di importante, di bello e di puro a iniziato a passare dagli uni agli altri, reciprocamente. Io ho scoperto tanta semplicità, generosità, buon senso e profondità che non credevo di avere intorno.
Gli altri mi hanno conosciuto come uomo nella mia interezza, e forse hanno cominciato a capire che non c’è niente da avere paura. Siamo tutti fuori dal recinto, tutti in marcia da varie direzioni, tutti in cerca della verità.
L’unico punto fermo è il punto d’arrivo, il riferimento, la nostra “stella polare” come recita un bel canto : il nostro maestro di vita, il buon pastore, il Signore Gesù.