Le chiese e l’amore omosessuale ai tempi miei
Riflessioni di Pasquale Quaranta tratte da p40.it, 6 marzo 2005
“Teologia e omosessualità: una sfida ecumenica”, era il titolo di una tavola rotonda tenutasi al VI Convegno nazionale della Rete Evangelica Fede e Omosessualità dal 4 al 6 marzo 2005 a Casa Cares (Firenze).
Tra i tanti contributi riproponiamo l’intervento letto da Pasquale Quaranta che ben fotografa la difficoltà che hanno le varie chiese a confrontarsi con l’amore e il cammino dei credenti omosessuali.
Credo di non ingannarmi: sono sempre più convinto che essere gay sia stata la cosa più bella che poteva capitarmi.
Sentirmi libero di pensare e scegliere quello che la mia sensibilità desidera, comprendere il senso di difficoltà che a volte si impossessa della vita di tante, troppe persone omosessuali, ancora discriminate ed emarginate.
LA VITA E LA DOTTRINA
Come si può mettere d’accordo una vita vissuta con una serie di precetti cristallizzati? Il Vangelo di Gesù non è una dottrina compiaciuta, è una lieta novella dove si vive l’amore. Vangelo è vivere e non scrivere di vangelo: è sperimentare anche il fallimento dell’utopia, è faticare per vedere affermato nulla…
Così, se sperimentiamo di non riuscire ad essere “perfetti” come vuole la dottrina del papa, o del patriarca ortodosso, o del primate anglicano piuttosto che del pastore luterano o valdese, non scoraggiamoci, perché anche “il Padre nostro celeste”, imperfetto per eccellenza, ha lasciato il carnefice in un mondo di vittime, il ladro in mezzo agli onesti, l’assassino in mezzo ai non violenti…
QUALE CAMMINO PER GLI OMOSESSUALI CRISTIANI?
Io credo, perdonate l’irriverenza, che invece di fottere e piangere come schiocchi, dovremmo raddrizzare la schiena e diventare noi, anche noi omosessuali credenti, parte viva, attiva e liberamente responsabile di una Chiesa cattolica dall’alto meno sessuofobica e della stessa Chiesa, ma dal basso, meno lagnosa.
Soltanto così potremo testimoniare amore per noi stessi, amore per la Chiesa, amore per le nostre storie di amore.
Questo è “tempo di restare”, come dice don Barbero, di vivere l’amore, di rinnovarsi, di uscire da questa sala e dire in famiglia e nelle nostre Chiese che è venuto il tempo di dirsi la verità, fino in fondo.
Sento che la nostra testimonianza può in qualche modo rappresentare un viottolo di rinnovamento comunitario e uno stimolo per nuove pratiche pastorali.
QUESTE BENEDETTE BENEDIZIONI…
La Commissione teologica “Chrétiens et Homosexuel/les” di Ginevra recentemente ha elaborato un testo intitolato, non a caso, “Io non ti lascerò prima che tu non mi abbia benedetto ”.
Benedizione è “la promessa di prossimità benevolente di Dio pronunciata in una situazione specifica”. “La richiesta di benedizione delle coppie omosessuali corrisponde al bisogno umano di ricevere la benedizione di Dio in un momento di passaggio. (…) È per questo – si legge nel documento – che gli omosessuali credenti continueranno a fare questa richiesta con la stessa ostinazione mostrata dalla vedova nei confronti del giudice iniquo, con il coraggio e la fede di un Giacobbe che ha dovuto incalzare un angelo per ricevere la benedizione di Dio”.
Carissimi, la consapevolezza che le cose bisogna guadagnarsele ci fa degli atleti delle difficoltà!
Eppure io credo che per compiere un ulteriore passo in avanti, per liberarci davvero, dobbiamo comprendere che non abbiamo bisogno della benedizione della Chiesa come Istituzione, ma della benedizione di Dio. Bisognerà ristabilire, allo stesso tempo, il primato della coscienza.
LA CHIESA CHE CAMBIA!
Don Pezzini mi diceva: “Fin dall’inizio mi ha sempre impressionato il fatto che persone di una certa età soprattutto sembra avessero bisogno della benedizione del papa per qualsiasi cosa facessero. (…) l’insegnamento dei pastori non cade già fatto dall’alto, ma è frutto anche dell’interazione con quanto viene dalla base, e in questo senso tale insegnamento può cambiare, e cambia!”
Questa è una “sfida”, nel senso di prova, di confronto. Di fronte alla bontà delle relazioni vissute, l’omosessualità rappresenta una sfida “ecumenica”, perché riguarda tutte e tutti, “trasversalmente”, come si dice in politica, aldilà delle ragioni di partito, aldilà della religione.
QUALE ECUMENISMO?
Così come è stata bella la messa di Natale nella Chiesa cattolica di Rignano Garganico, allo stesso modo sarebbe bello cominciare ad assistere nella Chiesa valdese alle celebrazioni d’amore tra persone omosessuali.
Si dice che la Chiesa valdese sia “avanti” rispetto alla Chiesa cattolica. Io non ho ancora visto pastori dichiararsi gay e svolgere il proprio ministero: come mai? Si sta cercando una mediazione, un confronto, un ecumenismo con la Chiesa cattolica? Su questi temi è giunto il momento di essere profeticamente evangelici, anche a costo di rompere l’ecumenismo!
Ecumenismo non è sempre il bene in sé: si può essere ecumenici e tacere quando in un’altra chiesa vengono schiacciati i diritti di libertà di coscienza e di opinione, e addirittura tacere quando i capi o imam della religione musulmana calpestano in nome di Dio o Allah i diritti delle donne e degli omosessuali.
Non abbiamo bisogno di un ecumenismo che si regge sul silenzio! Un ecumenismo che soffoca la profezia evangelica è un ecumenismo di morte che unisce per comprimere, non già per liberare e per testimoniare la grazia dello Spirito che vivifica e travolge i nostri schemi di comprensione.
Altrimenti cosa state qui a protestare, voi protestanti (così vi chiamava l’apologetica cattolica e papista da Lutero in poi…) se oggi non avete il coraggio della protesta, della protesta evangelica che vi ha sempre distinto?
UNA PROPOSTA
Mi sento di avanzare una proposta alla Refo: inutile continuare a parlare. Non si può continuare a rimandare, non ci si può limitare a ripetere: “Non siamo pronti…”, oppure: “Si potrebbe ma poi c’è la nostra comunità che non capirebbe…”, “Lo faremmo volentieri ma occorre avvisare quello, e poi cercare di convincere questo”, e via di seguito fino all’anno “mai” del secolo che non c’è.
Quando Cristo decise di rompere, lo fece in un attimo e disse: “Sono venuto a portare la spada e non la pace, a mettere l’uno contro l’altro, il Regno dei Cieli patisce violenza! E solo i violenti vi entreranno” (ovviamente si intende qui la violenza di chi sa osare, non quella di chi ferisce o uccide).
In fondo è la cosa più semplice vedere due ragazze o due ragazzi che entrano in Chiesa mano nella mano e si promettono amore, condivisione e fedeltà davanti al Signore.
Non sono la provocazione di nulla, non sono affatto la negazione della realtà di coppia tradizionale, sono solo se stessi, quelli che sono sempre stati da che sono nati, due persone omosessuali, fatte l’una per l’altra, che un giorno si sono incontrate, si sono guardate negli occhi e si sono amate… null’altro!
Ammettere due giovani lesbiche, due giovani gay a questo rito avrebbe un impatto in Italia rilevante, perché la Chiesa cattolica non potrebbe non prenderne atto.
Sarebbe una svolta epocale e decisiva per tutte le Chiese: cosa si aspetta ancora?