La verità vi farà liberi (Gv 8,32). Noi cristiani omosessuali in cammino con la Diocesi di Cremona

Gesù allora disse ai quei Giudei che gli avevano creduto: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Gli risposero: “Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno.
Come puoi dire: diventerete liberi?”. Gesù rispose loro: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. (Gv 8, 31-36)
Nel mio intervento intendo parlavi delle circostanze, create e ricercate da noi omosessuali, che ne hanno reso possibile la nascita, partendo proprio dal brano di Giovanni che ho citato e che è il tema di questo Forum … sperando che ciò possa essere utile anche a voi.
Io e altri del nostro gruppo di Cremona siamo partiti dalla presa di coscienza che se volevamo davvero incamminarci verso quella verità che ci avrebbe liberati, dovevamo fare un salto di qualità anche nei nostri rapporti con la chiesa. Non è possibile essere nella verità che ci fa liberi, da soli! È necessario che questo cammino avvenga all’interno di una comunità credente, il più ampia possibile.
“Quando ero bambino amavo da bambino” potrei dire parafrasando san Paolo (1 Cor. 13,11) e l’ amore “da bambino”, a volte, rimane in noi anche quando siamo adulti: siamo capricciosi, piangiamo e urliamo se la mamma (la chiesa fuor di metafora) non soddisfa i nostri desideri.
Così pure l’amore “adolescente”, che non sapendo gestire la conflittualità coi genitori scappa di casa sbattendo la porta, li taccia di essere “vecchi”, di non capire, di essere moralisti, di sapere solo proibire e di non permettergli una piena manifestazione della propria libertà! Così forse siamo noi quando lasciamo prevalere il nostro bisogno di sentirci amati sul desiderio profondo, ma adulto questo, di amare la verità che rende liberi davvero!
Abbiamo riflettuto, noi delle Querce di Mamre, e abbiamo valutato che era giunto forse il tempo di abbandonare i “capricci”, malintesi sensi di orgoglio o fughe da casa; dovevamo assumere un atteggiamento nuovo, che mi piace chiamare “dialogo d’amore”.
Questo dialogo è necessario: si è veramente liberi solo se si è inseriti in una comunità credente che è garante della “verità” di un cammino, anche se per permettere ciò è necessario aspettare con pazienza i tempi lunghi del dialogo e della reciproca comprensione. A mio parere non esiste oggi altra strada percorribile se non quella del dialogo.
Il dialogo, sin dalle origini della nostra cultura occidentale (pensiamo ai dialoghi platonici), è la manifestazione tipica di un atteggiamento libero, rispettoso e sereno, ma anche pacato e risoluto nei confronti dell’altro che è diverso da me, ma che mi sta di fronte come interlocutore credibile. Se vogliamo incamminarci davvero, come gruppi di omosessuali cattolici, verso la verità che ci rende liberi dobbiamo avere il coraggio, la maturità e l’apertura necessaria per dialogare con la nostra chiesa (naturalmente parlo da cattolico e mi sto riferendo alla chiesa cattolica e mi scuso coi fratelli della riforma se il mio intervento è rivolto soprattutto a cattolici).
Non quindi un dialogo finalizzato ad ottenere qualcosa, ma fatto per amore di verità e per amore della chiesa e di Cristo.
Solo questo ci ha indotti a proporre al nostro vescovo un gruppo che potesse aiutare la chiesa cremonese a dialogare con i credenti omosessuali.
Nessuna richiesta preliminare, ma solo la medesima apertura da parte di entrambi (noi e la diocesi) e il medesimo amore per la verità che, prima che scritta nei documenti del magistero, è iscritta nei nostri cuori credenti.
Lo spirito che ci ha mossi è quello della Gaudium et Spes, quello di una chiesa che si fa solidale con le gioie le speranze, le fatiche e le angosce del mondo e tra esse anche le nostre.
Se volessimo utilizzare un modello ormai “rodato”, il nostro gruppo potrebbe essere paragonato, nei suoi presupposti, ad uno dei gruppi che in ogni diocesi si occupano di dialogo ecumenico: la verità è qualcosa che non ci appartiene; se si pensa di essere i possessori della verità è impossibile ogni dialogo vero perché ogni sforzo sarà teso a portare l’altro dalla nostra parte.
Nel vero dialogo la verità è oltre, non appartiene a nessuno, è una meta verso cui ci si incammina insieme, con umiltà ma con fermezza e capacità di difendere le proprie ragioni.
Non perché si è affezionati ad esse o perché siamo infallibili, ma perché sentiamo queste ragioni profondamente iscritte nella nostra vita.
Ciò è vero per noi omosessuali ma è pur vero anche per i nostri pastori, la cui posizione espressa dal magistero, è di tutto rispetto e non solamente strumentale, come a volte, m’è parso, qualcuno è indotto ad intendere.
Occorre l’apertura e la maturità di chi ama la verità ed è pronto a sacrificare per essa anche ciò che ha di più caro (“amicus Plato sed magis amica veritas” diceva Aristotele a chi lo accusava di aver tradito il suo maestro). Ciò però è possibile solo se entrambe le parti si mettono in gioco. Non può essere un cammino unilaterale!
Per lasciare il piano teorico e venire a noi: se vogliamo dialogare veramente con questa nostra benedetta chiesa, perché l’amiamo, perché ci sta a cuore giungere a parole che esprimano un contenuto veritativo maggiore rispetto a quanto sinora hanno fatto quelle del magistero, dobbiamo per prima cosa essere interlocutori credibili!
Cosa significa essere interlocutori credibili, nel nostro caso?
• Significa, secondo me, che è necessario fare molta chiarezza all’interno dei nostri gruppi sugli obiettivi che ci proponiamo anzitutto. Se vogliamo utilizzare il dialogo come strumento, dobbiamo sapere che esso ha tempi lunghi, che richiede molta pazienza e fatica, che si pone in rispettoso ascolto dell’altro.
• È utile perciò che tralasciamo, come gruppi di omosessuali credenti, un certo stile polemico, rivendicativo, per porci in ascolto, della Parola di Dio in primo luogo.
• È meglio forse non porre troppo l’accento sul riconoscimento di alcuni diritti, compito che appartiene ad un’altra sfera, più socio-politica che non ecclesiale e che quindi, può essere giustamente oggetto del nostro impegno a livello di associazioni o partiti, ma non di gruppi che si prefiggono una finalità eminentemente pastorale.
• Significa avere il coraggio di entrare nel dibattito sull’omosessualità con nostre posizioni e nostri metodi, come questo forum per esempio o come le veglie di preghiera, ma avere anche il coraggio di prendere le distanze da altre manifestazioni che hanno finalità diverse e anche modalità di espressioni che a volte contrastano con il vangelo (ogni riferimento al “Gay Pride” non è puramente casuale!).
• Dobbiamo farci strumenti per avvicinare le persone a Gesù e alla sua chiesa e non per allontanarle con le nostre continue critiche.
So che quest’ultimo non è il senso in cui il magistero intende la castità quando la propone alle persone omosessuali, ma su questo punto è possibile un dialogo sereno con la gerarchia, ne sono certo!
A volte, come è normale per chi ha provato l’esclusione, mi sembra che siamo invece troppo attenti a sottolineare solo quanto le nostre relazioni siano uguali a quelle eterosessuali anche quando sono, come è giusto che sia, diverse.
Questo mi pare importante se vogliamo sgombrare il campo da equivoci che renderebbero il dialogo più difficile. Guai però se tutto ciò fosse visto come una sorta di “prezzo” da pagare alla chiesa per ottenere un tavolo di dialogo.
Ecco allora che l’insieme di questi e altri atteggiamenti nuovi ci renderebbe non solo interlocutori credibili, ma ben di più! Ci renderebbe “testimoni”, nella chiesa in primis e nel mondo, di un nuovo stile di vita veramente omosessuale, veramente umano, veramente cristiano e…. veramente libero!
Mi pare che di spunti per la riflessione ce ne siano e mi pare anche di avere espresso con sufficiente forza delle opinioni che a molti di voi non saranno piaciute!
Non voglio assolutamente fare da maestro a nessuno, ma cercare di comunicarvi un’esperienza nuova in Italia che se, come spero, troverà terreno fertile anche in altre zone del paese, proprio a partire dalle stupende esperienze maturate nei nostri gruppi in questi ultimi decenni, potrebbe secondo me dare molti frutti insperati.
Grazie.