Le cose cambiano. Come essere cattolico e gay senza ipocrisie
Testimonianza di Gustavo Gnavi del Centro studi e documentazione “Ferruccio Castellano” di Torino per lo speciale “le cose cambiano” pubblicata sul sito di Riforma, settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste, valdesi, il 26 novembre 2013
Non sono più di primo pelo ed ho vissuto il mio impegno nel movimento omosessuale e in particolare fra gli omosessuali credenti in anni in cui di omosessualità si parlava poco o niente soprattutto all’interno della Chiesa cattolica alla quale appartengo.
Cresciuto in un paese di circa 6.000 anime in provincia di Torino, nella diocesi di Ivrea e in una famiglia normalmente religiosa e praticante, ho iniziato a frequentare oratorio e Azione Cattolica come quasi tutti i bambini e i ragazzi facevano allora cosicché, quando nel post-concilio arrivò in diocesi il nuovo vescovo (mons. Bettazzi) e propose i Consigli Pastorali Parrocchiali, fui quasi obbligato a farne parte.
Dal Consiglio Pastorale Parrocchiale a quello diocesano e, da questo, alla presidenza del medesimo il passo fu breve e così mi trovai per vari anni ad avere una parte significativa nella pastorale diocesana. Questo incarico diocesano lo lasciai nel 2001 mentre l’attività parrocchiale continua tutt’ora.
Nel gennaio dell’81 fui fra quelli che diedero vita al gruppo torinese di gay credenti Davide e Gionata ma già dalla metà degli anni ’70 mi ero interessato alle problematiche dei gay credenti, tanto che venni contattato da Ferruccio Castellano per collaborare con lui e altri a smuovere le acque in questo settore. Dopo la morte di Ferruccio continuai a darmi da fare nell’associazione torinese sino alla sua chiusura e ora sono presidente del Centro Studi e Documentazione intitolato appunto a Ferruccio Castellano.
Da quanto detto si potrebbe pensare che il mio impegno quotidiano mi abbia visto attivo su due binari ben distinti e forse anch’io, inizialmente, pensai alla possibilità di tenerli separati ma per vari motivi, sia strettamente personali, sia di rappresentanza dell’associazione a cui appartenevo, la mia omosessualità divenne un fatto pubblico. Il mio nome finì sui giornali, locali e nazionali, la mia faccia comparve in varie trasmissioni televisive e così oggi molti sanno della mia gayezza.
Il tutto avvenne però per gradi, anche all’interno della Chiesa. Col mio vecchio parroco ne parlai quando la cosa si seppe in famiglia; al vescovo quando Ferruccio Castellano scrisse a mons. Bettazzi per l’organizzazione del primo convegno di gay credenti ad Assisi; alcuni sacerdoti della mia diocesi li invitai a parlare al Davide e Gionata (ndr primo gruppo di credenti omosessuali di Torino).
Ogni tanto scrissi qualche articolo sul settimanale diocesano, articoli che seppi vennero anche letti e commentati dai seminaristi (erano anni “felici” in cui anche i miei articoli venivano pubblicati e commentati) e così via.
Ancora oggi ho l’abitudine (ma per quanto detto prima probabilmente non ce ne sarebbe bisogno) di presentarmi al nuovo parroco ricordandogli che sono omosessuale e che faccio parte di gruppi di omosessuali e poiché tutto ciò mi porta a essere visibile come tale, lo lascio libero di decidere se crede opportuno ch’io faccia parte di organismi parrocchiali. Al nuovo parroco e al nuovo vescovo ho portato il libro “Fede e omosessualità” scritto qualche anno fa da un prete di Torino con la collaborazione di un gruppo di gay credenti.
In conclusione perciò devo dire che non ho mai avuto problemi nel mio impegno parrocchiale e diocesano, a causa della mia omosessualità. Sono un caso raro? Può darsi.
E’ vero che non vado in giro vestito di rosa e con le piume di struzzo e neppure con cartelli inneggianti alla libertà sessuale, ma credo che il fatto che io sia stato accettato così come sono sia dovuto alla serietà del mio impegno che ha preceduto per anni la scoperta della mia omosessualità da parte di altri. Se uno si comporta bene in generale, la sua omosessualità è ritenuta un qualcosa in più, qualcosa di privato su cui si può sorvolare.
E’ anche vero che, all’interno della Chiesa locale, non si cerca la mia collaborazione su certi temi ma… non esageriamo… anche se credente, sono per sempre un gay che si impegna per i diritti dei suoi simili, anche all’interno della Chiesa per cui è meglio fare in modo ch’io non ficchi troppo il naso in certi ambienti cari ai preti.