L’amore lesbico, il matrimonio sui Colli e la Curia padovana
Articolo di Leon Bertoletti tratto da Il Mattino di Padova, 8 settembre 2011
Sabato scorso don Franco Barbero ha sigillato l’amore di due donne con una benedizione in un agriturismo sui Colli. Ma la Diocesi ribadisce: “Non è un vero matrimonio”.
“Tutto lecito per amore? Ovviamente no. Nell’invito a non creare malintesi, a evitare un’indistinta melassa affettiva, a ricordare che il legame sponsale vive della complementarietà (non soltanto biblica) tra maschio e femmina (il mattino di ieri) la Curia padovana fa il suo mestiere. E pure bene.
Tuttavia, insieme a qualche politico frettoloso, sottovaluta forse un aspetto nel giudicare la benedizione nuziale impartita da Franco Barbero, prete dimesso dallo stato clericale, a una coppia lesbica nello scenario dei Colli Euganei.
Concentrata sul valore legale, chiaramente nullo, ignora quello simbolico. Smarrita nel roveto delle distinzioni, perde di vista il panorama. Schiera la norma contro il segno.
L’ennesimo gesto di rottura di un inguaribile antagonista (punito a più riprese dalle gerarchie ecclesiastiche per le sue deviazioni su dogmi, magistero, teologia, morale sessuale) riapre infatti un dialogo presente da tempo nella Chiesa locale.
Certo. Ma rinvigorisce una divergenza esistente, sulla questione omosessuale, tra allineati ed equilibristi.
I primi sono sostenitori della linea ufficiale: quella che separa l’inclinazione dall’atto, dunque il “disordine” dal “peccato”, unendo un atteggiamento di carità cristiana alla domanda di castità. Gli altri, senza violarla, immaginano però una via meno colpevolistica, più accogliente.
Si ha l’impressione che questi ultimi, tra clero e laici padovani, siano maggioranza. La diversità di giudizio generalmente scorre carsica.
È in parte emersa di recente, al lancio dell’idea che una città possa promuoversi turisticamente anche attraverso il logo gay-friendly (lo fa perfino Tel Aviv, con successo, da anni).
Era accaduto lo stesso tempo fa, in occasione di un Gay Pride molto prossimo alla festa del Santo. Il dissidio, fruttuoso, ha portato la comunità cattolica a una pratica accogliente verso gli omosessuali.
È un orientamento rispettoso giustificato da cautela pastorale, anche se qualcuno si sbilancia a chiamarlo illuminato, razionale, lungimirante. Non tutti lo approvano, ma i fatti restano.
La diocesi ospita, dall’8 novembre 1997, il gruppo Emmanuele: un “cammino di fede nella consapevolezza che la propria condizione omosessuale non costituisce un ostacolo, ma rappresenta, anzi, uno dei talenti che il Padre ha dato”. Definizione forte, rischiosa.
Per aver considerato l’omosessualità “un dono”, l’allora don Barbero fu bacchettato sonoramente.
Padova, da cinque anni, accoglie anche una veglia di preghiera (l’ultima il 20 maggio scorso nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, in via Battisti) per ricordare le vittime dell’omofobia.
Molti sacerdoti impegnati nel quotidiano, duro lavoro di missione evangelica, coltivano inoltre l’interiore consapevolezza che la disposizione delle anime valga più dei percorsi sentimentali.
Al loro fianco c’è il vescovo Mattiazzo, consapevole che l’homosexualitatis problema riempie pagine discusse di documenti ecclesiastici non sempre univoci e che tre seminaristi su dieci, secondo statistiche affidabili, manifestano tendenze gay.
Così, questioni e relazioni sessuali restano per la Chiesa ancora un vivace oggetto di dibattito. Non soltanto per una benedizione.