La vita subalterna di chi deve fuggire. Una storia che si ripete
Articolo di Pietro Barolo pubblicato su L’Unità del 2 marzo 2017, pag.13
“Secondo l’etica capitalistica, la povertà è uno stato di cui un individuo o una società si libera con l’iniziativa (…). Eppure il capitalismo tiene quasi una metà del mondo in tale condizione“. Quarant’anni, tanti ne sono trascorsi da quando è stato dato alle stampe “Il settimo uomo“. Si fa tanta fatica a pensarlo perché questo fotosaggio di John Berger e Jean Pietro Mohr sembra essere stato scritto oggi. È la fotografia di una storia che si ripete, con le dovute differenze, nella forma e nella sostanza.
Perché a ripetersi sono le storie di donne, uomini e bambini che scappano per cercare di vivere, di sfuggire alla fame e alla guerra e che sono costretti a una condizione di totale subalternità.
E, ciò che è più grave, è che questa condizione, lungi dal migliorare, si è aggravata, è peggiorata. Lo è nella misura in cui chi emigra spesso non riesce ad arrivare a destinazione, muore nel disperato tentativo di raggiungere la sua destinazione e di avere quella che Berger definisce «la possibilità di guadagnarsi da vivere; di avere abbastanza soldi per agire».
L’ istantanea che descrive la decisione del migrante di partire, di lasciare il proprio villaggio o la propria cittadina potrebbe essere stata scattata oggi. Per non parlare della frontiera.
«La frontiera – scrive Berger – è semplicemente dove lui può essere fermato e la sua intenzione di andarsene mandata all’aria. Dall’altra parte della frontiera, una volta che l’ha attraversata, diventa un lavoratore migrante […] Arrivando da solo, il trauma della nascita della sua nuova vita è immediato. Fa appello a ogni singolo anno della sua virilità per non lasciarsi prendere dal panico». Così come è più che attuale la provvisorietà che denota l’emigrazione, l’assenza di una prospettiva certa di miglioramento della propria condizione.
Oggi assistiamo a un aumento esponenziale di forme di razzismo che erano già ben rappresentate da Berger. La storia dunque si ripete, anche se in modi diversi. Gli atteggiamenti intolleranti vengono utilizzati a piacimento da chi deve decidere se e come indirizzare i flussi di migrazione.
I paesi industrializzati del mondo continuano, adesso come quarant’anni fa, a stabilire quando e come reclutare coloro che devono ricostituire la parte più bassa della loro società. È come se si utilizzasse un bancomat per prelevare a proprio piacimento. Oggi spesso, però, la situazione sfugge di mano a coloro che quel bancomat lo detengono e ciò fa saltare equilibri e dinamiche che prima erano più facilmente gestibili. E già nel testo di Berger il meccanismo viene ben spiegato.
Questo libro ci pone davanti alla necessità di ampliare l’analisi di quanto sta accadendo nel mondo contemporaneo. Senza analisi approfondite tutto rischia di essere sopravvalutato o sottovalutato.
La ghettizzazione degli emigrati nel ventesimo secolo ha portato indubbiamente a conseguenze divario tipo. Oggi questa ghettizzazione porta all’esplosione di fenomeni molto più gravi e devastanti.
Accanto alla dimensione collettiva esiste, poi, quella individuale. Scrive Berger della maggiore esposizione degli emigrati all’insicurezza e all’infelicità. Oggi, e da medico lo posso affermare per l’esperienza vissuta negli ultimi decenni, siamo in presenza di una devastazione psicologica di coloro che per arrivare a destinazione sono costretti ad affrontare un viaggio fatto di soprusi, torture e violenze di ogni genere.
Ho accettato con piacere di scrivere queste poche righe perché in un sistema complesso ognuno deve poter dare il proprio contributo e se tutti i contributi andassero a comporre una re te, transnazionale e multidisciplinare, forse si riuscirebbe ad affrontare in modo meno semplicistico temi così determinanti per il mondo intero. Non solo, ma c’è la necessità di rendere queste analisi comprensibili ai più e non solo a una fascia elitaria della popolazione. Libri come questo servono ad arricchire un percorso di approfondimento che, a mio parere, dovrebbe iniziare dalle scuole e dalle università.
* medico di Lampedusa, 20 novembre 2016