La mia scoperta del Pride
Riflessioni di Gianni Geraci, portavoce del gruppo Guado di Milano
Approfitto dello spunto che ci viene offerto per raccontarvi il mio rapporto con il Gay Pride. Anch’io, quando ero più giovane, la pensavo come come tanti, per non dire che la pensavo come Alemanno: «Che bisogno c’è di scendere in piazza per celebrare l’orgoglio omosessuale?».
La stessa parola “orgoglio” mi metteva in allarme. Si uno dei peccati su cui la tradizione cattolica insiste di più: quante volte mi hanno ripetuto che il peccato originale fu un peccato d’orgoglio! E fino al 1997 non sono mai andato a un Gay Pride e, anzi, sostenevo che si trattava di una manifestazione controproducente.
Martino, del gruppo La Parola, di Vicenza, ha preparato un grosso striscione con la scritta ‘Omosessuali Cristiani’ e io me lo sono portato al Pride dopo aver fatto girare la notizia che quell’anno, al Pride, ci sarebbe stata una nostra delegazione.
Eravamo in quattro: oltre a me c’erano Flavio del Guado (che era sceso a Roma con me), Andrea che allora era presidente del gruppo Nuova Proposta, Santo di Genova, che avevo conosciuto a un Campo di Agape e che indossava (con la sua bellissima barba) un favoloso vestito da ballerina spagnola. Abbiamo preso il nostro striscione e ci siamo avviati in un corteo abbastanza piccolo (Piazza Santi Apostoli, dove era previsto l’arrivo, sembrava quasi vuota).
In compenso gli slogan non mancavano ed erano molto aggressivi nei confronti della Chiesa, delle religioni e degli omosessuali credenti. Ricordo anche che Santo a un certo punto ha avuto un alterco con un gruppo di lesbiche che ci aveva dato degli ‘ipocriti’.
Le sue parole le ricordo ancora: “Ci siamo nascosti fino ad ora. Ma adesso le cose sono cambiate e non vi permetteremo più di insultarci senza mostrarvi la nostra faccia”.
Quando il corteo è finito io non volevo più salire sul palco: le cose che avevo sentito mi avevano fatto capire che avrei preso una marea di fischi dai partecipanti. Sono stati gli altri a spingermi a forza. Sono salito e non ricordo assolutamente quello che ho detto.
So solo che alla fine alcuni ragazzi piangevano e un transessuale è venuto da me e mi ha detto: “Se solo sapessero cosa vuol dire trovarsi strette in un corpo che non senti come il tuo, capirebbero come mai, quando finalmente hai un corpo in cui ti senti a tuo agio, senti il bisogno di farlo vedere, di mostrarlo e che questo puoi farlo solo in giornate come questa, in cui ciascuno ha il diritto di mostrarsi per quello che è”.
Quell’esperienza mi ha fatto capire che c’erano persone che vivevano la parata del Pride come un momento di autenticità. Non ero ancora convinto, ma si trattava del primo passo del cammino che mi ha fatto scrivere, qualche anno fa, che il Pride è un momento importante, perchè è un momento in cui si celebra la diversità.
Ma delle esperienze che, successivamente, mi hanno portato a cambiare il mio atteggiamento, vi scriverò più avanti, perchè oggi ho scritto davvero troppo.